I documenti appena pubblicati dal gruppo di ricerca Dodis mostrano che l'adesione all'Ue rimaneva l'obiettivo a lungo termine
Trent'anni or sono, alla fine del 1993, il Consiglio federale ottenne dall'Unione europea l'apertura di negoziati sui primi accordi bilaterali settoriali, dopo un'offensiva diplomatica senza precedenti. I documenti appena pubblicati dal gruppo di ricerca Dodis mostrano che l'adesione all'Ue rimaneva l'obiettivo a lungo termine.
Dopo il no popolare del 6 dicembre 1992 allo Spazio economico europeo il governo elvetico non ritirò la richiesta di entrare in quella che allora era ancora la Comunità europea, che era stata presentata il 18 maggio dello stesso anno. Diede però la priorità all'avvio di negoziati bilaterali.
Nei confronti di Bruxelles i consiglieri federali Jean-Pascal Delamuraz e Flavio Cotti sosterranno "che l'approccio bilaterale era insufficiente e provvisorio". Ma a loro avviso era anche importante "che la Comunità europea desse un'immagine conciliante di sé al popolo svizzero, rimanendo pronta a concludere intese bilaterali settoriali".
All'inizio del 1993 – anno in cui alla Comunità europea è subentrata l'Unione europea – l'allora presidente della Confederazione Adolf Ogi cercò di spiegare la posizione elvetica alle controparti durante il Forum economico mondiale di Davos. In aprile il primo ministro britannico John Major fu il primo di un numero record di leader europei che sarebbero poi giunti a Berna. Fra i principali, in ottobre, il cancelliere tedesco Helmut Kohl, europeo convinto: a suo avviso l'impegno della Svizzera per l'adesione doveva essere "un imperativo ovvio". "La spavalderia svizzera è inutile a lungo termine", avvertì il politico Cdu.
Le mosse del Consiglio federale ebbero comunque successo. Il 9 novembre 1993, il Consiglio dei ministri degli esteri europei annunciò che l'Unione era pronta ad avviare negoziati bilaterali settoriali con la Svizzera. Il primo obiettivo intermedio di Berna era stato raggiunto. Ma la gioia non fu unanime: "Il trionfo appartiene ora agli oppositori" dello Spazio economico europeo, aveva riassunto un membro socialista del Consiglio degli Stati durante un dibattito in commissione. "È stato Blocher a dire che la Comunità europea avrebbe negoziato con noi e i fatti gli stanno dando ora ragione", si legge negli archivi.
Secondo Cotti alcuni "buoni avvocati, per non dire amici, hanno lavorato per conto della Svizzera", per far sì che tutti gli Stati membri dell'Ue accettassero la posizione negoziale della Svizzera. Da parte sua, il ministro Delamuraz sottolineò che richieste dell'Ue relative all'adozione delle normative comunitarie – "gli aspetti istituzionali che hanno causato tanta sofferenza nelle discussioni del 6 dicembre" – non erano state affatto escluse.
Nel dicembre 1993, il presidente francese François Mitterrand venne ricevuto da Ogi nell'Oberland bernese: una tale serie di visite di alto livello non aveva mai avuto luogo in Svizzera. Alla fine dell'anno l'esponente Udc (democentrista di quella che un tempo era la moderata ala bernese) si recò poi a Madrid: l'obiettivo era quello di conquistare "il partner negoziale più duro dell'Ue sulla questione dell'adozione del mandato per i negoziati".
I ministri degli Esteri degli allora dodici membri Ue erano all'epoca divisi sulla strategia da adottare con Berna. I Paesi dell'Europa meridionale (Spagna, Italia e Portogallo), che avevano molti cittadini che lavoravano in Svizzera, erano desiderosi di ottenere concessioni, mentre quelli dell'Europa settentrionale, meno interessati alla libera circolazione dei lavoratori, erano più moderati.
"L'offensiva del Consiglio federale ha chiaramente dato i suoi frutti: alla fine del 1993 è stato superato il primo ostacolo sulla strada degli accordi bilaterali con l'Ue", riassume lo storico Sacha Zala, direttore di Dodis (Documenti diplomatici svizzeri). Tuttavia ne rimarranno ancora molti altri prima di arrivare alla conclusione dei primi bilaterali, nel 1999.