Il rischio di contagio è relativamente basso, ma le autorità avvertono: «Evitate il contatto con animali infetti»
NEW ORLEANS - È un cittadino americano di 65 anni la prima persona a morire per il virus dell'aviaria (H5N1) negli Stati Uniti. Lo rende noto il Dipartimento della Sanità della Luisiana, specificando che il 65enne soffriva di malattie pregresse, e che era stato ricoverato in ospedale dopo essere entrato in contatto con uccelli selvatici e da cortile.
Le autorità confermano che si tratta di un caso isolato, ma ricordano che «le persone che lavorano con uccelli, pollame o mucche, o che hanno un'esposizione ricreativa ad essi, sono a rischio più elevato», si legge in una nota.
«Il modo migliore per proteggersi è evitare le fonti di esposizione. Ciò significa evitare il contatto diretto con uccelli selvatici e altri animali infettati o sospettati di essere infettati dal virus», conclude la nota.
Intanto, nuovi segnali di attenzione arrivano dalla Mongolia. Una ricerca pubblicata sulla rivista Emerging Infectious Diseases ha rilevato tracce di infezione da virus dell'influenza aviaria A/H5N1 in 9 cavalli, confermando che anche gli equini sono suscettibili a questo agente. La scoperta preoccupa soprattutto se si pensa al nord America.
«Il 30% della popolazione equina mondiale si trova lì», spiegano gli autori dello studio. Il timore è che in un ambiente in cui il virus dell'aviaria sta circolando nei bovini e le occasioni di «contatto tra mucche e cavalli sono probabilmente elevati» possa emergere un nuovo agente patogeno frutto del mix «tra il virus dell'influenza equina H3N8 (il sottotipo circolante nei cavalli) e quello aviario H5N1», spiegano i ricercatori.
Si è rivelato invece un falso allarme quello circolato nei giorni scorsi su un incremento delle infezioni dovute al metapneumovirus in Cina. Anche se l'aumento «evoca echi bui dell'inizio della pandemia di Covid», «la situazione è del tutto diversa e molto meno preoccupante», ha scritto il New York Times. Siamo tutti «ipervigili», sottolinea il Guardian. Un effetto delle «cicatrici della pandemia», fa eco il Washington Post.