Storia dei canestri da tre punti e del giocatore che, per primo, riuscì a infilare un pallone scagliato da oltre il fatidico arco
Non se lo fosse portato via un infarto lo scorso 17 gennaio, oggi avrebbe compiuto 75 anni Chris Ford, che nel basket non fu certo un fenomeno né da giocatore né tantomeno da allenatore. Riuscì comunque a passare alla storia per un motivo ben preciso, ed è proprio per questa ragione che oggi scrivo di lui.
Era la sera del 12 ottobre 1979 quando, per merito suo, la storia della palla a spicchi cambiò per sempre: il trentenne Ford, infatti, fu il primo atleta della Nba a mettere a segno un tiro da 3 punti, novità che la maggior lega cestistica del mondo aveva introdotto proprio quell’anno.
In campo al Garden con la sua stessa maglia, quella leggendaria dei Boston Celtics che affrontavano gli Houston Rockets, c’era gente assai più famosa di quel gregario dal baffo da cowboy, e che più di lui avrebbe meritato di firmare un canestro così importante. Ad esempio Tiny Archibald, che era come l’argento vivo e che gli fornì l’assist per quel tiro leggendario. Oppure la bandiera della franchigia Dave Cowens, che si sarebbe ritirato proprio alla fine di quella stagione. Ma soprattutto sua maestà Larry Bird, che invece era un esordiente e che dei bolidi scagliati da oltre il fatidico arco sarebbe diventato uno dei maggiori specialisti. Eppure, come detto, l’onore toccò al comprimario Ford.
Da quel giorno, duole dirlo, il gioco non fu più lo stesso: i tiri da tre punti, all’inizio soluzioni tentate con severa parsimonia, col tempo entrarono sempre più nelle strategie degli allenatori e finirono, nel giro di qualche anno, per diventare l’arma in assoluto più sfruttata, tanto che oggi sono molte le squadre che effettuano più tentativi da tre che da due. Impressionante è stato pure vedere, nei decenni, come questa specialità – un tempo appannaggio esclusivo degli esterni – sia diventata ormai una risorsa sfruttata anche dai lunghi (Nowitzki, Porzingis, Jokic, Embiid, solo per fare qualche nome): i quali, abituandosi sempre più a giostrare lontano dal canestro, hanno finito per snaturare le caratteristiche e i classici movimenti del pivot, che una volta veniva servito quasi soltanto in piena area, o al massimo in lunetta.
Per la verità, qualche tentativo di introdurre l’arco dei tre punti era già stato fatto prima del 1979: l’Ncaa, la lega universitaria, l’aveva sperimentato nel lontano 1945, abbandonandolo però subito. E, in seguito, ad adottare le triple fu nel 1967 l’appena fondata Aba, campionato che fece concorrenza alla Nba fino al 1976, quando le due leghe si fusero. Il basket Fiba si adeguò invece alla nuova regola soltanto nel 1984, quando vide che l’esperimento americano era definitivamente riuscito. Ma lo fece a modo suo, con l’arco dipinto, invece che a 7,25 metri, a soli 6,25 m, distanza davvero troppo esigua: segnare da lontano si rivelò da subito troppo facile, e allora si provvide – comunque in ritardissimo, nel 2009 – ad allontanare la linea a 6,75.
Salutata 45 anni fa come una novità che avrebbe rivitalizzato il basket – sport in cui i punteggi erano andati abbassandosi a causa dell’importanza sempre maggiore data alla fase difensiva – oggi è in realtà assai criticata, proprio perché ha svilito sotto molti punti di vista quella che fu a lungo l’essenza di questa disciplina, e da più parti si alzano voci, anche molto autorevoli, che chiedono l’abolizione di una regola che ha trasformato il basket in un mero esercizio di tiro a segno.
Fra i suoi più acerrimi nemici figurano personaggi del calibro di Greg Popovich, uno dei tecnici più vincenti della storia Nba, che infatti proibisce ai suoi giocatori di abusare delle ogive a lunga gittata. In Europa, invece, la crociata è guidata fra gli altri dal sempresialodàto Dan Peterson, che l’altroieri ha compiuto la bellezza di 88 anni e che ai suoi tempi – quando dirigeva l’Olimpia Milano – fu il migliore allenatore in assoluto in ambito Fiba. Da anni il coach dell’Illinois non perde occasione per renderci tutti attenti sulla perniciosità delle ‘bombe’, che hanno fatto quasi ormai del tutto sparire gli schemi d’attacco, i tiri dalla media distanza, la creatività e dunque gran parte dello spettacolo.