Della proposta formulata da Thomas Hefti (Plr/Gl), sostenuta da una maggioranza, non si fa menzione in nessuno degli ultimi comunicati del Consiglio degli Stati
Lo stralcio di un avverbio dall'articolo 266 del Codice di diritto processuale civile potrebbe avere conseguenze negative sulla libertà di stampa, dando facoltà a un futuro giudice di bloccare la diffusione d'informazioni su una persona o su un'istituzione in caso di “pregiudizio grave”, non quindi “particolarmente grave” come stabilisce attualmente il testo di legge. È il Tages Anzeiger, e con esso diversi media svizzero tedeschi, a discuterne in modo approfondito, partendo dal fatto che la Commissione giuridica del Consiglio degli stati, che ha adottato questa proposta formulata da Thomas Hefti (Plr/Gl) – e sostenuta da una maggioranza – non ne ha fatto menzione nei comunicati diffusi negli ultimi mesi circa le decisioni adottate a proposito della revisione del Codice di diritti processuale civile, dossier oggetto di esame da parte del plenum il prossimo giugno. L'ultimo comunicato, con il quale si annuncia il voto finale favorevole alla revisione risale al 13 aprile scorso. Di questo non parlano né i comunicati precedenti, né l'ultimo in ordine di tempo, quello del 20 aprile, seduta durante la quale la commissione ha discusso dell'innalzamento dell'età per il futuro capo del Ministero pubblico della Confederazione.
Nemmeno il Tages Anzeiger di oggi fornisce una data precisa sul giorno in cui è stata adottata tale decisione, ma grazie alle ricerche degli ultimi giorni è stato in grado di dare un'identità all'autore della proposta, che contattato dal giornale ha scelto per ora il silenzio. Secondo il quotidiano, l'articolo 266 ‘Misure nei confronti dei mass media’ consente a un giudice di bloccare un servizio giornalistico se un ricorrente ne fa espressa richiesta qualora si senta leso nei suoi diritti. In caso di urgenza, il giudice può ordinare un provvedimento cautelare immediatamente e senza sentire la controparte (art. 265 Provvedimenti superprovvisionali). La proposta Hefti, insomma, potrebbe rendere ancor più agevole per la parte lesa adire i tribunali per impedire o ritardare la pubblicazione d'informazioni scomode. In genere, inoltre, il media interessato viene sentito settimane o mesi più tardi dal giudice, secondo il ‘Tagi’.
I provvedimenti superprovvisionali possono avere conseguenze sul lavoro d'indagine dei media, scrive il quotidiano, come dimostra la vicenda che vede coinvolti due giornalisti romandi che pubblicano sul loro sito Gothamcity.ch informazioni estratte da fonti giudiziarie riguardanti soprattutto casi di riciclaggio, corruzione e altri delitti economici; molti di questi dossier vengono bloccati dai legali delle persone o imprese citate o coinvolte in queste vicende, costringendo i due giornalisti a mettere mano al portafoglio per dimostrare le loro ragioni davanti ai tribunali. Nella maggior parte dei casi i provvedimenti superprovvisionali vengono tolti, ma sovente ciò accade troppo tardi. Per i giornalisti coinvolti si tratta di una sorta di censura. Peggio ancora, anche se hanno ottenuto ragione, come nei processi vinti di recente contro due multimilionari, rimangono a bocca asciutta benché il giudice abbia intimato alla parte soccombente di pagare.
“Quanto più sono ricchi, tanto meno pagano”, scrive il ‘Tagi’ citando François Pilet di gothamcity.ch. Sia Pilet che la sua collega Marie Maurisse, erano stati oggetti di un pezzo sul Tages Anzeiger pubblicato il primo di aprile, quando non era ancora stata presa la decisione della Commissione giuridica. I due avevano spiegato che le vicende raccontate si basano su fonti pubbliche (disponibili sia in Svizzera che all'estero, ma con un legame con la Confederazione); singole persone vengono citate se note al pubblico (per esempio se moderano dibattiti o partecipano ad altre manifestazioni pubbliche), sia che abitino in Svizzera o all'estero. Nel 2020, i due giornalisti avevano dovuto affrontare cinque provvedimenti superprovvisionali: non appena chiedevano informazioni supplementari agli avvocati o alle aziende toccate, partiva una richiesta a un giudice. “In genere, ricorrono ai tribunali adducendo a motivo la pubblicazione di nomi o la difesa dei diritti della personalità, mai per danni alla reputazione, poiché i fatti sono stabiliti in sentenze o decisioni”, indicavano i due giornalisti al foglio zurighese.