Da Wengen il bernese parla di ciò che l’attende negli ultimi scampoli di carriera. Senza rimpianti: ‘A Bormio, dal divano non avvertivo alcuna nostalgia’.
Mentre il mondo dello sci è col fiato sospeso in attesa del Lauberhorn, Beat Feuz si gode uno degli ultimi momenti di celebrità davanti ai microfoni prima della dodicesima (e ultima) apparizione nella mitica discesa di Wengen, antipasto al gran finale di carriera in quel di Kitzbühel, il 21 gennaio. Sarà l’atto conclusivo della straordinaria carriera del trentacinquenne discesista bernese, pronto a scommettere che non avrà nostalgia quando dovrà seguire le gare dal divano di casa. «Per prima cosa – dice subito Feuz ai giornalisti – tra martedì e mercoledì possiamo già essere contenti d’aver potuto svolgere due allenamenti in vista della discesa, perché dopo le previsioni non c’era da rallegrarsi. Tuttavia direi che è stato fatto un buon lavoro: la pista è relativamente in buono stato».
Però guardando alle previsioni c’è poco da stare allegri.
È vero, ma se c’è un posto in cui si può sciare anche in condizioni simili questo è Wengen, e fors’anche Kitzbühel. Malgrado tutto, so che faranno l’impossibile affinché la pista sia in buono stato. Fossimo stati da altre parti, probabilmente saremmo già partiti.
E se, invece, per Feuz non ci fosse un ultimo Lauberhorn?
Sarebbe davvero un peccato. Tuttavia, le previsioni per sabato un pochino sono migliorate, quindi io rimango ottimista. Però, anche se alla fine non si riuscisse correre, per me non cambierebbe nulla: di Wengen serberò un gran bel ricordo. Nessuno di noi ha il potere di controllare le condizioni meteo, e direi che è un bene che sia così.
Il tuo arrivo a Wengen e l’avvicinamento a questa discesa sono diversi rispetto al solito?
Non direi. Ciò che emerge semmai è il piacere di veder tutto e di viverlo una volta ancora dal punto di vista dell’atleta.
Significa che c’è maggiore coscienza, adesso?
Sì. Pensando solo agli allenamenti, ho potuto parlare con i preparatori delle piste, un paio di loro li conosco. Abbiamo parlato di ciò che hanno fatto in questi ultimi giorni, ed è qualcosa di speciale per me, perché non credo che in Coppa del mondo ci siano altri posti come questo.
Per essere un addio hai l’aria parecchio distesa...
E perché mai dovrei essere teso? È qualcosa di bello, mi rallegro di queste discese, siano esse quella di Wengen oppure quella di Kitzbühel. Voglio ancora approfittare di tutto ciò, e assorbire quanto più posso: dal calore della gente ai bordi della pista come dell’atmosfera che regna altrove. E direi che già le prime giornate di allenamenti mi sono piaciute parecchio.
Ma quando si scende guardando a destra e sinistra non si perde la concentrazione?
A Wengen trovo sempre la via per scendere. Poi, prima della discesa vera e proprio c’è ancora parecchio tempo: non bisogna mica essere già in modalità-gara il martedì.
Cosa pensano gli altri protagonisti del Circo bianco del fatto che Feuz vada in pensione?
Finora non ho sentito granché, del resto sto ancora gareggiando. Però ho già parlato con alcuni di loro, e se qualcuno ha magari fatto qualche osservazione stupida, altri hanno avuto anche parole gentili, a dipendenza della situazione. Tutti però trovano che abbia ragione, e direi che sono contenti per me.
Ma tu sei sempre convinto al 100% della tua decisione?
Assolutamente sì. C’è grande gioia di poter essere ancora a Wengen e Kitzbühel, ma poi credo che sia normale che per me questo capitolo si chiuda. Vedete, a Bormio non c’ero perché non mi sentivo in forma, e quella discesa l’ho seguita da casa mia, sul divano, e l’ho fatto senza alcuna nostalgia. È stato un buon segno per me vedere che non mi trovavo a dieci centimetri dal televisore dicendomi ‘oh, quando vorrei essere lì anch’io’.
Ma è davvero possibile fare astrazione di tutto ciò che succede attorno a te?
Certo, è possibile. Poi, quando qualcuno ha deciso di ritirarsi a fine stagione di sicuro non si mette a ripensarci il giorno prima. Siamo abbastanza professionisti per evitare certe cose.
Non hai mai pensato di tenere per te quella decisione e ritirarti semplicemente dopo l’ultima Streif?
Sì, ci ho riflettuto. Anche quella era una possibilità. Ma credo che sarebbe stato più difficile per me vivere con l’idea che avrei smesso mentre nessun altro lo sapeva. Del resto non sarebbe stato semplice, anche perché tra noi si discute pure quando non siamo sulle piste.
Cosa intendi dire?
Che non si smette mai di pianificare, sia che si tratti di questioni che riguardano la Coppa del mondo, sia della prosecuzione di una carriera. Ma sono cose che sinceramente non mi interessano più, quindi per me sarebbe stato più un peso parlare di certe cose, ecco perché volevo che la cosa uscisse pubblicamente. È stata una liberazione, e adesso posso approfittarne. In più, trovo che sia un bene che altri atleti o i giornalisti s’interessino a me: in un certo modo, avverto questa cosa come una riconoscenza nei miei confronti e per ciò che ho fatto in questi ultimi anni.
Ma non c’è della pressione per vincere ancora sul Lauberhorn?
No, zero. Che io finisca primo o decimo non cambierebbe più nulla, nella mia carriera. Però è chiaro, voglio nuovamente andar forte qui, altrimenti non avrei detto di voler scendere un’ultima volta a Wengen o a Kitzbühel.
C’è qualche festa già in programma?
Ce ne sarà una a Wengen, in piazza, ma di sicuro io non sarò là in mezzo (ride, ndr). No, non c’è niente di programmato, anche perché settimana prossima c’è Kitzbühel: brinderò con la famiglia e con gli amici, come le altre volte, e va benissimo così.
E a Kitzbühel, invece?
Lì di sicuro non andrò a letto senza birra. Ma è un po’ presto, adesso, per parlare di festeggiamenti.