Il Nazionale avalla (a stretta maggioranza) una parte della mozione, ma respinge nettamente l’idea di revocare il divieto
La riesportazione di materiale bellico elvetico dev’essere possibile solo se il Consiglio di sicurezza dell’Onu dichiara in una risoluzione una violazione del divieto dell’uso della forza ai sensi del diritto internazionale.
È quanto ha deciso oggi il Consiglio nazionale per 98 voti a 96 e 2 astensioni. Nell’esaminare una mozione con cui s’intende modificare la legge sul materiale bellico e, in particolare, le regole in merito alla riesportazione di armi in favore dell’Ucraina, il plenum ha tuttavia respinto una seconda parte dell’atto parlamentare – 117 voti a 78 – che avrebbe consentito al Consiglio federale di revocare il divieto di riesportazione anche nel caso in cui l’Assemblea generale delle Nazioni Unite avesse riscontrato, con una maggioranza di due terzi, una violazione del divieto internazionale sull’uso della forza. In questo caso, stando alla mozione il governo avrebbe potuto mantenere l’interdizione di riesportazione se l’abrogazione dovesse pregiudicare un interesse prioritario della politica estera svizzera.
Il primo ‘sì’ a un aspetto particolare della mozione, sebbene risicato, rappresenta soprattutto un atto simbolico di sostegno all’Ucraina nella guerra che l’oppone alla Russia. Diversi oratori hanno infatti ricordato il diritto di veto di cui dispongono i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza, ossia Stati Uniti, Cina, Gran Bretagna, Francia e la stessa Russia: è chiaro che quest’ultima opporrebbe il proprio veto qualora una simile risoluzione venisse presentata.
Tuttavia, a nome della commissione Priska Seiler Graf (Ps/Zh), ha sottolineato che è necessario che la Svizzera dia un segnale di disponibilità attraverso il Parlamento, dal momento che il Consiglio federale non intende fare nulla. Va ricordato che diversi Paesi – Germania, Spagna e Danimarca – hanno domandato alla Confederazione di poter riesportare verso l’Ucraina materiale bellico elvetico. Per ragioni legate alla neutralità, il Governo ha finora respinto tali richieste.
La seconda parte della mozione è stata invece respinta nettamente. In questo caso, la maggioranza del plenum – in particolare il centro-destra – ha fatto notare che l’Assemblea generale delle Nazioni Unite non può adottare decisioni giuridicamente vincolanti, come nel caso del Consiglio di sicurezza.
Un aspetto sottolineato anche dal consigliere federale Guy Parmelin, secondo cui la legittimità di questa istanza non è sufficiente. In questo caso prevale il diritto della neutralità che prevede la parità di trattamento.
La situazione cambierebbe qualora il Consiglio di sicurezza riconoscesse una violazione dell’uso della forza basandosi sul capitolo VII dello statuto delle Nazioni Unite in cui si ordinano o autorizzano misure militari: in questo caso sarebbe già oggi possibile per l’esecutivo allentare le regole riguardanti la riesportazione di materiale bellico, ha sottolineato il consigliere federale Udc. Ad ogni modo, il Consiglio di sicurezza non ha finora adottato risoluzioni del genere, ha fatto presente Parmelin, contrario alla mozione.
Per i fautori della mozione si tratta insomma di una vittoria a metà; toccherà ora al Consiglio degli Stati esprimersi sulla prima parte del testo legislativo: lunedì scorso, la Camera dei Cantoni ha aveva respinto un primo tentativo di allentare le regole in vigore per consentire l’invio di armi a Kiev.
Anche oggi gli avversari di un qualsivoglia allentamento delle regole attuali circa il materiale bellico hanno sviluppato in aula argomenti simili a quelli espressi dai ‘senatori’, specie democentristi, ossia che l’invio di armi diretto o indiretto è contrario alla neutralità, un bene a loro avviso che non ammette interpretazioni a geometria variabile.
Per Jean-Luc Addor (Udc/Vs), la mozione è stata presentata sull’onda dell’emozione per l’attacco russo e su pressione dall’esterno. La Svizzera, a suo avviso, farebbe bene a tenersi lontana da questa guerra – "che non è la nostra" – che vede affrontarsi in realtà la Russia, da una parte, e la Nato/Stati Uniti dall’altra, con l’Ucraina presa fra due fuochi.