Nelle prime nove tappe del Giro d'Italia, lo sloveno e la sua squadra hanno stradominato la corsa, privando gli avversari persino delle briciole
Il Giro d’Italia ha osservato ieri la giornata di riposo numero uno, e così ne abbiamo approfittato per provare a stilare un bilancio dopo le prime nove tappe. Ovviamente, il mattatore di questa colonna sarà Tadej Pogacar, che la Corsa rosa l’ha ammazzata fin dai primi chilometri. Il suo vantaggio nella classifica generale, in effetti, è tale da non lasciare speranza alcuna in nessuno dei suoi rivali, se così ancora li possiamo chiamare. La loro impotenza al cospetto dello sloveno, infatti, è totale, e il primo dei grandi giri del 2024 potrà avere un vincitore diverso dal portacolori della Uae soltanto se questi dovesse essere vittima di un’unghia incarnita che gli impedirebbe di pedalare da par suo, un inconveniente che naturalmente ci guardiamo bene dall’augurargli.
Il fenomeno del ciclismo odierno, che a 25 anni ha già vinto in pratica tutto ciò che un atleta può sperare di conquistare – tranne appunto il Giro, a cui partecipa per la prima volta – in questa prima settimana sulle strade d’Italia ha preso possesso della ribalta e non ha alcuna intenzione di abbandonarla. Ha vinto tre tappe su nove, e lo ha fatto in tutti i modi possibili: in salita, in volata e a cronometro. Ha dato spettacolo e ha addirittura spinto anche dove assolutamente non era necessario, chiedendo alle sue gambe – e a quelle dei suoi gregari – sforzi superflui. Lo ha fatto per due motivi: perché in sella si diverte e perché fosse ben chiaro a tutti che quest’anno proprio non c’è trippa per gatti, per nessuno. Un atteggiamento che, da una parte, esalta i tifosi e fa sfregare le mani ai giornalisti, che si vedono recapitare un campione che pare ancor più fenomenale rispetto alle scorse stagioni, un fuoriclasse che ogni giorno fornisce materiale su cui scrivere e fantasticare. Dall’altra, però, si tratta di un’attitudine che priva pubblico e addetti ai lavori del fascino tipico delle corse in cui c’è più incertezza, più rivalità, più sorpresa, più colpi di scena.
Pogacar è arrivato a questo Giro senza aver corso troppe gare nel primo scorcio di stagione, ma le poche a cui ha preso parte le ha quasi sempre vinte, facendo intendere a tutti quanti – senza il minimo dubbio – da che parte si alza il sole. Favorito da una squadra dai mezzi illimitati, da compagni pronti a morire per lui e dalla mancanza di quei pochi atleti che oggi hanno qualche chance di tenergli testa in una corsa di tre settimane (leggasi Roglic e Vingegaard), ha come detto dettato legge fin dai primi colpi di pedale: ha però mancato il successo nella primissima tappa, e questa è probabilmente una cosa che Tadej fatica a digerire. C’è infatti da scommettere che il suo desiderio fosse di conquistare la maglia rosa già il primo giorno e di tenerla poi sulle spalle fino al gran finale di Roma.
Tutto ciò fa di lui l’eroe perfetto: potente all’inverosimile, per nulla incline al calcolo e al risparmio, capace di vincere come e quando più gli aggrada, senza timore di venir sopraffatto da nessuno. E ciò, come visto, è il massimo per stampa e appassionati. Il rischio, semmai, è che questo suo atteggiamento dispotico finisca alla lunga per stancare e infastidire tutti gli altri corridori, messi in ombra da cotanta superiorità.
La storia, infatti, insegna che ogni tanto una tappa si può pure – addirittura si deve – regalarla alle altre squadre, che ne ricaverebbero premi in denaro e visibilità (tanto cara agli sponsor) e che, soprattutto, nei giorni successivi non esiterebbero a ricambiare il favore, magari pedalando in modo non troppo duro per Pogacar e i suoi sodali. Un po’ di diplomazia, insomma, ci vuole anche quando si sta in sella. Lo sloveno e i suoi dirigenti – fra i quali c’è l’ex grande corridore ticinese Mauro Gianetti – paiono invece poterne fare a meno, e pigiano sul gas non solo per strafogarsi di vittorie, ma pure per cannibalizzare anche le classifiche ‘minori’, cioè le briciole su cui volentieri si avventerebbero coloro che fin qui sono stati soltanto marginali comprimari, cioè tutte le altre squadre. Agire come fa la Uae non è certo proibito, ci mancherebbe, solo che pare poco fair, oltre che alla lunga rischioso.