Tennis

Roger Federer: ‘A Wimbledon il picco della forma’

Dopo 13 mesi il basilese torna in campo al torneo di Doha: ‘Dopo il secondo intervento al ginocchio ho sofferto. Sto bene, ma non sono ancora al massimo’

Keystone

Per un curioso scherzo del destino, il rientro sul Circuito di Roger Federer coincide con l’incoronazione di Novak Djokovic quale tennista con il maggior numero di settimane trascorse in vetta alle gerarchie mondiali, ben 311, contro le 310 del basilese, al quale il serbo ha così sottratto uno dei suoi tanti record. Eppure, è come se l’8 marzo celebrasse di più il ritorno del Sommo, restituito al tennis dopo una lunghissima assenza, più di quanto esalti l’impresa del numero uno al mondo, per quanto meritevole essa sia. Non solo perché annunciata da qualche settimana, bensì soprattutto perché l’impatto che i due hanno da sempre e continuano ad avere sulla disciplina che hanno portato a livelli impensabili, per qualità e titoli - entrambi, ma è giusto metterci anche Nadal - è molto diverso. Lo si evince anche dai commenti alle esternazioni social di Djokovic di queste ore: lui giustamente parla di giornata storica, e ci mancherebbe. Moltissime le condivisioni, le congratulazioni. Ma c’è anche chi si affretta a sottolineare “sì, è storica perché Federer torna finalmente in campo”. L’ironia è sempre benvenuta. Dietro a una battuta, però, si cela un pensiero condiviso da una moltitudine di appassionati. Pur riconoscendo a Djokovic tutti i meriti e gli onori del caso - negli ultimi dieci anni ha vinto 56 titoli, tra i quali 15 Slam, 4 Atp Finals e 27 “1000”, chiudendo per sei volte l’anno da numero uno - sappia che l’8 marzo non sarà mai solo la sua giornata.

Molto bene le ultime tre settimane

Una doppia operazione al ginocchio, qualche momento molto complicato dopo il secondo intervento, 13 mesi di assenza dai campi da gioco. Per Roger Federer, impegnato a Doha dove ha vinto a tre riprese, è il momento di tornare sulla ribalta del tennis, dalla quale manca dal gennaio del 2020 (Melbourne). «Ci sono tanti punti interrogativi - ammette il 39enne basilese, 40 anni il prossimo 8 agosto, circa il suo imminente rientro in campo -. La sfida più immediata è tornare a fidarsi completamente del mio fisico, dopo una pausa così lunga. Ho già raggiunto un buon livello di forma, ma naturalmente non posso certo dirmi al massimo. Sono però meravigliato da quanto bene sia andata nelle ultime tre settimane di allenamento. Le partite, però, sono un’altra cosa. L'idea di rivedere i colleghi mi emoziona, sono felice di essere tornati. Il Circuito mi è mancato, per me è come una seconda famiglia».

Ha passato settimane difficili, dopo la seconda operazione al ginocchio. «Non ho tanta voglia di addentrarmi in quanto è successo, anche perché non so esattamente cosa sia successo tra il primo e il secondo intervento. Le prima quattro settimane dopo la prima operazione sono trascorse senza problemi. Non ho esagerato e non ho giocato a tennis. In qualche modo, però, il ginocchio si è ribellato, non ne voleva sapere. Qualcosa era successo. Il medico dopo una risonanza mi ha detto che non potevo esimermi da un secondo intervento».

È stato scoraggiante

È il stato il momento più brutto. «Dopo la seconda operazione e altre due settimane con le stampelle la muscolatura era calata vistosamente. Dal primo intervento ero uscito come uno sportivo d’alto livello, dalla seconda purtroppo no. È incredibile quanto rapido possa essere il declino atletico. Ecco perché è stato abbastanza scoraggiante».

Inevitabile fare un pensiero al ritiro. «In un anno trascorso con il team e con la famiglia la discussione sul futuro viene per forza affrontata. Dopo la prima operazione l’obiettivo era Wimbledon 2020, in quanto non erano attese complicazioni. Dopo essere stato una seconda volta sotto i ferri, mi sono fatto qualche domanda in più. La pandemia non ha semplificato le cose. Una cosa era però certa dall’inizio: avrei comunque affrontato la riabilitazione, perché più avanti voglio poter giocare ancora a calcio o a basket, o andare a sciare con i miei figli e i miei amici. Il ritiro non è mai stato un tema, lo sarebbe diventato se il problema al ginocchio si fosse protratto per mesi. Ho sempre avuto la sensazione che la mia storia non fosse ancora giunta alla conclusione».

Una partita alla volta

Ha un piano per i mesi a venire? «Molto di ciò che farò è scritto nelle stelle. Al momento non posso che pensare a un torneo alla volta, partita dopo partita analizzerò la mia situazione. Dopo Dubai avrò un periodo che va dalle quattro alle sei settimane che sfrutterò per diventare più rapido ed esplosivo, per muovermi meglio. Il primo passo verso un ritorno alla normalità è la fase che precede Wimbledon. Si tratterà di capire come reagisce il ginocchio, come mi sento sul Circuito. I risultati sono di secondaria importanza. Utilizzerò i tornei fino ad Halle per giungere al picco della forma a Londra».

Regge un paragone con il ritorno (vincente) del 2017? «Non sono situazioni paragonabili. Allora ero completamente ristabilito e non dovevo preoccuparmi di eventuali ricadute. Stavolta il percorso di recupero è stato più lungo e tortuoso. Ci sono molti interrogativi aperti rispetto all’Hopman Cup e agli Australian Open di quattro anni fa. Tutto quanto farò prima di Wimbledon fa parte della ricostruzione. Ho ancora bisogno di un blocco di allenamenti, a dimostrazione del fatto che non sono al livello del 2017, pur essendo pronto per affrontare un torneo. È una sensazione bellissima, nonché un bel passo avanti rispetto allo scorso autunno».

Record fatti apposta per essere battuti

Con il titolo di Melbourne conquistato da Novak Djokovic, si è fatta ancora più palpitante la lotta per la conquista del maggior numero di torneo dello Slam (Federer e Nadal ne hanno vinti 20). «È molto affascinante, questa storia. Quello che Rafa e Novak sono riusciti a fare in questi mesi è sensazionale, nemmeno loro sono più dei 25enni. È come se fossero sempre al massimo. Ora io punto maggiormente alla mia salute e al mio gioco. Ricordo che per me fu importante battere i record di Sampras. Ora sono io il riferimento, per Nadal e Djokovic, così come Pete lo fu per me molti anni fa. Non nego che mi farebbe piacere conservare il miei record, ma sono fatti apposta per essere battuti».

Mascherina, per essere un esempio

Il coronavirus. «Per fortuna ne sono stato risparmiato, anche se la garanzia di continuare a esserlo non c’è, pur essere molto prudenti. Tutti stiamo affrontando questo periodo più o meno alla stessa maniera. Abbiamo imparato a usare con frequenza parole come quarantena, isolamento, covid-19. Mi ci sono dovuto abituare anch’io. Come padre di famiglia, ho dovuto spiegare ai miei figli il motivo per cui non potevano vedere i nonni o gli amici, o perché bisogna mantenere le distanze ed evitare di stringersi la mano. Sono tempi davvero speciali, ma è pur vero che, come spesso accade nella vita, ci si abitua. All’inizio consideravo un po’ ridicole le foto con i fans con la mascherina, quantomeno all’esterno. Nel frattempo però la indosso io per primo, per proteggere me stesso e gli altri, per dare il buon esempio».

Il tennis senza spettatori. «Nei primi turni non lo considero così penalizzante o diverso dal passato, in fondo ci siamo abituati, sono situazioni che in allenamento si verificano e che in certi tornei già abbiamo vissuto. Per contro, quando si entra nelle fasi calde di un torneo, magari contro un giocatore di prima fascia, diventa una situazione strana. Sono curioso di vedere che effetto fa. Ogni spettatore che può avere accesso al campo è benvenuto, perché senza pubblico non c’è divertimento. Un paio di centinaia di persone già contribuiscono a fare ambiente».

Nostalgia contenuta

La lunga assenza, l’infortunio, i dubbi. Mai provata un po’ di nostalgia per il tennis? «Se so che quel torneo io non lo potrei vincere, allora non ho alcuna nostalgia. A quel punto lo guardo come farebbe un tifoso. Da un certo punto di vista, sono stato felice di non aver dovuto vivere gli Australian Open con l’isolamento al quale i colleghi hanno dovuto sottostare, senza pubblico. Per me è tutto nuovo, a partire dall’arrivo qui a Doha. È incredibile constatare come tutto sia cambiato».

Per tanti mesi è rimasto a stretto contatto con la famiglia, con i figli. Ora riecco una fase che vedrà Federer lontano da casa. «Mi fa sempre piacere quando mi chiedono di non andare via. Segno che manco loro e che mi vogliono bene (ride, ndr). Rispondo loro che sono rimasto tanto a casa e prometto che tornerò presto. Che io esca al primo turno o vinca il torneo, sarà un’esperienza positiva. Sarà interessante capire come vivrò la “bolla”. Al momento la famiglia non può accompagnarmi. Il futuro mi dirà cosa ha senso fare e quanto a lungo starò lontano da casa».