La Corte federale ha chiuso la vertenza legata al numero uno al mondo, costretto a lasciare l’Australia. Ora spazio al torneo, senza il suo numero uno
«Ora mi prenderò un po’ di tempo per riposarmi e riprendermi. La decisione della Corte, significa che non posso rimanere in Australia e partecipare agli Australian Open. Mi sento a disagio per l’attenzione delle ultime settimane, tutta quanta su di me. Spero che ora possiamo concentrarci tutti sul gioco e sul torneo che amo. Vorrei augurare ai giocatori, ai funzionari del torneo, allo staff, ai volontari e ai tifosi tutto il meglio per il torneo. Infine, vorrei ringraziare la mia famiglia, i miei amici, la mia squadra, i tifosi e i miei compagni serbi per il vostro continuo supporto. Siete stati tutti una grande fonte di forza per me».
Novak Djokovic ha lasciato l’Australia, costretto a farlo dalla decisione della Corte federale che riconoscendo la bontà del verdetto emesso sabato dal ministro dell’Immigrazione australiano, Alex Hawke (visto del serbo cancellato), ha messo la parola fine su una vicenda che si trascinava da dieci giorni, tra accuse, rinvii, attese, verdetti e ricorsi. Hawke ha elogiato la decisione della Corte di confermare la cancellazione del visto di Djokovic, definita «una questione di sicurezza pubblica durante la pandemia. Accolgo con favore la sentenza unanime della Corte federale che conferma la mia decisione, presa nell’interesse pubblico. Le forti politiche di protezione delle frontiere dell’Australia ci hanno tenuto al sicuro durante la pandemia, determinando uno dei tassi di mortalità più bassi, il più forte recupero economico e un tasso di vaccinazione più alto al mondo. Anche forti politiche di protezione delle frontiere sono fondamentali per salvaguardare la coesione sociale dell’Australia, che continua a rafforzarsi nonostante la pandemia – ha proseguito Hawke –. Gli australiani hanno fatto grandi sacrifici per arrivare a questo punto e il governo Morrison è fermamente impegnato a proteggere questa posizione. A oggi in Australia sono state somministrate circa 43 milioni di dosi di vaccini e oltre il 91,6% degli australiani di età pari o superiore a 16 anni è completamente vaccinato. Di conseguenza, l’Australia è stata in grado di avviare una riapertura graduale e sicura del suo confine internazionale grazie a questo programma di vaccinazione di successo», ha concluso.
Nella sua decisione che aveva ribaltato il verdetto del giudice Kelly, il quale aveva ritenuto valido il visto del numero uno al mondo consentendo di prolungare la sua permanenza e di allenarsi regolarmente fino a sabato, Hawke era sostenuto dal primo ministro australiano Scott Morrison, sbilanciatosi a favore dell’espulsione di Djokovic in tempi non sospetti, sin dal suo atterraggio a Melbourne. «Ho accolto con favore la decisione di mantenere forti i nostri confini e proteggere gli australiani – ha commentato Morrison –. Questa decisione è stata presa per motivi di salute, sicurezza e buon ordine, in quanto ciò era nell’interesse pubblico. Gli australiani hanno fatto molti sacrifici durante questa pandemia e giustamente si aspettano che il risultato di quei sacrifici venga protetto. I confini forti sono fondamentali per lo stile di vita australiano, così come lo stato di diritto. Ora è il momento di andare avanti con gli Australian Open e tornare a godersi il tennis durante l’estate», ha poi concluso.
Già, il torneo che è appena scattato con l’inserimento in tabellone di un “lucky loser” (ripescato) che a modo suo entrerà nella storia, l’italiano Domenico Caruso (Atp 150), sul quale si sono naturalmente spostati i riflettori, almeno per qualche ora di non richiesta notorietà. Per quel quarto d’ora di celebrità cui tutti hanno diritto, come profetizzò Andy Warhol. «Non ho seguito molto la vicenda Djokovic, sono qui per giocare a tennis. Diciamo che sono diventato il “lucky loser” più famoso della storia», ha commentato il tennista siciliano, consapevole di un’investitura della quale forse avrebbe fatto a meno. «Onestamente fra tennisti non si è parlato troppo della vicenda Nole. Qui ci giochiamo uno Slam e siamo concentrati sul nostro lavoro – ha aggiunto –. Per lui è una brutta botta, ma è un grandissimo campione e credo che col tempo troverà la forza per superare anche questo momento di difficoltà».
Una bella botta l’ha presa il tennis in generale, uscito malconcio da una storia che si è trascinata malamente nei tribunali, uscendo così dai confini dei campi sui quali si dovrebbe invece consumare lo sport. Lo testimonia anche la presa di posizione dell’Atp che si è finalmente espressa parlando di “sconfitta per il tennis”.
Anche se la “legnata” più dolorosa se l’è presa lo stesso Djokovic, costretto a rinunciare all’obiettivo di vincere gli Australian Open per la decima volta, all’assalto all’agognato 21esimo Slam. Un passaggio a vuoto inatteso al termine di una carriera non più lunghissima, con relativo danno d’immagine ed economico che secondo le prime stime potrebbe raggiungere i 50 milioni di euro. Tutto per l’ostinata scelta di non vaccinarsi contro il Covid. Un irrigidimento, quello del 34enne serbo, che lo vede in netta minoranza rispetto ai colleghi: il 97% dei primi 100 del ranking si è infatti inoculato il vaccino, secondo quanto ha reso noto l’Atp stessa. A rischio, per Nole, anche la prima poltrona mondiale. Proprio sfruttando Melbourne lo possono detronizzare il russo Daniil Medvedev (n. 2) e il tedesco Alexander Zverev (n. 3), a condizione di vincere il torneo.
È però anche possibile che la fine del sogno australiano non sia il guaio peggiore che attende Djokovic nei prossimi mesi. «Penso che Nole stia facendo un grosso errore a non farsi vaccinare. Uno sbaglio che minaccia il resto della sua carriera e la sua possibilità di affermarsi come il più grande giocatore di tutti i tempi», ha commentato Boris Becker, sei volte vincitore nel circuito del Grande Slam ed ex allenatore del serbo, intervistato dal Daily Mail. Il Covid «ha cambiato il mondo e sarà molto difficile per lui condurre una vita da tennista professionista senza vaccinazioni. Forse un giorno si tornerà alla normalità, ma a 34 anni non ha molto tempo per raggiungere i suoi obiettivi», avverte il tedesco. Ricordiamo che l’ingresso negli Stati Uniti, dove si giocano non solo gli Us Open, ma anche tre dei nove Master 1000, prevede un ciclo vaccinale completo per gli stranieri. Rare le esenzioni: essere guariti dal Covid, ad esempio, non è una di queste. Anche la Parigi del Roland-Garros promette di essere molto severa in tema di vaccini, così come la Londra di Wimbledon. Per non parlare del pericolo di divieto di ingresso in Australia per tre anni, eventualità (da valutare) prevista dal decreto di espulsione di Hawke. «Stiamo attraversando momenti molto difficili in tutto il mondo con questa pandemia. C’è una soluzione: il vaccino, tutto qui». «Non so se lo farà – ha detto Becker – ma se non lo fa, tra dieci anni si renderà conto di aver commesso un errore».
I familiari di Novak Djokovic si sono detti fortemente delusi dall’epilogo della vicenda. In un comunicato diffuso dai media a Belgrado, la famiglia di Djokovic sostiene che a prevalere è stata la politica insieme a tutti gli interessi che hanno avuto il sopravvento. «Pur dinanzi al comportamento scandaloso nei riguardi di Novak, credevamo che a vincere sarebbe stato lo sport. Credevamo che sarebbe stata accettata la circostanza confermata dal giudice, cioè che Novak ha un visto valido, che la giustizia verrà soddisfatta e che nessun “interesse pubblico” sarà pretesto per la decisione che è stata presa. Quello che tutti dobbiamo fare, soprattutto noi come suoi familiari, è di mostrargli l’appoggio più forte di sempre. Dobbiamo aiutarlo a riconquistare energie, fiducia in questo sport, prima di tutto nel fair play che in questo caso è mancato completamente. Siamo orgogliosi di lui e della forza che ha messo in mostra e della lotta che ha condotto con dignità. Crediamo che da questa situazione uscirà più forte e che il tempo mostrerà quello che incontestabilmente lui ha sempre confermato finora, e cioè che è un grande campione e un grande uomo».
Decisamente più duri i toni usati dal presidente serbo Aleksandar Vucic, il quale alla Bbc ha detto che Novak è stato «vessato dal governo australiano e trattato come un assassino seriale. La decisione odierna poteva essere presa già dieci giorni fa». Sarebbe stato trattato «in modo del tutto diverso se non fosse stato serbo. È arrivato in Australia con un permesso medico, e lo hanno maltrattato per dieci giorni. Perché lo hanno fatto? Non è stata nei suoi confronti una caccia alle streghe? C’è qualcosa di strano che nessuno può capire. Nole non è il solo a essere stato umiliato. A essere stati umiliati sono coloro che hanno organizzato questo processo di caccia alle streghe contro una persona e contro un Paese». È stato detto che in Serbia la percentuale di vaccinati è al di sotto del 50%, mentre ufficialmente gli immunizzati sono il 58%, e oltre il 62% se si considera il numero reale di persone che vivono in Serbia, dove il tasso di vaccinazione è più alto di tanti Paesi dell’Ue, in particolare in Paesi vicini quali Bulgaria, Romania, Slovacchia e perfino Estonia. Si è trattato di un’argomentazione assurda, ma in rappresentazioni alla Orwell tutto è possibile».
«Ai Mondiali di atletica indoor in programma in marzo a Belgrado – ha aggiunto Vucic – gli sportivi australiani saranno accolti in Serbia in modo molto migliore. Mostreremo che siamo migliori delle autorità australiane. Grazie al popolo dell’Australia che, sono sicuro, ama il popolo serbo tanto quanto noi amiamo loro».