Aspettando Jiri Felcman i ragazzi di Sannitz si rituffano nel clima del campionato, forti dell’impresa con il Sierre. ‘Uno l’impara a non mollare mai’
Due sconfitte all’ultimo, ai rigori (la prima addirittura sul ghiaccio della capolista), poi l’incredibile rimonta all’overtime di martedì sera, contro il Sierre, nonostante fossero ancora sotto 3-1 a due minuti dal termine. Quattro punti dopo 12 delle 45 partite di cui si compone la regular season del campionato cadetto sono senz’altro pochini, ma trattandosi di una squadra che fa della formazione il suo unico scopo, ai Bellinzona Rockets guardano al bicchiere mezzo pieno. «Diciamo che un’iniezione di fiducia ci voleva – spiega il direttore sportivo Nicola Pini, ripensando al primissimo successo della stagione, per merito del gol di Hedlund al 61’45’’ –. Servivano delle emozioni positive e hanno fatto bene un po’ a tutto l’ambiente, soprattutto ripensando a com’è nato quel successo, dopo aver pareggiato a trenta secondi dalla fine».
Quello dei ‘nuovi’ Rockets è un gruppo davvero giovane, infatti l’età media è di appena ventidue anni: è possibile che per dei ragazzi al debutto tra i professionisti sia più facile confrontarsi con una serie di risultati negativi?
Perdere non fa piacere a nessuno, è ovvio, e non dimentichiamo che quella dello sportivo è una mentalità vincente, però al tempo stesso trovo sia importante imparare a rimettersi in piedi dopo una sconfitta e guardare al risultato negativo come spunto per rimediare ai propri errori. Un giovane che vuole crescere, che ha l’obiettivo di arrivare un giorno in National League, o anche solo di consolidare il proprio ruolo in Swiss League, deve anche seguire un certo percorso riguardo al cosiddetto mentale: uno deve imparare a non mollare mai e a voler sempre ottenere qualcosina in più da se stesso, che andrà poi logicamente a beneficio della squadra.
Martedì, e lo stesso era capitato una settimana prima, nonostante il massimo campionato fosse fermo a causa degli impegni di Champions al Centro Sportivo non è arrivato alcun rinforzo da Ambrì. Fa parte di una strategia?
Sì, diciamo che questo è un po’ il punto su cui volevamo costruire. L’idea era mettere assieme un gruppo che fosse sempre lo stesso, così da poter creare un amalgama tra questi ragazzi, che sono sempre gli stessi sia in allenamento, sia in partita. A parte un po’ negli ultimi tempi, in cui siamo stati confrontati con degli infortuni che ci hanno procurato qualche problema a livello numerico, tolto qualche ragazzo che arriva dall’Under 20 dell’Ambrì, il resto del gruppo è abbastanza stabile. Basti soltanto pensare ai ragazzi prestati dal Langnau, che per il momento sono solo tre e che sono qui a Bellinzona ormai dal mese d’agosto.
A proposito di Langnau: mercoledì, nella sfida di Coppa persa a Thun, avete schierato per la prima volta il giovane Jiri Felcman, diciottenne talento d’origine ceca draftato quest’anno dai Chicago Blackhawks, fresco tra l’altro di ritorno dal Nordamerica dopo essere stato tagliato a fine settembre durante il ‘camp’ in Illinois...
Il primo obiettivo, suo e del Langnau, era quello di giocare le dieci partite che ancora gli mancavano nel campionato degli U20 Elit per poter ottenere la licenza svizzera. Di quelle dieci partite gliene restano due, poi – spero – dopo la pausa dedicata alla Nazionale potrà raggiungere Bellinzona per restarci definitivamente. Infatti, anche a Langnau non vogliono che i giocatori somiglino a dei tergicristalli e facciano avanti e indietro.
Era proprio ciò che capitava ai Rockets ai tempi di Biasca, quando gli allenatori dovevano mettere in pratica un hockey estremamente semplice per facilitare l’integrazione di quei giovani che arrivavano di volta in volta da Davos o da Ambrì: un andicap, se vogliamo, che a Bellinzona non c’è. Tuttavia, basterà sviluppare un gioco più strutturato per compensare la mancanza di qualità che portano degli stranieri come Lawrence del Winterthur (9 gol in 11 partite) o Stukel del Basilea (8)?
Cominciamo col dire che abbiamo costruito una squadra in tempo record, e siamo riusciti a mettere sotto contratto 12 giocatori compiendo un mezzo miracolo. Naturalmente, i giovani sono giovani e devono imparare, e rispetto alle altre squadre a noi mancano degli stranieri che hanno già costruito una carriera altrove, e che nel contesto in cui arrivano vanno a completare un gruppo dove già ci sono giocatori d’esperienza, con un passato in A. Quindi sì, la differenza la si vede. Però io direi che tranne due o tre squadre davvero fuori portata, penso ad esempio a un Olten o a un Grasshopper, pur essendo a loro volta le altre migliori di noi, noi possiamo – e dobbiamo – arrivare a giocarcela. E lo dovremo fare partendo dalla solidità del gioco difensivo, mettendo in pista tutto il nostro agonismo e la nostra determinazione. Insomma, dobbiamo essere dei gladiatori che vogliono crescere. È quello il nostro obiettivo.