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‘Mai così bene, sul piano del sacrificio’

Luca Cereda e l'Ambrì vanno in pausa felici dopo il weekend delle prime. ‘Abbiamo raccolto punti in 10 delle ultime 14 gare, qualcosa vorrà pur dire’

Gilles Senn festeggia il suo primo shutout in biancoblù (e non solo quello)
(Ti-Press/Crinari)
8 dicembre 2024
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Ambrì – Un mesetto fa c’era il precipizio. Oggi, invece, c’è un weekend da sei punti, cosa mai vista prima. Punti, oltretutto, scippati a Davos e Zurigo, con tanto di primo shutout in biancoblù per Gilles Senn. E c’è di più: nel ‘back to back’ con le prime della classe, l’Ambrì incassa la miseria di due gol in centoventi minuti, chiudendo la sfida di sabato addirittura con ventisette tiri bloccati. Insomma, se in avvio di stagione si parlava della necessità di trovare un equilibrio fra fase offensiva e difensiva, i segnali di questi ultimi giorni sembrano indicare che in Leventina sia stata in qualche modo individuata la formula che porta alla serenità. Pur se, naturalmente, alla Gottardo Arena nessuno si lascia andare a facili entusiasmi, perché la classifica resta cortissima e da qui a fine regular season mancano ventiquattro partite. «Sì, penso che difensivamente abbiamo giocato molto bene questo weekend – spiega Luca Cereda –. Ma più in generale, abbiamo raccolto punti in 10 delle ultime 14 partite, e senz’altro qualcosa vuol dire, anche se abbiamo sprecato delle occasioni per conquistarne di più. Credo che questo weekend il passo decisivo sia stato che tutti, dal primo all’ultimo, hanno fatto l’impossibile per la squadra».

Lo si capisce anche solo guardando alla trentina di tiri bloccati contro il Davos. «Dal punto di vista del sacrificio da parte di tutti, credo effettivamente che queste siano le due migliori partite giocate finora. Gli special team hanno lavorato bene, il portiere è stato molto buono sia venerdì, sia sabato, e tutte queste cose assieme hanno fatto la differenza».

Senza contare l’ascesa di Kubalik e DiDomenico. A proposito: la loro crescita è dovuta al lavoro che avete svolto in queste ultime settimane o, al contrario, sono stati proprio loro due ad aver trascinato il gruppo? «Diciamo che dalla prima pausa per la Nazionale, a inizio novembre, abbiamo trovato delle combinazioni che ci piacevano, su cui abbiamo cercato di costruire affinché potessero dare frutti a medio-lungo termine. Kubalik e DiDomenico si trovano bene assieme, però io credo che chi è cresciuto tanto è ‘Kuba’. Quando non segnano, gli scorer cominciano a perdere non solo la fiducia, ma anche un po’ di forza fisica e di resistenza. Lui ha cercato di ritrovarle lavorando di più alle balaustre, mettendoci il fisico, e a poco a poco è tornata a sorridergli anche la fortuna. E se pensiamo che ci sono state partite in cui ha preso due, se non addirittura tre pali... Riguardo a ‘DiDo’, invece, beh, quando arrivi in una nuova squadra hai bisogno di scoprire dove ti trovi. Vanno capite le gerarchie, come funzionano le cose, insomma, e sapevamo che più passava il tempo, più si sarebbe integrato».

Quella crescita, però, si vede anche in altri giocatori. Uno di questi è Miles Müller, ragazzo arrivato in Leventina con buoni numeri ma con tutto da dimostrare, e che al di là degli aspetti contabili (appena un gol e quattro assist in ventotto partite) nelle ultime uscite ha mostrato incoraggianti segnali di crescita, lavorando tantissimo e cercando di far valere la sua esplosività per creare qualcosa in zona offensiva. «È ovvio, cerchi di trovare una soluzione, perché vuoi segnare: io ci provo, ma sento di non avere grande fortuna di questi tempi – racconta il diciannovenne attaccante, tornato in Svizzera in estate dopo tre stagioni e mezzo a Moncton, in Qmjhl –. Se penso al match col Davos, ogni volta che mettevo piede in pista, con la mia linea mi ritrovavo di fronte il migliore terzetto degli avversari, e in quelle condizioni sai già che ti sarà difficile attaccare, anche perché l’allenatore ti sta chiedendo un lavoro ultra-difensivo, infatti il tuo primo compito è quello di impedir loro di segnare. Poi abbiamo anche avuto un paio di buone occasioni, ma il puck non voleva saperne».

Quando le cose non vanno come vorresti, non c’è il rischio di avvertire una pressione ancor maggiore? «Credo di giocare meglio di quanto non dicano le statistiche. Devo soltanto continuare a lavorare, ad aiutare i compagni, e poi magari, finalmente, arriverà quella sera in cui segnerò due o tre volte e mi chiederò come sia stato possibile (ride, ndr)».

D’altronde, il confine fra successo e insuccesso è così labile... Basti pensare a dov’era l’Ambrì soltanto tre settimane fa: «Siamo cresciuti come squadra e come gruppo, e credo che questo sia anche merito delle difficoltà vissute in precedenza – conclude –. Volevamo crescere, ognuno di noi lo voleva, ma le cose non andavano come immaginavamo. A quel punto abbiamo dovuto cominciare a giocare davvero come una squadra, curando i piccoli dettagli come l’abbiamo fatto contro il Davos, e ora raccogliamo i frutti di quel lavoro. Adesso, però, dobbiamo andare avanti così, con questa mentalità».