I due turgoviesi provano a insidiare il podio della crono che apre il programma ciclistico ai Giochi. Più spazio senza Pogacar e Vingegaard? ‘Non è vero’
Dopo le rinunce di Tadej Pogacar e Jonas Vingegaard, l’impressione è che ci sarà più spazio sul podio, domani, a conclusione della cronometro olimpica. Anche se Stefan Bissegger non la vede proprio allo stesso modo: «No, non è vero». Quindi, forse, avrà davvero ragione Stefan Küng, quando dice che per vincere una medaglia «bisognerà far sì, che in un modo o nell’altro, vada tutto per il verso giusto».
Del resto, l’Olimpiade non è una passeggiata. Soprattutto per chi, come lo stesso Küng, arriva a Parigi dopo qualche settimana non proprio riuscitissima, visto che tra la bronchite accusata prima del Tour de Suisse e poi l’uscita di scena anticipata alla Grande Boucle, il trentenne turgoviese trapiantato a Wil ha dovuto fare i conti anche con la salute. «Sette giorni fa, davvero non me la sentivo di sfrecciare a tutta per le strade di Parigi – spiega –. Ora, invece, posso dire di sentirmi piuttosto fresco».
Parole non troppo rassicuranti, a due giorni dalla prova, ma Küng dà prova di ottimismo. «Avevo bisogno della pausa dopo il Tour per guarire. Spero di essermi lasciato alle spalle quei giorni. In ogni caso, sto cercando di dare il meglio di me stesso, c’è poco altro che si possa fare».
Tra i due elvetici al via, Küng è quello che in stagione ha offerto le cose migliori sulle distanze lunghe, e dopo aver dominato nettamente i campionati nazionali è riuscito a precedere Bissegger anche al Tour de France, nonostante l’intoppo della catena che gli era saltata dalla corona grande a quella piccola. «Qui di sicuro non può succedere, perché pedalerò con una corona unica», si rincuora.
Alla vigilia della corsa che apre il programma ciclistico ai trentatreesimi Giochi della storia, tutti i bookmaker vedono già sul podio Joshua Tarling, Filippo Ganna e Remco Evenepoel: il britannico è arrivato terzo ai Mondiali dell’anno scorso quando aveva solo 19 anni, l’italiano si è già laureato quattro volte campione del mondo nell’inseguimento individuale su pista e due volte a cronometro su strada, mentre il belga, il terzo dell’ultimo Tour, non solo corre con la maglia iridata a cronometro cucita sul petto, ma quando ci si mette è in grado di fare più o meno tutto ciò che vuole.
E Bissegger e Küng? Viste le premesse, tra i due quello che sembra messo meglio è il primo, e non soltanto per il momento di forma non proprio strabiliante del secondo: infatti, sulla carta il tracciato parigino sembra premiare soprattutto le caratteristiche del venticinquenne di Weinfelden. «Effettivamente, con poche curve difficili e praticamente nessuna salita, è proprio il tipo di tracciato che piace a me – racconta un Bissegger davvero entusiasta all’idea –. Ormai in giro ne sono rimaste poche di cronometro come questa».
Certo che, però, l’assenza di due fuoriclasse come Pogacar e Vingegaard si fa sentire. «Tuttavia, su un percorso come questo un Küng in forma non è mai stato battuto da Pogacar – sostiene Bissegger –. Il fatto è che Pogacar e Vingegaard sono in grado di recuperare meglio di altri fra una tappa e l’altra le fatiche accumulate. Ecco perché sono sempre in testa nei grandi Giri».
Questo, però, non è un Tour. È una crono in cui ci si gioca tutto in trentadue chilometri e mezzo, e dove c’è soltanto una decina di corridori a potersi giocare il podio. A volte, però, corse del genere sanno essere davvero crudeli: ne sa qualcosa Stefan Küng, che agli ultimi Giochi, in Giappone, aveva perso il bronzo per quattro miseri decimi. «Ormai è acqua passata – spiega –. Nel nostro sport non c’è tempo per pensare, perché c’è subito un’altra gara dietro l’angolo». Ecco perché a Parigi non vuol sentir parlare di desiderio di vendetta. «Semplicemente, so che se tutto andrà per il verso giusto avrò nuovamente la possibilità di vincere una medaglia». Forse non avrà la forma dei giorni migliori, ma la speranza è l’ultima a morire.