I Giovani Verdi chiedono che la Svizzera rispetti i limiti planetari e funga da faro. Per molti l’obiettivo è troppo ambizioso. Opinioni a confronto
Noemi Buzzi, per raggiungere gli obiettivi dell’iniziativa bisognerebbe ad esempio ridurre del 90% entro dieci anni le emissioni di gas a effetto serra. È qualcosa di irrealistico, o no?
La Svizzera ha firmato l’Accordo di Parigi sul clima. Questo prevede una riduzione del 50% delle emissioni entro il 2030, rispetto ai livelli del 1990. Fra soli cinque anni, dunque.
L’Accordo di Parigi stabilisce l’obiettivo zero emissioni nette per il 2050, non nel 2035. Fa una bella differenza.
Secondo la scienza, i prossimi cinque anni saranno fondamentali per determinare in quale direzione andremo. E la Svizzera, come ricco Paese industrializzato, non sta facendo abbastanza per limitare il riscaldamento globale. Dovrebbe invece fungere da faro. Ha le risorse, le tecnologie e le capacità innovative per svolgere questo ruolo. Occorre solo trovare il coraggio politico.
Che senso avrebbe un ‘Alleingang’ che finirebbe per penalizzarla sul piano economico?
La Svizzera ha i mezzi per dimostrare che una trasformazione come quella che auspichiamo è possibile. È molto probabile che poi gli altri Paesi seguiranno l’esempio.
Trump tira una riga sull’Accordo di Parigi, i grandi gruppi energetici tornano a investire in modo massiccio nelle fonti fossili. I prossimi cinque anni rischiano di segnare l’avvio di una fase storica piuttosto cupa per il clima e l’ambiente. Non bisognerebbe giocare sulla difensiva, cercare di avanzare a piccoli passi, anziché con una specie di rivoluzione?
La scienza ci dice da tempo che il modello economico dominante non è sostenibile. La realtà è che noi utilizziamo più risorse di quelle che abbiamo a disposizione, minando le fondamenta stesse della nostra casa planetaria. Lo stiamo già pagando: il 2024 è stato l’anno più caldo da sempre, l’ultimo decennio anche. La nostra iniziativa rimanda semplicemente ai limiti planetari, un guard rail che ci impedisce di finire in un precipizio. Vogliamo davvero nascondere la testa sotto la sabbia e affrontare il problema quando sarà troppo tardi, in modo caotico e con misure drastiche? Abbiamo visto con la pandemia cosa significa affrontare impreparati una crisi planetaria.
Drastiche sarebbero anche le misure necessarie per attuare la vostra iniziativa. Cosa risponde a chi vi accusa di mettere in pericolo la piazza economica svizzera?
Il modello economico che conosciamo dagli inizi dell’industrializzazione crea squilibri sociali e ambientali: è un dato di fatto. Per le aziende è essenziale avere un sistema stabile, prevedibile. Nel recente passato abbiamo visto come eventi imprevedibili – la pandemia, la guerra in Ucraina – possano colpire duramente la catena di approvvigionamento. Il costo dell’inazione in ambito climatico sarebbe molto maggiore: uno studio del Politecnico federale di Losanna lo ha stimato in circa 10 miliardi di franchi all’anno per la Svizzera.
Molte aziende non saranno in grado di rivoluzionare la loro produzione in pochi anni.
Il testo dell’iniziativa è volutamente vago. Spetterebbe al Parlamento decidere come attuarla. E viste le maggioranze attuali, siamo sicuri che troverà il modo di non colpire in modo eccessivo le aziende svizzere. Si potrebbe cominciare eliminando tutti quei sussidi e quelle agevolazioni fiscali nocivi per l’ambiente e il clima. Penso ad esempio al trasporto aereo, che beneficia dell’esenzione dall’Iva e dall’imposta sugli oli minerali per il cherosene.
L’iniziativa farebbe aumentare i prezzi delle derrate alimentari e di numerosi prodotti, a scapito soprattutto delle persone con redditi modesti. Voi chiedete che venga attuata in maniera socialmente sostenibile. A quale tipo di misure pensate?
Una premessa: le crisi ambientali e climatiche rafforzano le disuguaglianze sociali preesistenti, anche perché a essere colpite più duramente sono proprio le persone con redditi modesti. Il principio guida dev’essere ‘chi inquina paga’. Siccome a inquinare di più sono le multinazionali e le persone ricche, sono loro che vanno chiamate alla cassa.
In che modo?
Con una tassa sui voli privati, ad esempio. O ancora tassando le eredità multimilionarie, come propone l’iniziativa popolare lanciata dalla Gioventù socialista.
A cosa dovranno rinunciare i cittadini se la vostra iniziativa verrà accolta?
Ripeto: toccherebbe al Parlamento decidere come attuarla. Noi non puntiamo il dito contro l’individuo, prescrivendogli come vivere, cosa e quanto consumare. Non vogliamo proibire alle persone di mangiare carne, ad esempio. D’altro canto, come società anche in Svizzera stiamo vivendo al di sopra delle nostre possibilità, con uno stile di vita consumistico e troppo dispendioso. Vogliamo semplicemente che i consumi siano in linea con le basi naturali della vita a nostra disposizione.
Asia Ponti, l’iniziativa dei Giovani Verdi chiede che in Svizzera non si consumino più risorse di quelle che la natura riesce a rigenerare. Non è una cosa ovvia?
Le risorse naturali non sono infinite, è innegabile. E capisco l’intenzione dei Giovani Verdi quando parlano di ‘limiti planetari’. D’altro canto, bisogna tener conto di altri fattori. Come il progresso tecnologico, che ci sta aiutando a trovare dei sistemi per limitare il consumo di determinate risorse e per sfruttare meglio quelle rinnovabili. Centrale è però la questione delle conseguenze di questa iniziativa.
A cosa pensa in particolare?
L’iniziativa non contiene proposte concrete di attuazione. Si limita a mettere un freno indiscriminato [alle attività economiche e ai consumi, ndr], e non è nemmeno chiaro di che tipo. Il nostro è un partito che predilige misure concrete, soluzioni pragmatiche per raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi sul clima.
La Svizzera supera i limiti del pianeta in tre ambiti: emissioni di gas a effetto serra, biodiversità e immissioni di azoto. Persino 230 esponenti del mondo della scienza affermano che questa iniziativa è necessaria. Questo per dire che non si tratta di un colpo di testa di giovani accecati dall’ideologia.
La Svizzera sta già facendo parecchio. Perché le scelte fatte diano i loro frutti, bisogna lasciare il tempo necessario. I promotori hanno il merito di aver portato avanti le loro idee. Ma questa iniziativa è estrema, il suo obiettivo è troppo ambizioso: non possiamo pensare di raggiungerlo nel tempo a disposizione [10 anni, ndr] senza che ciò abbia gravi conseguenze.
Iniziativa ‘estrema’, ‘eco-dittatura’, ‘ritorno al Medioevo’, ‘Svizzera ridotta a Paese in via di sviluppo’: si sente di tutto e di più. Ma in fondo i promotori lasciano ampio margine al Parlamento per attuare l’iniziativa. Il vostro sembra allarmismo bell’e buono.
Questa iniziativa pone un limite incisivo, ma non dice come lo si vuole far rispettare. Così non si dà la possibilità alle persone di sapere esattamente su cosa vanno a votare e quali sono le conseguenze concrete della loro scelta. Non essendoci chiarezza, posso capire che di fronte all’incognito molti ipotizzino misure estremamente drastiche.
Con un’iniziativa popolare si vuole iscrivere un principio più o meno astratto nella Costituzione. E poi non sarebbe la prima volta che popolo e cantoni approvano un’iniziativa ‘estrema’ che in seguito il Parlamento applica in maniera soft.
Viviamo in uno Stato di diritto, le cui leggi vanno rispettate. Per forza di cose il Parlamento ne deve tenere conto in sede di attuazione di un’iniziativa ‘estrema’. Se l’iniziativa dei Giovani Verdi verrà accolta, il limite che essa pone dovrà essere rispettato in un modo o in un altro. Con tutto ciò che ne consegue. Le iniziative popolari? La nostra sull’età di pensionamento [respinta lo scorso anno in votazione popolare, ndr] era piuttosto concreta e chiara.
In realtà i promotori qualcosa dicono su come si potrebbe attuare l’iniziativa. Citano ad esempio l’abolizione di sovvenzioni nocive per l’ambiente o l’imposizione fiscale del cherosene. Niente di straordinario, in fondo.
Con singole misure come queste e altre non riusciremo di gran lunga a risolvere il problema. I Giovani liberali radicali sono del parere che vi siano misure più efficaci, in linea con quanto la Svizzera sta facendo e con gli obiettivi internazionali che si è impegnata a rispettare.
Quali misure?
Semplificare la legge edilizia per facilitare il risanamento energetico degli edifici; incentivi fiscali alle aziende che investono nella digitalizzazione, riducendo quindi l’utilizzo delle risorse; e così via. Parliamo di un insieme di misure sostenibili dal punto di vista economico e in grado di rafforzare la transizione ecologica. La Svizzera può mostrare al mondo che una transizione economicamente sostenibile è fattibile.
Nemmeno le misure che lei cita sarebbero sufficienti. Il fatto è che la Svizzera, in quanto Paese di montagna, è particolarmente colpita dalle conseguenze del cambiamento climatico. E queste stanno causando costi enormi, sia agli enti pubblici che ai privati. In assenza di misure incisive in tempi brevi, il conto lo pagheranno la sua generazione e quelle successive.
Il cambiamento climatico e i suoi costi non si possono negare. Le contromisure avrebbero dovuto essere prese da un bel pezzo. La situazione oggi sarebbe stata più facilmente gestibile.
Non è stato fatto. Proprio per questo adesso occorre un colpo d’acceleratore.
La transizione funzionerà solo se condivisa, la società l’accetterà solo se economicamente sostenibile. Non dev’essere drastica, come quella proposta dai Giovani Verdi.