Tempo di bilanci per una squadra a cui è mancato poco per chiudere in bellezza una stagione riuscita. Ma per i playoff, quelli veri, serve un passo in più
Era un assolato pomeriggio d’inizio settembre, a pochi passi dal modellino in scala di una Valascia che vive ormai soltanto nei ricordi, con tanto di cori registrati della curva biancoblù, intonati a scadenza regolare per la grande sorpresa degli incuriositi visitatori della Swissminiatur. Nell’afa di quel giorno di sette mesi fa, Paolo Duca e i vertici dell’Ambrì svelavano alla Svizzera intera i loro obiettivi per la nuova stagione: «Il primo dei tre – spiegava il ‘diesse’ – è la qualificazione ai play-in». In altre parole, un posto tra i primi dieci a fine regular season. «È una bella sfida – aggiungeva Duca –, ma siamo convinti di avere le carte in regola». In quel preciso istante, furono in più d’uno a chiedersi se quel traguardo non fosse persino un po’ azzardato, siccome l’Ambrì era rimasto orfano in un sol colpo dei vari Filip Chlapik, André Heim e Alex Formenton, e alla fine dell’estate nomi come quelli di Tommaso De Luca e Manix Landry ai più non dicevano un bel niente. Oggi invece sappiamo che il primo si è rivelato la vera sorpresa della regular season biancoblù, mentre il secondo indubitabilmente è stato uno dei due elementi più in vista (l’altro è Kneubuehler) nelle due serie dei play-in, contro Bienne e Lugano.
A proposito di nomi: quando, qualche tempo dopo (neppure tanto, per dire il vero) s’è saputo che a St. Louis di posto per Heim proprio non ce n’era, e che Formenton sarebbe potuto tornare in Leventina una seconda volta, le quotazioni biancoblù hanno improvvisamente spiccato il volo. Se il canadese nelle prime settimane il più delle volte o era in soprannumero, oppure era il lontano parente di quello dell’anno prima, a poco a poco il venticinquenne dell’Ontario avrà un impatto sempre più fondamentale nell’economia della squadra, e non solo a livello di punti. Dell’Heim dei tempi che furono, invece, non si vedrà neppure l’ombra, anche se a pensarci bene sarà proprio il ritorno del bernese dal Missouri, con le sue caratteristiche da centro puro, a ispirare Luca Cereda nella scelta di promuovere Dauphin all’ala nella linea di Spacek, e per alcune partite – magari poche, ma indubbiamente decisive – nel finale di regular season il ventottenne quebécois riuscirà a non far rimpiangere l’improvvisa ripartenza di Formenton, riparato in Patria per motivi che è superfluo ricordare.
Così, al tirar delle somme, dopo 52 giornate di campionato Daniele Grassi e compagni in classifica chiudono addirittura a quota 79 punti, lasciandosi dietro persino un Bienne che almeno ha l’alibi d’aver vissuto un autunno disgraziato quanto a infortuni (al pari del Lugano), ma pure un Ginevra Servette che altri non è se non il campione in carica e un ambizioso Rapperswil che pare tuttavia essere arrivato a fine ciclo. E quei 79 punti – gli stessi, tra l’altro, grazie a cui i biancoblù si qualificarono ai playoff da quinti della classe l’ultima volta che ci riuscirono, nella spettacolare stagione in cui esplose sul serio Dominik Kubalik – non sono frutto né della fortuna, né di un salutare allineamento degli astri, per chi confida negli oroscopi: salvo qualche piccolo calo a cui nessuno è immune (ci mancherebbe pure), i biancoblù sono andati a punti praticamente sempre e ovunque, a volte con rimonte incredibili, altre con successi colti su piste che qualcuno voleva inespugnabili, collezionando persino sette vittorie negli otto overtime disputati in stagione. Ecco perché, alla fine – e a sorpresa, se si vuole – l’Ambrì si era piazzato all’ottavo posto, due posizioni sopra quello che era l’obiettivo di Duca e Cereda, e da quando ci sono loro ai comandi, questa è già la terza partecipazione alla post-season, perché (checché se ne dica) i play-in quello sono. Il problema, semmai, è che quegli stessi play-in saranno poi il capolinea di una stagione che ci vuole davvero coraggio per non giudicare riuscita: se i giocatori sono rimasti con un palmo di naso è soltanto perché mai come quest’anno, da cinque stagioni a questa parte, i playoff erano tanto vicini, mentre i tifosi saranno invece soprattutto amareggiati per la sconfitta nel primo turno dopo che la loro squadra si era ritrovata in vantaggio 4-0 nel derby d’andata. Tuttavia, alla fine il bottino di quelle quattro sfide contro Bienne e Lugano racconta di due soli pareggi a fronte di altrettante sconfitte.
Ed è vero che a prevalere in queste ore è soprattutto la sensazione d’aver mancato un’occasione, ma se si guarda ai nomi delle squadre che alla fin fine si sono guadagnate l’accesso ai playoff – e questo al di là di quali legittime chance abbiano poi di superare il primo turno –, ben si capisce che per puntare a chiudere di diritto fra le migliori otto squadre del Paese (cosa che ai biancoblù è riuscita in fondo due sole volte nell’ultima ventina d’anni), l’Ambrì dovrà compiere un altro passo in più. C’è bisogno in sostanza di un incremento non tanto del numero di giocatori – problema a cui in Leventina hanno saputo ovviare, dopo le difficoltà dell’anno prima –, bensì di un aumento complessivo della qualità, per non dover dipendere troppo dalla classe di alcuni singoli – come un Michael Spacek sostanzialmente annullato nelle sfide contro Bienne e Lugano – ed evitare che gente come Tim Heed e Jesse Virtanen debba ogni sera caricarsi sulle spalle il peso dell’intera retroguardia, col rischio di finire per friggersi proprio nel momento meno indicato, come del resto – o quantomeno apparentemente – è capitato.
Tanto per non fare paragoni, mercoledì alla Gottardo Arena la quarta linea del Bienne era formata da gente come Tino Kessler, Aleksi Heponiemi e Jérôme Bachofner, e sarà anche vero che al giorno d’oggi la tendenza è piuttosto quella di rendere il più omogenee possibili le varie linee, sta di fatto che oggi come oggi tra le fila dei cosiddetti lavoratori – in sostanza i giocatori da ‘bottom six’ – l’Ambrì non ha nessuno che abbia le mani di un Bachofner, figuriamoci quelle del tanto vituperato Mike Künzle. Tra tutti, Nando Eggenberger avrebbe potuto essere un elemento davvero utile in quel ruolo, ma al tirar delle somme il ventiquattrenne grigionese si è rivelato l’unica vera delusione della stagione.