Secondo Michele Bianda dell’Irsol di Locarno, la missione permetterà, tra le altre cose, di comprendere meglio il fenomeno delle eruzioni solari
«Studiare il sole e capire meglio il funzionamento e l’origine del vento e delle tempeste solari». È l’obiettivo della sonda ‘Solar Orbiter’, lanciata ieri dalla base statunitense di Cape Canaveral, spiega a ‘laRegione’ Michele Bianda, direttore dell’Istituto Ricerche Solari Locarno (Irsol). E ciò sarà possibile anche grazie a un telescopio costruito dall’Alta scuola del Nord-ovest della Svizzera. «Quando si conosce come funziona un fenomeno è più facile prevedere cosa potrebbe succedere» sulla Terra. Insomma, questa missione dovrebbe permettere di capire quali ‘contromisure’ mettere in atto in caso di eventi estremi legati al sole.
La missione, realizzata dall’Agenzia spaziale europea (Esa) in collaborazione con la Nasa (la sua corrispettiva statunitense) durerà sette anni: dopo circa 24 mesi ‘Solar Orbiter’ arriverà alla distanza minima dal sole, ovvero a 45 milioni di chilometri, più vicino di Mercurio. Ciò corrisponde a circa un quarto della distanza che lo separa dalla Terra.
«Il sole emette materia e campo magnetico (il vento solare) che interagiscono con la Terra», rileva Bianda. Quando ciò avviene in grande quantità a causa delle cosiddette eruzioni solari, allora si parla di tempesta solare. «Fino a duecento anni fa l’unico effetto percepito in questi casi era la formazione di molte più aurore boreali, visibili anche in Svizzera. Oggi, invece, con lo sviluppo della tecnologia, esse possono avere effetti devastanti». Ovvero? «Nel caso di un’eruzione solare potentissima, tra equatore e poli si generano differenze di campo elettrico intensissime. Le conseguenze, se non si prenderanno provvedimenti, sarebbero, in estrema sintesi, dei blackout che provocherebbero danni per migliaia di miliardi di franchi», precisa il direttore dell’Irsol. «Stiamo tuttavia parlando di eventi che accadono ogni 150-200 anni».
Questo non è però un motivo per non prepararci a questa eventualità: «Oggi è importantissimo conoscere molto bene questi eventi, per capire come funzionano esattamente e quali conseguenze generano in casi estremi. E questo anche per riuscire ad adottare politiche di mitigazione dei danni nel caso in cui succedesse qualcosa», sottolinea Bianda.
Ma questi fenomeni si possono prevedere? «Oggi siamo in grado di prevederli in anticipo di alcuni secondi o minuti. Se il margine fosse di qualche ora, si potrebbero attuare tutta una serie di misure volte ad attenuarne gli effetti».
Uno degli scopi della missione è quindi cercare di capire «l’origine di questi eventi, ovvero quali sono i fenomeni fisici essenziali che li scatenano». Oltre a ciò, ‘Solar Orbiter’ permetterà «per la prima volta di condurre osservazioni complesse dei poli del sole». Ciò servirà a «studiare l’effetto dinamo» della nostra stella, ovvero di «capire come si produce il campo magnetico». Un altro mistero che potrebbe essere chiarito riguarda le temperature: «Ciò che noi vediamo del sole, ovvero la fotosfera, ha una temperatura di circa 6’000 gradi. Il sole ha però anche altre atmosfere più esterne, non visibili ad occhio nudo se non in occasione di eclissi totali di sole, che raggiungono milioni di gradi. Si suppone che sia un effetto dovuto al campo magnetico, ma non vi è la certezza assoluta. Forse questa missione permetterà di avere qualche certezza in più», si augura il direttore dell’Irsol.
Infine, secondo Bianda ‘Solar Orbiter’ ha qualcosa di «unico»: permetterà di effettuare misurazioni in loco (di particelle, plasma solare eccetera) e al contempo di osservare il sole. Insomma, permetterà di capire cosa sta succedendo nel posto in cui si trova la sonda e di comprenderne l’origine».
A bordo della sonda Solar Orbiter ci sono dieci strumenti, a tre dei quali ha contribuito anche la Svizzera. «Non è un caso: abbiamo una certa tradizione in questo campo», afferma a ‘laRegione’ Michele Bianda, direttore dell’Istituto Ricerche Solari Locarno (Irsol).
Un elemento chiave della missione è il telescopio Stix (Spectrometer telescope for imaging x-rays), realizzato da aziende e istituti svizzeri, in collaborazione con partner polacchi, francesi, cechi, tedeschi, austriaci, irlandesi e italiani, sotto la direzione dell’Alta scuola del Nord-ovest della Svizzera (Fhnw). «Esso permetterà di studiare le eruzioni solari: queste ultime emettono raggi x che potranno così essere osservati», precisa Bianda. Le conseguenti tempeste solari possono provocare, oltre a blackout, perturbazioni ai satelliti per le comunicazioni, alla rete Gps, agli aerei o alle reti elettriche. Il finanziamento di questo progetto è stato garantito dall’Agenzia spaziale europea e dallo Swiss Space Office della Segreteria di Stato per la formazione, la ricerca e l’innovazione. La Confederazione ha partecipato anche alla realizzazione di due altri apparecchi: l’Eui (Extreme ultraviolet image) e lo Spice (Spectral imaging of the coronal environment), sotto la supervisione dell’osservatorio di Davos, specializzato nello studio del sole.
La Svizzera è dunque piuttosto all’avanguardia in questo campo, conferma il direttore dell’Irsol. «Storicamente la ricerca in questo campo è iniziata verso il 1850 con gli studi di Max Waldmeier sulle macchie solari presso l’osservatorio federale. Più recentemente il primo esperimento fatto sulla luna nella missione Apollo 11 era un progetto elvetico dell’università di Berna: la cosiddetta vela solare ha permesso di analizzare, una volta a terra, la composizione del vento solare». Oggi sono poi attivi nel campo della fisica solare, lo Pmod/Wrc a Davos – affiliato al Politecnico di Zurigo e referente internazionale per la misura tramite satelliti dell’irraggiamento solare –, l’Fhnw e, in Ticino, l’Irsol, associato all’Usi e specializzato in osservazioni dal suolo e nella loro interpretazione teorica e numerica. A Locarno vi è anche la Specola Solare Ticinese, attiva nel conteggio delle macchie solari.