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1984, l’anno di George Orwell e sua maestà Michel Platini

La settima edizione del torneo continentale vide il trionfo della Francia padrona di casa trascinata dal suo capitano in stato di grazia

In sintesi:
  • Il 1984 fu l’anno migliore dell'intera carriera di Michel Platini, che riuscì finalmente a regalare alla Francia un trofeo internazionale
  • Nella fase finale di quel torneo, il capitano francese segnò la bellezza di nove gol in cinque partite
  • Quella stessa estate ci furono anche le Olimpiadi di Los Angeles, boicottate per motivi politici da molte nazioni come era successo già nel 1976 e nel 1980
27 marzo 2024
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Se chiedete a un nostalgico un parere su quanto accadeva quarant’anni fa, vi parlerà dei favolosi e coloratissimi anni Ottanta, un’età dell’oro fatta di pace, ginnastica aerobica e walkman. In realtà, nel 1984, la situazione era molto più simile allo scenario che aveva preconizzato George Orwell nell’omonimo romanzo del 1949. Il mondo infatti era diviso in tre schieramenti ferocemente opposti e ben poco rispettosi della dignità delle persone che a loro sottostavano. La sfera comunista continuava a reprimere un buon numero di libertà, quella occidentale guidata da Reagan e Thatcher promuoveva i consumi ma toglieva il lavoro a minatori e operai, e il Terzo mondo – schiavo dei due blocchi appena citati – come sempre faticava a emanciparsi.

Sport e politica

Gli appassionati di pallone ricorderanno invece il 1984 come l’anno dei primi Europei francesi, preceduti dall’uscita dal primo computer Macintosh e seguiti dalla terza edizione consecutiva di Olimpiadi mutilate dai boicottaggi. A Montreal nel ’76, infatti, i Paesi africani non si erano presentati per solidarietà ai sudafricani neri, oppressi da un governo bianco che godeva delle simpatie del Cio, fermamente contrario a sanzionarlo per il mancato rispetto dei diritti umani.

Quattro anni più tardi a Mosca, invece, a marcar visita erano state 65 nazioni, fra cui i membri della Nato – tranne Italia, Gran Bretagna e Francia, presenti ma senza bandiera – che disertarono in polemica coi sovietici invasori l’Afghanistan. E infine nell’84 a Los Angeles, per ripicca, a bigiare sarebbe stato il mondo comunista, con l’eccezione di Jugoslavia, Cina e Romania. Stiamo dunque parlando di un’epoca che nemmeno a livello sportivo era poi così tranquilla e spensierata come qualcuno tende a dipingerla oggi.

Primavera strepitosa

Di certo, però, quella lontana estate fu assai felice per Michel Platini, che da tempo era considerato fra i migliori calciatori al mondo, ma la cui bacheca non era poi troppo piena: fino ai 28 anni aveva vinto solo una Coppa di Francia col Nancy e un campionato col Saint-Etienne, un po’ pochino per chi ambiva a entrare nella storia del calcio. Nel 1983, però, le cose avevano cominciato a cambiare: al termine della sua prima stagione alla Juventus, si era infatti aggiudicato il Pallone d’oro, trofeo che lo aveva in parte consolato per il secondo posto in campionato dietro la Roma e, soprattutto, per la bruciante sconfitta nella finale di Coppa dei Campioni contro l’Amburgo.

E così, con in tasca ormai la patente di numero 1, il francese si era tuffato nel fatidico 1984 forte come non era mai stato e con un’autostima incrollabile: e infatti fu il suo autentico anno di grazia. Nella primavera che precedette il torneo continentale, Michel vinse il suo secondo titolo consecutivo di capocannoniere della Serie A, il suo primo scudetto in Italia e la Coppa delle Coppe a Basilea contro il Porto.

Fu dunque carico alla massima potenza che si presentò al raduno della Nazionale francese, convinto che stavolta – dopo due Mondiali ben giocati ma senza vittorie – sarebbe riuscito a regalare finalmente un titolo internazionale al Paese che aveva accolto i suoi nonni piemontesi.

Il torneo

L’Uefa contava molto sulla settima edizione dell’Europeo, che fino al 1976 era stata una competizione priva di glamour e spesso snobbata dal pubblico e dalle federazioni stesse. Per darle nuova linfa, dal 1980 le squadre qualificate passarono da 4 a 8, ma la kermesse disputata in Italia si era rivelata un fallimento: pessimo spettacolo in campo e bassa affluenza sugli spalti.

C’era dunque bisogno di riscattarsi, e dunque i francesi fecero le cose in grande, aggiungendo al programma le semifinali (assenti quattro anni prima) e coinvolgendo ben sette città (contro le quattro del 1980). A preoccupare la Uefa era però lo scarso appeal delle formazioni presenti. Fatta eccezione per la Germania occidentale, infatti, tutte le altre erano squadre di medio-basso livello: spiccava soprattutto l’assenza di Olanda, Inghilterra e Italia.

Voti e speranze degli organizzatori andarono però a buon fine: molte furono le partite divertenti, frequenti i colpi di scena, abbondanti i gol e gradevole il livello tecnico. A imporsi nel gruppo B furono Spagna e Portogallo a discapito della Romania e della deludente Germania Ovest. I tedeschi tornarono a casa dopo 1 successo, 1 pareggio e una sconfitta, eppure ben 4 dei suoi giocatori furono inseriti nella formazione ideale del torneo: guarda caso, tutti testimonial dell’Adidas, che nei grandi tornei investiva molto, ma ancor di più voleva ricavarci.

Il gruppo A vide invece l’eliminazione di Belgio e Jugoslavia, la bella sorpresa della Danimarca e la tirannia della Francia padrona di casa, ma soprattutto di sua maestà Michel Platini, che nelle prime tre gare segnò la bellezza di sette reti: quella decisiva contro i vichinghi (1-0), e le triplette contro Belgio (5-0) e Jugoslavia (3-2). Non pago, il capitano dei Galletti timbrò il cartellino pure nella palpitante semifinale contro i sorprendenti lusitani, vinta dai Bleus 3-2 ai supplementari dopo l’1-1 al 90’ (di Domergue le altre due reti francesi, giunte all’overtime).

La finale

A scambiarsi i gagliardetti al Parc des Princes furono Platini e Luis Arkonada, capitano della Spagna e fin lì miglior portiere del torneo. I due capitani non si ritroveranno più così vicini fino al 57’, quando sullo 0-0 Lacombe venne sfiorato da Gallego e guadagnò una punizione dal limite. Michel sistemò la palla un po’ a sinistra della lunetta, la sua posizione preferita. Il tiro che ne scaturì, però, pareva innocuo: aggirata blandamente la barriera, la sfera si abbassò docile e il portiere basco vi si accartocciò sopra per la parata più facile della storia. Il Tango, tuttavia, invece di incollarsi al corpo di Arkonada, gli sgusciò sotto la pancia e superò la linea di porta. Vent’anni di carriera esemplare oscurati da un errore che gli spagnoli impiegheranno una vita a perdonargli.

Per la Francia, che poi vinse 2-0 grazie al raddoppio di Bellone, fu il primo trofeo. Gran parte del merito fu di Platini, che con 9 gol e una leadership straripante trascinò verso la gloria la sua squadra e un’intera nazione. Quell’anno, manco a dirlo, lo juventino – dopo essersi strappato di dosso l’etichetta di bravo ma perdente – conquistò anche il secondo dei suoi tre Palloni d’oro e il cavalierato della Legion d’Onore, appuntatogli al petto dal presidente François Mitterrand.

Questa è la settima di sedici puntate sulla storia degli Europei di calcio che ci accompagnerà fino alla vigilia di Germania 2024.