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Affinità e divergenze tra Alcaraz e Federer

Fresco vincitore del Roland-Garros, il 21enne spagnolo è il giocatore che, per caratteristiche, fra quelli attuali ricorda maggiormente King Roger

In sintesi:
  • Più giovane tennista della storia ad aggiudicarsi tre Slam su tre superfici diverse, lo spagnolo Carlos Alcaraz – reduce dal successo parigino – possiede il più vasto repertorio fra i giocatori della nuova generazione
  • Più che al suo connazionale Rafael Nadal, l'iberico è paragonabile – per vari motivi – a Roger Federer
  • La rivalità fra Carlitos e l'italiano Jannik Sinner – nuovo numero 1 al mondo – è destinata a essere ricordata a lungo
11 giugno 2024
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C’è un video che circola tanto in queste ore. Carlos Alcaraz ha 12 anni ed è seduto sulla panchina di un circolo di tennis indossando una maglietta della squadra spagnola. Il giornalista gli pone una serie di domande a raffica, fra le altre: «qual è il tuo sogno?», «vincere Wimbledon e il Roland-Garros», risponde Carlitos, con una chioma così folta che sembra non gli stiano in testa, tutti quei capelli. Appena 9 anni dopo, Alcaraz ha già realizzato il suo sogno: a 21 anni è il più giovane della storia del tennis a riuscire a vincere tre Slam su tre superfici diverse, US Open, Wimbledon e ora il Roland-Garros. È il primo a vincere uno Slam vincendo semifinale e finale al quinto set, da Roger Federer agli Australian Open del 2017.

Vince un Roland-Garros spettacolare, a cui era arrivato tra i favoriti più per curriculum che per stato di forma. Alcaraz, infatti, giungeva da diversi problemi fisici all’avambraccio, che per le due settimane parigine ha tenuto fasciato da un calzino tecnico (si chiama “arm sleeve”). È stato un periodo in cui qualche nuvoletta gli si era addensata attorno. Il suo tennis era forse troppo dispendioso? O forse il suo fisico era troppo fragile? Il suo tennis disordinato, la sua mente svagata.

Si può dubitare di tutto

Dopo il ritiro di Djokovic, mercoledì sera, Jannik Sinner – il rivale diretto di Alcaraz – è diventato il numero 1 del mondo. Meno di un anno fa, dopo la vittoria a Wimbledon, Carlitos si presentava con i crismi del futuro dominatore mondiale, e il fatto che oggi non lo sia ancora diventato – perché ha trovato un altro giovane favoloso alla sua altezza – dovrebbe eccitarci. Il tennis alimenta la sua narrazione grazie alle rivalità, non con i domini (ricordiamo più il dominio di Jimmy Connors o la rivalità tra Borg e McEnroe?)

Mentre oggi rimettiamo in fila questi dubbi, nella nostra testa, ci sentiamo stupidi: si può dubitare davvero di tutto in questa vita, persino delle cose più lampanti, come la bravura di Carlos Alcaraz a giocare a tennis. Per fortuna poi tornano le partite, Alcaraz va in campo, la terra rossa è una superficie che gli permette di esprimere tutta la vastità del suo repertorio, e lui vince le partite.

Questo Roland-Garros è stata una grande esibizione del suo talento. Aveva vinto solo tre partite su terra prima di Parigi, nel 2024, in un poco convincente torneo di Madrid, dove aveva perso ai quarti da Andrey Rublev. Era riuscito nell’impresa di far sembrare uno dei giocatori più incostanti del circuito un rigoroso illuminista dell’arte tennistica.

La semifinale contro Sinner

Al Roland-Garros non ha perso un set fino alla semifinale, dove ha incontrato il suo rivale, Jannik Sinner. Non è stata la più bella sfida tra loro due, che sono andati fin troppo a corrente alternata, morendo e risorgendo di continuo all’interno della stessa partita. Sinner ha sbranato Alcaraz nel primo set, per poi sgonfiarsi, esausto, nel secondo. C’è stato l’intervento del fisioterapista appena in tempo per vedere Alcaraz spegnersi. Il quarto e il quinto set, però, sono stati fiammeggianti, soprattutto per merito di Carlitos, che ha alzato il proprio rendimento su vette irraggiungibili da chiunque.

Il game decisivo del match è stato probabilmente l’ultimo del quarto set. Sinner serviva per andare sul 5 pari, ed era davanti 30-0; chiamato a rete da Alcaraz, ha giocato un recupero di rovescio molto profondo, che avrebbe mandato in crisi qualsiasi avversario. Alcaraz, invece, ci è arrivato e ha giocato un lob magico, profondo, appena negli ultimi centimetri di campo.

Da quel momento l’inerzia del game è cambiata, e Sinner – sotto pressione – ha sbagliato uno smash a rimbalzo facile che infine gli ha fatto perdere il set. Quando il tennis diventa una questione di tocco, sensibilità, inventiva, Alcaraz diventa il re del campo; quando si gioca su angoli inusuali, fuori dalla propria zona di comfort – e lo scambio diventa una sfida di fioretto – Alcaraz conosce più trucchi di tutti gli altri.

Questo aspetto, che gli ha permesso come altre volte di avere la meglio su Sinner, è stato decisivo anche nella finale con Alexander Zverev. Il tedesco è la riduzione suprema del tennis alla sola dimensione atletica, e Alcaraz allora, dopo un po’ di fatica, lo ha tirato fuori dal tennis in cui lui era più a proprio agio, quello di maratona, dove vince l’ultimo che resta in piedi.

Ha variato le traiettorie in altezza e in profondità; ha giocato lungo e corto, palle alte in topspin che toglievano ritmo, e poi back mortali che scendevano in zone di campo ambigue. Zverev era costretto a venire verso la rete, a confrontarsi con angoli inusuali; è stato costretto a confrontarsi con l’irregolarità del tennis, ed è sembrato impacciato, a disagio.

I punti che sono rimasti negli highlights della finale sono i prodigiosi recuperi di Alcaraz sugli attacchi di Zverev, ma forse per capire meglio il motivo della sua vittoria bisogna vedere il colpo che ha preparato quel vincente, spesso un tiro corto che attirava Zverev fuori dalla sua comfort zone.

‘Il mio idolo? L’elvetico’

In quell’intervista che sta circolando in queste ore, l’Alcaraz bambino dice un’altra cosa interessante. Gli chiedono qual è il suo idolo, il suo giocatore preferito, e lui risponde “Roger Federer”. È una dichiarazione controintuitiva, perché qualsiasi bambino spagnolo che gioca a tennis non può che crescere nel mito di Rafael Nadal, in teoria. Gli somiglia anche vagamente, nell’aspetto fisico. È certo che Alcaraz ammiri Nadal, ma il modo in cui ha schivato il paragone con lui in questi anni non è solo una mossa diplomatica, un modo per scansare un po’ di pressione. C’è anche il modo in cui Alcaraz vede sé stesso come campione di tennis, che vuole essere effettivamente più simile a Federer che a Nadal.

Intendiamoci: i giochi di paragoni sono sempre, appunto, giochi. Roger Federer è stato e rimarrà sempre unico nella storia del tennis. Però non si può negare che c’è qualcosa, tra ciò che rendeva unico Federer, che appartiene anche ad Alcaraz. Non è qualcosa di del tutto tangibile, ma che possiamo ritrovare su un piano più astratto. La meccanica dei colpi tra i due è diversa, la presenza in campo è diversa. Alcaraz è esplosivo, guizzante, dove Federer era felpato, felino. Alcaraz è vocale, emotivo, Federer era una statua.

Il tennis di Federer era progressivo, graduale, dove quello di Alcaraz è più fatto di strappi improvvisi; il tennis di Federer era di dominio e controllo, costruito su un servizio devastante, e tendeva all’annullamento del rivale; il tennis di Alcaraz tende invece a volte a conformarsi su quello avversario, ad aggirarne gli ostacoli.

Le similitudini

Però, se ci spostiamo su un campo meno tangibile e più generale, c’è un approccio al gioco che può accomunarli, un modo di concepire il tennis come un’arte dell’abilità e non della forza. Un carattere classico di questo sport, ma che oggi ha contorni chiaramente contro-culturali. Come Federer, Alcaraz ha bisogno di divertirsi per giocare bene a tennis. Ha bisogno di sorridere, di essere leggero, di sentire la palla. Ha bisogno cioè di nutrire la sua sensibilità percettiva in campo, perché il suo gioco è fatto di traiettorie anticonvenzionali, idee laterali e improvvise.

Alcaraz, come Federer, è cresciuto con un approccio ludico al tennis, dove non c’è pura espressione di competitività e agonismo, e dove l’estetica e l’efficacia non sono in contraddizione tra loro. Un colpo bello può permettere di venire fuori da situazioni di punteggio difficili, e può aiutare a giocare meglio: aumenta l’autostima, migliora la percezione, scioglie il braccio. Alcaraz ama giocare anche per il pubblico, mettere su uno spettacolo; mettere su una bolla d’esaltazione in cui il suo gioco fiorisce.

Il suo repertorio tecnico è così vasto che può disegnare il campo con qualsiasi tipo di geometria, e ci fa venire in mente quella citazione di McEnroe, secondo cui solo pochi giocatori sanno veramente esplorare tutto il campo da tennis. Il tennis contemporaneo è fondato sulla regolarità, dove il tennis di Alcaraz è invece basato su una spezzatura del tempo e dello spazio convenzionali di una partita.

Anche i difetti di Alcaraz, curiosamente, sembrano gli stessi di Federer a inizio carriera, quando sembrava schiacciato dalla vastità del suo repertorio, e giocava partite incostanti e disordinate. Come le peggiori partite di Alcaraz in questo momento. Federer ha poi imparato l’arte dell’essenzialità, mentre è più difficile immaginare che Alcaraz asciughi troppo il suo tennis. Senza il servizio di Roger, ha bisogno di essere più creativo possibile.

Repertorio ricchissimo

La vittoria su tre superfici diverse conferma la completezza del suo repertorio, e l’universalità del suo tennis, che attorno all’estro, alla libertà mentale, alla completezza tecnica può avere successo ovunque. Non era, questa, proprio la ricetta che immaginavamo per il tennis del 2024, e per questo Alcaraz è ancora oggi un incredibile sorpresa, che dimostra quanto lo sviluppo di uno sport non segua sempre rette predefinite, e che il talento può prendere forme diverse e impreviste.

Quando Federer si è ritirato, il suo stile di gioco sembrava quello meno replicabile tra i Big Three, e invece possiamo dire che il miglior giocatore contemporaneo, e quello dall’aria più futuristica, pur con tutte le sue specificità, gli somigli più di quanto somigli a Nadal o a Djokovic. Lo avreste detto?