Il mezzogiorno di fuoco sul ring tra l’italiana Carini e l’algerina Khelif scalda gli animi. Un caso che, però, nella fattispecie non c’è
Sul ring ci sono rimaste la miseria di 46 secondi. Ma dal quadrato parigino, l‘eco dell’incontro di pugilato andato in scena giovedì tra l’italiana Angela Carini e l’algerina Imane Khelif ci ha messo poco a travalicare i confini olimpici per approdare in altri ambiti. Politica compresa, italiana in particolare (sebbene pure il Cremlino si sia scomodato per far sentire la sua voce), dove ne è nato un vero e proprio ’caso’. Un tema cavalcato anche ad arte da chi l’ha fatto proprio per giustificare la sua crociata, pro o contro l’algerina.
Un caso che, in sé, a tutti gli effetti ‘caso’ non è. Dal punto di vista medico, la macchia di Imane Khelif è quella di presentare un “difetto genetico che può conferirle un vantaggio dal punto di vista delle performance sportive, legato al fatto che possiede il cromosoma Y, che può favorire lo sviluppo di caratteristiche sessuali secondarie, come la massa muscolare, in senso più maschile”, spiega a huffingtonpost.it il professor Maurizio Genuardi, Ordinario di Genetica medica all’Università Cattolica di Roma. Il quale, a ogni buon conto, non ha dubbi: al di là di questo, “Khelif deve gareggiare con le donne”.
«Come già era accaduto per il caso di Caster Semenya, la velocista sudafricana, il caso di Khelif, di cui si è parlato moltissimo in questi giorni riapre una questione fondamentale per quanto riguarda lo sport – premette Giorgia Bernardini, co-autrice del libro ‘Fondamentali. Storie di atlete che hanno cambiato il gioco’ (ed. 66th and 2nd) –. Al centro di questa questione ovviamente c’è il corpo di quest’atleta algerina, che da un punto di vista puramente estetico è stato criticato di non essere femminile. In altre parole, il fatto che sia un corpo muscoloso, atletico e prestante, ci mette in dubbio rispetto al fatto che quella a cui ci troviamo di fronte sia veramente una donna. Per questo motivo Khelif è stata più volte accusata su diversi media di non essere una donna, ma di essere una donna trans. Quello che si è scoperto, invece, è che Khelif è una donna, nata appunto come tale. Ed è quindi giusto che possa competere in una categoria femminile nell’ambito delle gare olimpiche. Tutto ciò che è stato detto sulla quantità di testosterone nel sangue oppure sulla combinazione dei suoi cromosomi sono puramente illazioni. Non ci sono comunicazioni ufficiali che ci informino su questi due valori. Nessuna». Fatta la doverosa premessa, Giorgia Bernardini va oltre: «Ciò su cui dobbiamo allora basarci è il fatto che il Comitato olimpico internazionale ha svolto le dovute ricerche e in base a queste ha deciso di concedere all’atleta in questione il diritto di competere nella categoria femminile. Ritorno su questo aspetto perché è la base di tutto, ma nonostante questo è stata completamente messa da parte e dimenticata da moltissimi media e dalle persone che questi media li leggono. Questa non è la prima volta che un corpo eccezionale di un’atleta causa questo tipo di critiche. Si può tornare ad esempio alla storia di Serena Williams, che è stata un’atleta criticatissima per il suo corpo, per il fatto di essere nera, per la sua potenza,... Però c’è da dire che nessuno si è mai permesso di chiedere di fare un sex testing per capire se fosse veramente donna... È probabile che il motivo per cui nessuno abbia mai chiesto di esperire questo genere di approfondimenti sul corpo di Serena Williams sia perché l’atleta di fronte a cui ci troviamo è statunitense. Mentre per quanto concerne tanto Semenya, quanto Khelif, si parla in entrambi i casi di atlete provenienti da aree non occidentali del mondo. È naturale quindi aspettarsi dopo tutto quanto è successo che vengano presi dei provvedimenti. Quanto meno per rendere più chiari i contorni della questione e per evitare che la prossima atleta che presenta un corpo che rientra nella categoria dell’intersessualità si ritrovi di fronte alle stesse problematiche. Ovviamente i criteri che si sono scelti fino a oggi, cioè quelli di incentrare l’ammissione o l’estromissione all’interno delle gare femminili si sono sempre basate sul testosterone; ma anche la quantità stessa di testosterone nel corso degli anni è cambiata, e questo ci dice che anche scegliere per il criterio del testosterone è una pratica arbitraria e quindi fallacea».
A ogni buon conto, «se il caso Khelif-Carini sia stato strumentalizzato, questo non lo si può dire con certezza. Ciò che invece fare con sicurezza è un’analisi di cosa sia successo dopo: le immagini di Meloni che accarezza il volto di Carini, la sua presenza mediatica così costante, la cura che è stata mostrata dal Governo italiano nei confronti di questa questione che ha messo di fronte due mondi idealmente opposti, ossia quello di una donna nera proveniente dal sud del mondo a una bianca proveniente dall’occidente che viene picchiata ovviamente ci parla di una certa retorica che è stata cavalcata più volte negli ultimi tempi. Quindi, l’unico intervento auspicabile, per quanto mi riguarda, è quello che ha a che fare con una riflessione generale sulla portata di quanto è successo in questi giorni, e cioè sul fatto che il corpo di Khelif ha aperto di nuovo la fallacità di questa divisione binaria di sport maschile e sport femminile in una maniera così netta. C’è da ripensare sicuramente quali sono i criteri entro i quali si appartiene a una categoria piuttosto che a un’altra, e c’è da ripensare anche al fatto che forse lo sport non dovrebbe essere così netto in fatto di divisione delle categorie. In realtà c’è uno spettro molto più ampio: il nostro corpo non è così dicotomico come ci piace descrivere: c’è tutta una serie di caratteristiche intermedie dei corpi che si collocano in un ampio spettro che si interpone tra la maschilità e la femminilità che ha diritto di avere delle categorie all’interno delle quali poter competere ad alti livelli e quindi anche alle Olimpiadi».