Tanta sfortuna e un po' d'imperizia costano ai bianconeri un'altra sconfitta, nonostante il debutto di Aleksi Peltonen: ‘Da me il coach vuole velocità’
Lugano – Ci risiamo, verrebbe da dire riguardando il match contro lo Zugo. Il 2024 del Lugano sembra non voler decollare, e alla Cornèr Arena arriva la terza sconfitta in altrettante partite disputate nel nuovo anno. Certo, dal punto di vista contabile gli 0 punti racimolati cominciano a farsi pesanti, ma una volta di più non si può dire che i bianconeri abbiano disputato una brutta partita. Anzi. Dopo un primo tempo effettivamente meno arrembante rispetto alle sfide di Davos e Ginevra, il periodo centrale è un vero e proprio assedio. Ma in quei 16’ di dominio totale (escludiamo i primi 2’ con un powerplay pasticciato e gli ultimi 2’ in cui i Tori riprendono a pattinare) nessuno riesce a bucare la porta avversaria: né Quenneville, né Fazzini (le cui traverse, soprattutto quella del canadese, gridano vendetta) né Thürkauf, eleggendo a simbolo della serata quella colossale occasione in shorthand in combutta con Joly, ma le grosse occasioni in quei frangenti sono almeno cinque, oltre ai già citati ferri. Si può dunque relativizzare l’emergenza: se il Lugano vorrà tornare a guadagnare punti non dovrà reinventarsi ma dovrà ‘semplicemente’ ritrovare un po’ di quel sano cinismo che serve in ogni sport. Parallelamente, sull’altro fronte occorre anche segnalare le prestazioni maiuscole di Martschini – scatenato autore di una tripletta di assoluto valore – e di Hollenstein, a cui è mancato davvero poco per festeggiare lo shutout.
Non è una novità, ormai, ma una volta ancora i bianconeri hanno giocato in emergenza. Se gli infortunati sono noti, nell’ultimo periodo ci si è messa pure l’influenza a dare fastidio. Ieri è toccato a Schlegel alzare bandiera bianca, mentre altri possono scendere sul ghiaccio ma non in forma smagliante. Ecco allora che l’innesto di Aleksi Peltonen permette al reparto offensivo di prendere almeno un piccolo respiro. E il figlio d’arte, gemello di Jesper, di certo non sfigura. «Si trattava della mia prima partita, sono arrivato solo da un paio di giorni e spero che le cose continueranno a migliorare nei prossimi incontri. Ora dovrò cercare di imparare dai compagni, assimilare le loro tendenze e le loro abitudini e così facendo potrà esserci una progressione». In casi simili, cosa chiede l’allenatore a un nuovo arrivato? «Gianinazzi vuole che io porti sul ghiaccio la mia velocità. Al momento cerco di imparare al meglio delle mie possibilità. Baso principalmente il mio gioco sui movimenti rapidi e vedremo cosa succederà nelle prossime partite».
In fin dei conti l’incontro si è incanalato nella direzione sbagliata durante il secondo periodo, appunto per imperizia luganese e pure per un po’ di sfortuna. «Abbiamo avuto le nostre occasioni. Se continueremo a giocare in questa maniera le occasioni entreranno in rete, quindi dovremo andare avanti così, lavorare duro, e i risultati arriveranno». In riva al Ceresio, oltre al fratello, Aleksi ha ritrovato altri giocatori di passaporto o d’origine finlandese: «È bello avere in squadra qualche connazionale – chiude il numero 46 – non ce ne sono poi così tanti in giro, ma soprattutto è una forza avere mio fratello, che mi sta aiutando molto a inserirmi nella nuova realtà».
L’influenza che serpeggia nello spogliatoio del Lugano impedisce a Niklas Schlegel di scendere sul ghiaccio, obbligando Gianinazzi ad affidarsi a Koskinen per difendere la porta. Non ce ne voglia il gigante finlandese, di certo non il primo dei colpevoli della sconfitta, ma comunque ha sulla coscienza la rete del 3-0 ospite, e a conti fatti è proprio quel punto ad azzerare le speranze ticinesi, mentre le ultime due reti di Martschini (rigore strepitoso) e Thürkauf sono risultate di pura cosmesi. Chissà cosa sarebbe successo se tra i pali ci fosse potuto essere Schlegel, oppure se l’innesto di Mario Kempe («avrebbe potuto giocare, ma gli farà comunque bene avere qualche allenamento in più nelle gambe» dice Luca Gianinazzi) avrebbe prodotto qualcosa di più in attacco. D’altronde, però, con i se e con i ma non si va da nessuna parte.