laR+ IL DOPOPARTITA

Un Lugano da tre punti. ‘Ma ne abbiamo fatte di tutti i colori’

Al termine di un pazzo venerdì, i bianconeri mettono sotto l'Ajoie grazie a un siluro di Joly deviato da Arcobello. ‘Abbiamo ingranato la marcia in più’

Tutta la gioia di Mark Arcobello
(Ti-Press/Gianinazzi)
19 ottobre 2024
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Lugano – Sono le dieci e mezza passate, quando il pubblico può infine balzare in piedi per applaudire una vittoria che più sofferta non potrebbe essere. In un venerdì in cui almeno non si corre il rischio di annoiarsi, visto che sul ghiaccio succede un po’ di tutto. Uno dei momenti più significativi (si fa per dire) arriva al 44’44’’, sugli sviluppi di un ingaggio alla destra del debuttante Adam Huska – portiere dalle indubbie qualità, che dà l’impressione di essere calmo e composto, almeno a giudicare dalle prime impressioni –, quando il canadese Devos decide inspiegabilmente di prendere il puck in mano, chissà poi per farne cosa. Sarà proprio in quei due minuti di powerplay causati da una penalità che più inutile non potrebbe essere, che il Lugano troverà il modo di segnare il gol-partita: fraseggio dentro la blu tra Alatalo e Joly, poi il québecois arma un missile dei suoi la cui traiettoria verrà pure corretta dal tocco di Arcobello, e il povero Ciaccio che non potrebbe arrivarci neppure se volesse.

È solo il 45’32’’, ma da lì al sessantesimo gli spettatori della Cornèr Arena ne vedranno ancora di cose: dal 5-3 annullato a Fazzini dopo coach’s challenge chiamato dallo staff tecnico giurassiano, poiché l’entrata nel terzo era viziata da fuorigioco, al clamoroso doppio palo di un Carr a cui praticamente non ne va bene una, fino all’azione che porterà al pareggio fantasma degli ospiti, a 3’19’’ dalla fine. Fantasma perché a quel punto il gioco è ormai interrotto, con i giocatori sul ghiaccio che o sono fermi, oppure non sanno che fare, dopo l’improvvisato incontro di wrestling tra Romanenghi e il malcapitato Verboon. Gli unici a non curarsene sono Sopa e Pedretti, con l’ex ginevrino che va inutilmente a battere l’attonito Huska, prima che dagli spalti piovesse in pista un po’ di tutto. «In un primo momento l’arbitro non fischia, infatti non c’è un vero motivo per farlo, ma quando s’accorge della confusione in pista, non può non intervenire – spiega Luca Gianinazzi –. Quindi alla fine il fischio c’è stato, ma non credo che la situazione sia stata gestita nel modo migliore».

Così come il suo Lugano non ha saputo gestire la partita nel migliore dei modi: dopo aver dominato il primo tempo, i bianconeri hanno concesso davvero un po’ troppo ai giurassiani, prima di tornare a fare la voce grossa nella seconda parte del match. «Stavolta ne abbiamo combinate un po’ di tutti i colori – ammette Gianinazzi –. Tuttavia, dopo aver subito quei due gol uno dopo l’altro, e il secondo è stato tra l’altro frutto di un’autorete, abbiamo trovato la forza di reagire e tornare a giocare senza panicare. Quello è stato il momento in cui siamo riusciti a girare la partita».

E alla lunga, i bianconeri hanno saputo imporre la loro qualità. «Nel terzo tempo abbiamo messo una marcia in più – aggiunge il coach bianconero –. Non ci siamo ritrovati in una situazione facile, e avevamo solo da perdere, sapendo che di fronte avevamo l’ultimo della classifica. Non è stato facile come qualcuno avrebbe potuto immaginare, e quando arrivano i momenti delicati l’importante è rimanere calmi e non perdere la fiducia nel proprio gioco».

L’ANNOTAZIONE

Don’t Stop Believin’

Sono le 19.35, quando all’interno della Cornèr Arena s’abbassano le luci. E mentre il ghiaccio si tinge di verde, il colore feticcio, le cui origini risalgono agli anni Ottanta, a quel pullover passato alla storia, i cinquemilaseicento spettatori assiepati sugli spalti alzano al cielo dei cartoncini del medesimo colore. È un momento toccante, specialmente per Vicky, figlia dello storico presidente e oggi presidente a sua volta, che assiste commossa alle immagini che corrono sul megaschermo, e ripercorrono i momenti più salienti della storia del Grande Lugano, che fu proprio lo stesso Geo Mantegazza a inventare. E prima che sul ghiaccio si cominci a fare sul serio, mentre Fazzini e compagni scalpitano nelle loro maglie nere senza sponsor – tanto che pure il momò viene privato delle insegne di topscorer –, con una striscia verde e il logo dei tempi che furono, realizzate per l’occasione con l’avallo della Lega, in chiusura di una cerimonia aperta dalle note di Don’t Stop Believin’, titolo che dice tutto, dagli altoparlanti riecheggiano le parole del Presidentissimo: ‘Per l’hockey siamo tutti un po’ folli. Con coraggio’. Buon viaggio, Geo.