Svizzera

Elettroshock, una ‘prima’ per il Tribunale federale

La terapia elettroconvulsivante fa il suo... esordio nelle aule dell’Alta corte. Che critica l’applicazione di questa misura a un detenuto

La sede losannese del Tribunale federale
(Keystone)
23 marzo 2023
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La terapia elettroconvulsivante, comunemente nota come elettroshock, costituisce una grave violazione dell'integrità fisica e mentale, così come della dignità umana. Lo pensa il Tribunale federale che, esprimendosi per la prima volta sulla questione, critica l'applicazione di questo trattamento nel quadro di una misura stazionaria.

La vicenda riguarda un uomo affetto da schizofrenia paranoide, condannato nel 2019 dal Tribunale distrettuale di Zurigo a una pena pecuniaria per coazione sessuale, esibizionismo e altri reati. Inoltre, nei suoi confronti era stata disposta una misura stazionaria.

Nella sua sentenza, indica il Tribunale federale, la corte zurighese non escludeva la possibilità di somministrare medicamenti forzati. Nel 2020, il Centro di terapia forense di Rheinau aveva richiesto un trattamento tramite elettroshock alle autorità cantonali preposte. La domanda si basava sul fatto che i farmaci prescritti non erano sufficienti a raggiungere gli obiettivi della detenzione.

Inoltre, l'interessato si era reso protagonista di ripetute aggressioni contro il personale. Per questa ragione, trascorreva la maggior parte del tempo in isolamento, spesso legato.

Nelle sue considerazioni, la Corte di diritto penale del Tribunale federale giudica che le autorità non avrebbero dovuto ordinare la terapia forzata. Un parere che si allinea a quello del grado di giudizio precedente, ossia il Tribunale amministrativo di Zurigo, secondo cui si tratta di una grave violazione dei diritti umani.

Stando ai giudici, questa cura è diventata più diffusa nel corso degli ultimi anni. Tuttavia, la questione se e in quali circostanze sia indicata dal punto di vista medico è controversa in ambito psichiatrico.

Per di più, la giurisprudenza del Tribunale federale esige che la terapia ordinata dalle autorità di esecuzione corrisponda a quella prevista dalla giustizia nella sua sentenza, criterio non soddisfatto in questo caso, dove si parlava semplicemente di trattamento farmacologico. Imponendo l'elettroshock contro la volontà del soggetto ci si è dunque spinti troppo in là.