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Senza gol e senza entusiasmo: l’Europeo più triste di sempre

Fu organizzato nel 1980 dall’Italia degli Anni di piombo: in pochi mesi il Paese affrontò Ustica, la strage di Bologna e il terremoto in Irpinia

I tedeschi dell’Ovest festeggiano dopo aver battuto il Belgio 2-1 in finale
(Keystone)
20 marzo 2024
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Notti tragiche, inseguendo un gol, sotto il cielo di un’estate italiana. Un’estate lontanissima da quella cantata da Edoardo Bennato e Gianna Nannini e segnata dagli occhi spiritati di Totò Schillaci. Un’estate di sangue e piombo come gli anni Settanta, che sul calendario non c’erano più, eppure erano riusciti a trascinarsi – con il loro carico di morte e paura – dentro il 1980. Un anno in cui l’Italia provò a regalarsi un po’ di felicità organizzando il primo Europeo di calcio la cui fase finale si allargava a 8 squadre. Un Europeo giocato nel peggior modo possibile, nel peggior posto possibile, nel peggior momento possibile. Andò tutto storto a tutti, fuorché per i tedeschi, che il 22 giugno – secondo giorno d’estate – alzarono il trofeo dopo aver sconfitto in finale il sorprendente Belgio.

Una sequela di sciagure

Cinque giorni dopo, mentre l’Italia – arrivata solo quarta – prova a scrollarsi di dosso un po’ di tristezza con Bob Marley a San Siro (il primo tentativo di un concerto negli stadi in un’epoca cupa e spaventata dai grandi eventi a tal punto di smettere di organizzarli), un Dc-9 dell’Itavia decollato da Bologna e diretto a Palermo esplode in volo mentre sorvola l’isola di Ustica. A bordo ci sono 77 passeggeri e 4 membri dell’equipaggio: moriranno tutti.


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Un carabiniere davanti a quel che resta del Dc-9 di Ustica

Ustica resterà uno dei grandi misteri italiani, e anche uno dei grandi lutti, che troverà – nemmeno un mese e mezzo dopo – un’altra sciagura in cui specchiarsi: la Strage di Bologna. Alle 10.25 del 2 agosto una bomba esplode nella stazione del capoluogo emiliano: i morti sono 85, i feriti più di duecento.

Il 1980 era iniziato nel sangue quando il 6 gennaio la mafia giustiziò a Palermo il presidente della Regione Sicilia Piersanti Mattarella, che aveva detto chiaro e tondo di voler prendere le distanze dagli interessi della criminalità organizzata. Il 19 febbraio, a Torino, viene arrestato Patrizio Peci, capo-colonna delle Brigate rosse e primo collaboratore di giustizia nella storia del terrorismo italiano. Esattamente un mese dopo, il 19 marzo, un commando di Prima Linea uccide il magistrato Guido Galli. Nove giorni dopo, seguendo le indicazioni di Peci, il brigatista pentito, la polizia fa irruzione in un covo delle Br a Genova uccidendo quattro terroristi: si tratta della prima azione di questo genere avallata dallo Stato italiano.

Il 28 maggio, a Milano – a due settimane dagli Europei – due esponenti di prima Linea ammazzano il giornalista del Corriere della Sera Walter Tobagi.


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La strage di Bologna, 2 agosto 1980

L’ultima tragedia italiana dell’anno, datata 23 novembre, sarà anche quella con i numeri più spaventosi e le colpe più condivise: quasi tremila morti, novemila feriti, 280mila sfollati. Si tratta del terremoto in Irpinia, un tragico mix di sfortuna, sconsideratezza nelle precauzioni e incompetenza nei soccorsi a cui si aggiungerà una malagestione dei fondi per la ricostruzione in larga parte assegnati per vie clientelari e – segnatamente – alla camorra.

Lo scandalo Totonero

In quel 1980 c’è un’altra data che ha segnato l’Italia, il 23 marzo, con un’immagine nuova e potentissima, quella delle camionette della polizia e della guardia di finanza che irrompono sulle piste d’atletica degli stadi di Serie A per arrestare – a partite appena concluse – i calciatori coinvolti nello scandalo del Totonero. Tra questi anche Paolo Rossi, l’attaccante della Nazionale di Enzo Bearzot che nel 1978 si era consacrato nel Mondiale argentino, costretto da una squalifica di due anni a saltare quell’Europeo nato sotto una cattiva stella (rientrò giusto in tempo per il Mondiale spagnolo poi vinto dall’Italia proprio grazie ai gol di Rossi).

L’11 giugno iniziano gli Europei, una festa organizzata in un posto dove nessuno ha granché da festeggiare: i morti, il terrorismo, i calciatori che si vendono le partite. Insomma, è tutto sbagliato, è tutto da rifare. Ma rifare non si può. E quindi si gioca, lì e allora. La partita inaugurale è tra i campioni in carica della Cecoslovacchia e la Germania Ovest. Vincono i tedeschi per 1-0, inaugurando una lunga serie di risultati poco seducenti sublimati dai padroni di casa: l’Italia chiuderà infatti il girone con zero gol subiti e uno realizzato in tre incontri. Nelle sei partite del gruppo, che comprendeva Belgio, Inghilterra e Spagna la palla entra in porta solo nove volte.

La media finale del torneo sarà di 1,93 reti a partita, la più bassa di sempre dall’introduzione dei gironi e la seconda dopo l’altro Europeo organizzato dall’Italia, quello del 1968 (media gol 1,4). L’edizione precedente, quella del 1976 in Jugoslavia, aveva avuto un media record di 4,75; quella successiva, nel 1984 in Francia, di 2,73.


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Un giovane Paolo Rossi, da simbolo del Totonero a eroe italiano nel 1982

Nessuno allo stadio

A rendere l’atmosfera ancora più desolante è l’affluenza: partite dell’Italia a parte, i tifosi quasi disertano la manifestazione, che in larga parte raccoglie circa 10-12mila spettatori in stadi che ne potrebbero contenere cinque volte tanto. Il record negativo viene registrato in Grecia-Cecoslovacchia, con meno di cinquemila biglietti strappati. Quell’anno, la squadra di Serie A con la media più bassa, il Catanzaro, poteva contare su 12mila spettatori.

A peggiorare le cose, il 12 giugno arrivano gli hooligan, fenomeno ancora poco conosciuto all’epoca fuori dai confini britannici: invadono Torino per la gara con il Belgio, si ubriacano e provocano sia i tifosi italiani che quelli belgi, fuori dallo stadio e poi dentro, usando bastoni e lanciando fumogeni che costringeranno l’arbitro a sospendere l’incontro per qualche minuto.

L’arbitro Rainea

Il 15 giugno, sempre a Torino, c’è Italia-Inghilterra: si teme il peggio, ma alla fine i danni sono contenuti. L’Italia vince 1-0 e la stampa inglese si scaglia contro l’arbitro romeno Nicolae Rainea, reo – secondo loro – di aver favorito i padroni di casa. Il romeno sarà designato poi anche per la finale, e qualcuno malignamente lo vede come un premio per aver aiutato gli italiani. Rainea, però, è un arbitro stimato, presente in ben tre Mondiali. I

l suo volto non è nuovo agli appassionati di curiosità pallonare: fu lui a dirigere Brasile-Zaire del Mondiale del 1974 e ad ammonire il giocatore africano Mwepu che si staccò all’improvviso dalla barriera per calciare una punizione dal limite assegnata ai brasiliani (preso per pazzo o per uno che nemmeno sapeva le regole del gioco, spiegò anni dopo che, con lo Zaire sotto di tre gol, voleva confondere i brasiliani ed evitare di subire la quarta rete che avrebbe comportato serie conseguenze per i giocatori da parte del regime di Mobutu).

L’Europeo intanto va avanti, senza alcun entusiasmo, con l’Italia costretta nell’ultima partita, all’Olimpico di Roma, a battere i belgi per andare in finale: finisce zero a zero e avanza, contro ogni pronostico, il Belgio, pieno di ottimi giocatori (dall’estroverso portiere Pfaff al gigante Jan Ceulemans), che infatti si qualificherà sia al Mundial spagnolo che a Euro ’84, arrivando poi quarto al Mondiale messicano, eliminato in semifinale da un Maradona formato extraterrestre.


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Il belga Jan Ceulemans

Il trionfo della Germania Ovest

Nell’altro girone, la Germania Ovest non trova molta resistenza e si qualifica per la finale ancor prima di scendere in campo nella partita conclusiva del girone contro i greci grazie al pareggio di poche ore prima tra Olanda e Cecoslovacchia, entrambe pallide copie di quel che erano state negli anni Settanta.

Nel grigiore della manifestazione, la Germania Ovest mette in mostra un buon gioco e una serie di talenti destinati a rimanere nella storia del calcio tedesco ed europeo: il portiere Schumacher e poi Schuster, Förster, Briegel, Allofs, Stielike, Hrubesch, il giovanissimo Lothar Matthäus, appena 19enne, e il bomber Rummenigge. Quella squadra, con qualche innesto, non solo avrà la meglio nella finale con i belgi (2-1, doppietta di Hrubesch), ma riuscirà a raggiungere – e infine perdere – anche due finali Mondiali consecutive, nel 1982 e nel 1986. Quando, nel 1990, la Germania si laureerà campione del mondo, resterà un solo superstite, con al braccio la fascia di capitano: è Matthäus.


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Hrubesch, autore della doppietta decisiva in finale, con la coppa