Dal calo di motivazione alla vittoria su Tommy Robredo. Intervista al 22enne luganese, numero 9 in Svizzera
Un balzo di duecento posizioni nella classifica mondiale, in cui non era mai stato così in alto (il 12 ottobre, con la 741a posizione, ha raggiunto il suo best ranking, l'aggiornamento settimanale lo pone ora al 744° posto) e l'entrata nella ristretta cerchia degli N1 a livello nazionale. Il rientro alle competizioni di Rémy Bertola, dopo il lockdown e il blocco dei tornei a causa della pandemia, è stato buono. Ma per il miglior singolarista ticinese, i mesi scorsi non sono stati semplici. «Essere il nono giocatore in Svizzera è gratificante per l'impegno che ci sto mettendo». Ma è al piazzamento nella graduatoria Atp, che il miglior singolarista ticinese guarda con attenzione. «Più si sale e più si ha accesso ai tabelloni principali dei tornei, senza passare dalle qualificazioni», ci dice il 22enne di Lugano da Gazzada, dove si è trasferito quando le condizioni sanitarie gli hanno permesso il rientro in Lombardia. «Col mio team ci siamo spostati da Milano Tre a Casorate Sempione e abbiamo avviato una collaborazione con il maestro Marco Brigo al tennis Le Querce. Abbiamo inoltre preso in gestione un altro piccolo circolo, a Castano Primo, del quale abbiamo rifatto i campi. Possiamo così allenarci su due superfici: terra e cemento».
La situazione legata al coronavirus lo ha tenuto lontano dall'allenatore per diverse settimane. «Non interagire con lui, mi è pesato parecchio a livello mentale e di routine quotidiana, e ne ho sofferto. Soprattutto in campo, dove non avevo obiettivi o, se c’erano, erano diversi da quelli che può dare chi ti segue. È difficile spiegare, più che altro è una sensazione: vai ad allenarti e sai che con te non c'è nessuno. È complicato».
La ripresa dei tornei non ha migliorato le cose. Non subito. «All'inizio erano solamente in Svizzera. Li ho giocati perché i montepremi erano interessanti; ma non ho avuto con me l'allenatore, poiché preferisco che sia al mio fianco agli eventi internazionali, di tutt'altro calibro. Ero solo e ciò mi ha creato una vuoto dentro. Non arrivo a chiamarla depressione, però avevo perso un po’ la fiamma. Le giornate mi parevano più lunghe, stavo sempre per conto mio e ne risentivo. Mi chiedevo per cosa mi stessi allenando, gli obiettivi erano diversi, continuava a esserci poca chiarezza su cosa sarebbe successo con la pandemia».
Neuchâtel, Cadro e l'Interclub Lna con Ginevra sono stati occasione per ritrovare le partite. Se ne dice grato, «ma che fatica trovare le giuste motivazioni. Mi sono accorto che disputavo queste competizioni solo per guadagnare qualche soldo. Già prima del lockdown mi iscrivevo a determinati tornei, per potermi permettere altri più importanti; ma giocavo comunque più sovente in contesti internazionali. Quando mi sono ritrovato a disputare unicamente eventi a dimensione più ristretta, la voglia di competere è venuta un po' meno. Ovviamente entravo in campo con la volontà e il desiderio di vincere, però con diverse sensazioni. È la prima volta che mi succede; tuttavia, nonostante tutto, non mi è mai passata per la testa l’idea di smettere con il professionismo».
Lo slancio ha iniziato a tornare al torneo internazionale di Caslano (categoria 15'000 dollari), opportunità «che mi ha stimolato perché è stato bello giocare davanti ai miei amici, e perché, pur essendo a due passi da casa, si respirava tutt'altra aria. Non dico di essere rinato, ma ho avvertito un feeling proprio diverso, mi sono sentito subito bene. Sono arrivato nei quarti del tabellone principale battendo tre giocatori tra i primi 500 al mondo, partendo dalle qualificazioni in cui non ero nemmeno testa di serie». Una buona prestazione, sulla scia dei primi, positivi, mesi del 2020. «Non ero stupito. Il risultato è il frutto del lavoro che stiamo mettendo insieme e, come si dice in inglese, “trust the progress”».
Ai quarti e sempre partendo dalle qualificazioni è poi arrivato anche a Klosters (cat. 25'000 dollari), dove “ha pagato il lavoro fatto dopo Caslano. In Ticino infatti avevo perso da Sandro Ehrat (N1/5 in Svizzera e Atp 370, ndr): l'ho ritrovato al secondo turno nei Grigioni e l'ho battuto». Il botto Bertola l'ha piazzato il 28 settembre al Challenger di Biella (cat. 80'000 dollari) per il quale ha avuto modo di ricevere una wild card. «Al primo turno capito sullo spagnolo Tommy Robredo». Quel Tommy Robredo, oggi 217° del ranking Atp, ma già numero 5 al mondo. «Quando ho visto il sorteggio, ho detto “cavolo, sarà un bel match”. Voglio dire: è un nome che un normale appassionato di tennis ricorda, è uno che è stato capace di battere in tre set Roger Federer agli ottavi dell’Us Open nel 2013. Prima del match non ero teso, lo abbiamo preparato bene come una partita qualsiasi. Tranquillo ero anche all'entrata in campo, però al ’testa o croce’ per stabilire chi inizia a servire, l'ho guardato e pensato “accidenti, è qui davanti”. Non sono abituato ad avversari del genere: ci siamo guardati negli occhi e mi ha fatto un po’ impressione. I primi due game ero nervoso; ho salvato una palla dello 0-3 e quando sono andato sull'1-2 è come se tutta la tensione sparisse. Mi sono detto “giochiamocela, si può fare”. Il match è poi andato decisamente bene e la vittoria ha ovviamente reso contenti me e il mio team. Al secondo turno ho perso da Matteo Viola, comunque Atp 231».
Se i buoni risultati pagano in termini di «consapevolezza di stare facendo un buon lavoro», non lo fanno in moneta sonante. «Ai tornei internazionali di questo calibro, non si guadagna. Ma grazie ai tornei nazionali, ho ricavato abbastanza per coprire il vuoto causato dal blocco delle competizioni». Nel frattempo ha iniziato a essere sostenuto dalla società di gestione di atleti professionisti 'Maad Management' di Chiasso, con l'obiettivo di cercare sponsor che gli permettano di continuare a inseguire il suo sogno.