La mattina del 29 dicembre 2013, sulle nevi francesi di Méribel, il fuoriclasse del volante rimase vittima di un gravissimo incidente
Sono ormai passati 10 anni – l’anniversario cadrà domani – dal giorno in cui Michael Schumacher, vittima di una caduta mentre stava sciando, si presume giaccia immobile nel letto d’ospedale approntato in una delle sue ville. E queste scarne informazioni sono, più o meno, tutto ciò che si sa di lui in relazione a questi ultimi due lustri.
Permane infatti il mistero sulle reali condizioni di salute di Schumi: di certo si sa che non sono per nulla buone, l’ex campione infatti resta presumibilmente nel coma profondo in cui – non ancora quarantacinquenne – scivolò dopo un banale ma gravissimo incidente sulle piste di Méribel. Tutto il resto, tutte le rivelazioni e i presunti scoop che negli anni sono regolarmente emersi da fonti ben poco attendibili non sono altro che speculazioni – la maggior parte delle volte di pessimo gusto – sia nei casi in cui veniva annunciata la morte del sette volte campione del mondo di Formula 1, sia quando ne veniva proclamata la miracolosa guarigione.
Trattandosi di un atleta che, alla sua epoca, era fra i più conosciuti al mondo – se non addirittura il più celebre in assoluto – sono stati innumerevoli gli episodi morbosi che hanno visto diffondersi queste notizie false, moltiplicate all’infinito dai social media, salvo poi venire regolarmente smentite dopo poche ore. Di fatto, la famiglia dell’ex pilota ha deciso da moltissimo tempo di non comunicare alcuna notizia, né di negare o confermare le illazioni di cui sopra.
Per qualche settimana, dopo la caduta sulle nevi francesi – batté il capo contro una roccia e rimase ferito al cranio anche dalla telecamera montata sul suo casco – i parenti avevano inizialmente acconsentito alla diffusione dei bollettini medici relativi allo stato di salute di Michael, agli interventi chirurgici a cui veniva sottoposto e a un ipotetico percorso riabilitativo che avrebbe dovuto seguire nel Canton Vaud, non lontano dalla sua residenza. Ma ben presto – vista la sete di sangue palesata da certa stampa interessata soltanto al conto in banca del tedesco e alle ipotesi sulla spartizione di un’eredità dall’ammontare inimmaginabile – la famiglia ha deciso che nulla più sarebbe stato reso noto circa le condizioni dello sfortunato pilota. Prima di tutto perché la privacy, anche prima dell’incidente, era qualcosa a cui Schumi aveva sempre tenuto molto, e poi perché, come visto, fu da subito chiaro che attorno alla sua triste vicenda stava per scatenarsi un vergognoso battage per nulla rispettoso della vittima e dei suoi cari.
Da quel momento, l’unico autorizzato a parlare con la stampa fu Felix Damm, già da qualche anno avvocato di famiglia, il quale però – comprensibilmente – non fa altro che trincerarsi dietro lapidari ‘no comment’: ribattere a qualsiasi voce campata in aria e proveniente da sedicenti organi di comunicazione, anche solo per smentirla, equivarrebbe infatti a darle importanza, e in qualche modo a legittimarla. E, dunque, si è preferito il silenzio.
Di Schumi, dunque, in questa triste decima ricorrenza dall’incidente che lo nascose agli occhi del mondo, ci limitiamo a ricordare soprattutto ciò che fu capace di stravincere in un’epoca in cui la Formula 1 viveva la grande transizione verso l’elettronica, la digitalizzazione e la maggior sicurezza in pista, e la sua capacità di ridare lustro a un circus che, dopo la tragica morte di Ayrton Senna, pareva un po’ smarrito e orfano di personaggi di enorme calibro.
Schumacher cannibalizzò la sua epoca – rivali e compagni di scuderia – e divenne emblema universale del suo sport, facendo innamorare di lui e delle sue monoposto milioni di nuovi appassionati in tutto il mondo. Molti lo idolatrarono, qualcuno lo trovava invece antipatico, per la sua freddezza con stampa e tifosi, per il suo maniacale modo di stare al volante, più improntato alla scienza che al cuore, e per qualche grave scorrettezza nei confronti degli avversari che, a un altro pilota, non sarebbe mai stata perdonata.
Di certo, si è guadagnato titolo e poltrona di senatore a vita nella storia dello sport mondiale, insieme a Federer, Ali, Diego, Pelé, Jordan e pochissimi altri.