I pochi che si azzardano a dire che resteranno in città “perché a me piace lo sport”, vengono guardati con il disprezzo riservato ai collaborazionisti
È il 7 giugno scorso quando i cinque cerchi olimpici vengono installati a trenta metri di altezza sul lato della Tour Eiffel rivolto verso Trocadéro. Mancano cinquanta giorni esatti alla Cerimonia di inaugurazione delle Olimpiadi. È il momento che molti aspettavano. Il simbolo dei Giochi e il simbolo della città più bella del mondo. Il vero conto alla rovescia può partire. I turisti che affollano ogni giorno i dintorni della Torre impazziscono. In un clima di esaltazione generale si abbandonano a un tripudio di selfie, filmati, sorrisi e lacrime di gioia. I visitatori ancora ignari che sbarcano dai bateaux-mouches sulla Senna alzano gli occhi verso la doppia meraviglia e rimangono inebetiti, come se il marziano Kunt di Ennio Flaiano fosse appena sbarcato promettendo pace, denaro e felicità perenne. È un momento storico, indimenticabile. Ok, ma i parigini?
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Il campo di beach-volley sotto la Torre
Mettiamola così. A questa altezza l’umore della città nei confronti dei Giochi non è dei migliori. Nei salotti, nei luoghi di lavoro, ovunque, è in atto un processo di demolizione delle Olimpiadi, percepite come una iattura da levarsi dai piedi il prima possibile. Le aziende consigliano vivamente di prendersi le ferie in quelle due settimane, o di lavorare a distanza. I cartelli sui mezzi pubblici esortano i passeggeri a organizzarsi per tempo, qualsiasi cosa voglia dire questa frase. E poi: i quindici milioni di visitatori attesi, la congestione del traffico, svariate linee di metropolitana chiuse per settimane, l’aumento folle dei prezzi di qualsiasi cosa.
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Poliziotti sudcoreani e brasiliani per le strade del centro
La frase più frequente che si sente in quei giorni è: “Io me ne vado e mi affitto la casa a cinquecento euro a notte, anzi, facciamo anche mille”. I pochi che si azzardano a dire, magari sottovoce, che resteranno in città “perché, sai, a me piace lo sport”, vengono guardati con il disprezzo che di solito si meritano i collaborazionisti.
Se aggiungiamo l’indifferenza tipicamente parigina verso qualsiasi evento vagamente popolare e lo sconquasso politico provocato dallo scioglimento dell’Assembée nationale, capiamo perché per settimane le Olimpiadi rimangono ai margini del dibattito pubblico, un trafiletto qua e là sui giornali. C’è altro a cui pensare. Ci sono state le elezioni legislative anticipate e la campagna elettorale, mezzo Paese pronto a chiudere a chiave i confini, l’altro mezzo pronto a entrare in resistenza. Settimane di fibrillazione che hanno tenuto i francesi in un altrove di angoscia e foschi presagi. Il secondo turno regala un nulla di fatto, tutti vincono le elezioni e tutti le perdono. Non c’è una maggioranza. Il Paese è bloccato. Dopo milioni di esaurimenti nervosi non necessari e tanta paura, tutto rimane com’era. L’unica differenza è che prima c’era un governo nel pieno delle proprie funzioni, e adesso c’è lo stesso governo ma dimissionario, ancora in carica solo per il disbrigo degli affari correnti. Gi affari correnti sono le Olimpiadi.
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L’ingresso del villaggio olimpico
Qualcosa cambia con l’arrivo della Fiamma olimpica a Parigi, che coincide con le celebrazioni del 14 luglio. Dopo un lungo tour che ha attraversato la Francia, la Fiamma tocca i luoghi iconici della città, accompagnata da leggende dello sport come Marie-José Pérec e da carri, musica e cotillon. “La gente ha bisogno di gioia”, dichiara Grégory Murat, il capo delegazione della staffetta. Ha ragione. I parigini, ormai sollevati dal rischio dell’invasore e rincuorati dall’arrivo di una timida estate, si accorgono improvvisamente che le Olimpiadi forse non sono quel mostro che tutti temevano. Alzano il naso dalle proprie paturnie e scoprono una città nuova, completamente inedita, che non si è mai vista prima e che non si vedrà più. Una città effimera, fuori dal tempo, sospesa. Le Olimpiadi sono dappertutto, nelle bandiere, nei gadget, nei cartelli, nei colori. Ogni angolo della città è coinvolto. I vari arrondissements installano maxischermi e fan zone. Il parvis dell’Hôtel de Ville è un gigantesco stand olimpico. Parigi e i Giochi sono ormai una cosa sola.
Il clima inizia a scaldarsi, in tutti i sensi. I cantieri concludono i lavori. I siti olimpici vengono consegnati entro i termini previsti. I vecchi impianti sono stati ammodernati. Diciamoci la verità. Parigi non aveva bisogno di nuove infrastrutture, ma poteva migliorarsi, essere ancora più efficiente. Il prolungamento della linea 14 della metro fino all’aeroporto di Orly e il rinnovamento dei depuratori che permettono la balneabilità di parte della Senna ne sono un esempio. La sindaca Anne Hidalgo, dopo il fatidico bagno nel fiume che ha tenuto in sospeso per mesi l’opinione pubblica (“I valori delle acque saranno finalmente buoni?”), dichiara che le Olimpiadi sono state un catalizzatore di energie, ma adesso tutto deve convergere verso il momento più importante: la Cerimonia di inaugurazione di venerdì 26.
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Sommozzatori della polizia nella Senna
Questa data segna infatti contemporaneamente la fine di una lunga maratona partita nel 2017 con l’assegnazione dei Giochi e l’inizio di un’altra corsa, quella delle competizioni vere e proprie, dello spirito olimpico, delle medaglie. Il 26 luglio è il pivot attorno al quale ruota quello che si annuncia come uno degli eventi più importanti nella storia infinita della città ma anche nella storia delle Olimpiadi. Per la prima volta, infatti, una cerimonia si svolgerà fuori da uno stadio. Una cosa mai vista. Le delegazioni di tutti i Paesi sfileranno sulla Senna, seguendo un percorso di 6 km tra il ponte di Austerlitz e il ponte di Iéna. Sarà una cerimonia fluida, dislocata, aperta, come la Festa mobile del leggendario romanzo di Hemingway. Una decisione coerente con la grandeur française, ma su cui all’inizio quasi nessuno era d’accordo. Troppi gli enjeux, soprattutto quello della sicurezza. Come si fa a garantire che tutto proceda senza intoppi, quando le minacce di attentati possono arrivare dal cielo, dalla terra e persino dall’acqua? Come si fa a evitare qualsiasi rischio di incidente, quando basta un movimento irrazionale della folla per mandare tutto all’aria? Non ci sono precedenti, non c’è un know-how su cui fare affidamento.
La decisione inevitabile è quella di creare una sorta di bolla tra Bercy e Trocadéro, dentro la quale tutto dovrà essere passato al setaccio, garantendo al contempo che la vita dei cittadini prosegua regolarmente. Decine di migliaia di poliziotti, gendarmi e militari confluiscono da tutta la Francia e anche dall’estero. Alcuni Paesi, infatti, hanno accettato di mandare in prestito dei contingenti. Se il famoso alieno di Flaiano si facesse un giro rimarrebbe di stucco incontrando militari tedeschi di pattuglia sugli Champs-Élysées, o uomini della Guardia Civil spagnola, o addirittura militari arrivati dal Qatar. Essere ambiziosi, provare a piantare la bandierina nel punto più alto mai toccato, insomma, essere francesi all’ennesima potenza, comporta delle conseguenze.
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La mascotte sulle rive della Senna
Ecco perché in questi giorni di vigilia Parigi non è una città normale. Ogni libero movimento è subordinato a una lista infinita di asterischi, di eccezioni, di incognite. L’atmosfera è surreale. In alcuni punti sembra di essere nei giorni successivi agli attentati del 13 novembre. In altri sembra invece di essere ai tempi del Covid, con le strade deserte e un silenzio irreale. Il centro è stato diviso in due zone. La zona grigia, che corrisponde all’area interessata dalla cerimonia, in cui nessun veicolo può transitare, per nessun motivo. Persino i residenti, per poter andare a casa, devono esibire un Qr code. C’è poi la zona rossa, un po’ più larga, con limiti meno stringenti. Bisogna avere la mappa sempre a portata di mano, altrimenti si rischiano multe salate. I primi giorni sono un inferno, tra proteste, bug informatici, addirittura l’inedito sole estivo che impedisce la lettura di alcuni Qr code sugli smartphone. L’unica nota positiva è che a piedi si può andare ovunque senza problemi. Tanto, si sa, Parigi è piccola. Ma, avvertono i poliziotti: chiunque può essere perquisito, in qualsiasi momento, ovunque.
La verità è che la posta in gioco è altissima, se qualcosa va storto da qui al 26 luglio, tutto andrà storto. Mettere un fiume, la Senna, al centro del progetto olimpico, con le relative implicazioni ambientali, ecologiche e anche di immagine, è una scommessa che nessuno aveva mai tentato. Ma a Parigi sono abituati. C’è qualcosa che non sia stato già pensato, progettato e realizzato a Parigi? C’è qualcosa che non sia già successo? Eppure, la città è sempre alla ricerca di nuovi obiettivi, nuovi record da battere, nuovi modi per riscrivere lo stupore negli occhi di chi guarda. Le Olimpiadi servono anche a questo. La speranza degli organizzatori è che tra qualche anno nessuno si ricorderà dei disagi, delle zone grigie e rosse, delle manifestazioni contro i Giochi. Tutti invece si ricorderanno dello spettacolo offerto al pianeta intero, della cerimonia più folle e grandiosa della storia. Almeno, questo è il piano. Mai come stavolta le variabili sono troppe e imprevedibili. Tutto dovrà essere perfetto. La cerimonia di inaugurazione sulla Senna. Roba da matti, roba da francesi.
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Con il Qr code per rientrare a casa
A quattro giorni dalla Cerimonia di apertura dei Giochi olimpici, circa 150 ballerini che dovrebbero esibirsi venerdì sera hanno boicottato le prove per ottenere migliori condizioni di lavoro. Lo riporta FranceInfo. All’origine della protesta c’è una disputa tra il sindacato che difende gli artisti, Sfa, che parla di disparità di trattamenti salariali (circa 300 ballerini precari sono stati assoldati a “condizioni vergognose”), e il produttore della Cerimonia di apertura.