Sportellate

Il cricket, il lacrosse e la nazionale irochese

Ai Giochi del 2028 potrebbero tornare nel programma olimpico alcuni sport assenti da oltre un secolo

12 ottobre 2023
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Dalla sessione del Comitato olimpico internazionale in programma domenica a Mumbay giungeranno importanti decisioni relative alla possibile partecipazione di atleti russi e bielorussi ai giochi di Parigi del prossimo anno, ma c’è un po’ di curiosità anche attorno a temi più frivoli, come ad esempio la scelta delle discipline da inserire o meno nel programma a 5 cerchi del 2028, quando le Olimpiadi si svolgeranno per la terza volta a Los Angeles. Pare siano cinque gli sport in attesa di conoscere il proprio destino. Il primo è il baseball, che al femminile si declina nel softball: sport statunitense per eccellenza, disciplina olimpica dal 1992, non ha bisogno di presentazioni e c’è da scommettere che non faticherà – dopo l’assenza nel 2012 e nel 2016 – a confermare la sua presenza dopo la buona impressione lasciata a Tokyo.

Ad aver postulato per l’investitura sono pure i responsabili mondiali del cricket, gioco inventato dai pastori fiamminghi nel XIV secolo presente ai Giochi unicamente nel 1900 e con sole due squadre partecipanti. Popolarissimo in una dozzina di Paesi del Commonwealth, è praticamente sconosciuto nel resto del mondo, dove – non del tutto a torto – lo si ritiene mortalmente noioso. Del resto, ogni partita dura 4 o 5 giorni, e solo da quando la tv ha iniziato a mostrare un timido interesse per la disciplina è stata varata una formula ristretta affinché i match si chiudano in un massimo di 4 ore. Malgrado tutto, immaginiamo possa superare l’esame, anche perché la decisione verrà presa in India, Paese che per il cricket delira.

Altro sport antichissimo è il lacrosse, passatempo di alcune popolazioni originarie del Nord America che già nel Seicento affascinò il missionario Jean de Brebeuf: oltre che competizione pura – scrisse il gesuita – quel gioco era usato pure per dirimere conflitti interni ai clan o fra tribù diverse per evitare, dove possibile, di affrontarsi con frecce e tomahawk, assai più letali. All’attivo di questa disciplina che pare un misto di calcio, football e hockey ci sono due partecipazioni olimpiche risalenti a oltre 100 anni fa, ed è probabile che nel 2028 venga riproposta: gli americani stanno infatti sviluppando una certa sensibilità – almeno formale – verso la cultura First Nation e il lacrosse è senz’altro l’hobby preferito dai nativi, tanto da essere l’unico sport al mondo ad avere una nazionale formata soltanto da ‘pellerossa’, quella irochese, che prende regolarmente parte alle più importanti competizioni internazionali insieme a Stati Uniti, Canada, Australia e Inghilterra.

Ma la novità migliore di tutte, se vogliamo farci due sane ghignate, riguarda la possibile introduzione nel programma a cinque cerchi del flag football, versione assai ingentilita del football americano, sport a cui solo vagamente si ispira. Gioco tipico da picnic in famiglia e da ora di educazione fisica – situazioni in cui sarebbe sconveniente riempire di lividi nonni, cugini e compagne di classe – al posto del placcaggio prevede che all’avversario venga strappata una bandierina che porta appesa alla cintura. Si priva insomma il football – sport di contatto per definizione – della sua stessa natura.

Siccome in ogni scuola si gioca con mille regole diverse, è una disciplina assai difficile da codificare e televisivamente parlando – proprio come lo squash, altro sport in attesa di conoscere la propria sorte nel mondo a cinque cerchi – non è per nulla sexy. Secondo il mio povero parere, sarebbe come inserire nel programma olimpico la Formula 1 ma – avendo questa il difetto di essere assai rumorosa e fin troppo veloce – provvedendo poi a bucare il fondo delle monoposto per far sgambettare i piloti come fossero Fred e Barney degli Antenati.

L’unica cosa certa è che ai Giochi californiani fra cinque anni non vedremo gare di scultura, pittura, musica, letteratura e architettura, presenti invece nel programma dal 1912 al 1948: su iniziativa del Barone de Coubertin – che voleva secondo la tradizione greco antica unire atletica ed estetica – alle Olimpiadi prendevano parte infatti pure gli artisti. Rigorosamente dilettanti, ovvio.