Mentre la Svizzera pensa a sabato, nel pomeriggio di domani a Tampere e Riga si apre un Mondiale con pochi big. E in futuro potrebbe essere sempre peggio
L’orologio corre veloce, al pari dell’attesa. Domani, alle 15.20, con Finlandia-Stati Uniti (sul ghiaccio di Tampere) e, in contemporanea, alla Riga Arena, il derby tra Repubblica Ceca e Slovacchia si apre ufficialmente l’ottantaseiesimo Mondiale della storia. Sedici squadre in pista, all’inseguimento di una Finlandia che ha tutta l’intenzione di difendere il titolo conquistato in Patria un anno fa, e che è già il secondo delle ultime tre stagioni.
La Svizzera, invece, deve mordere il freno fin sul mezzogiorno di sabato, quando entrerà in lizza sfidando la modesta Slovenia dopo aver trattenuto il fiato per giorni in attesa di capire come sarebbe andata a finire nel secondo turno dei playoff Nhl tra Carolina e New Jersey, visto che nei Devils ci sono quattro potenziali rinforzi, ossia Nico Hischier, Jonas Siegenthaler, Akira Schmid e Timo Meier. Potenziali, in quanto il destino dell’appenzellese era comunque segnato in partenza. Non tanto per le dimensioni eccessive del suoi portafogli (a Newark adesso Meier guadagna tre milioni di dollari a stagione, ma che potrebbero magari raddoppiare in sede di negoziazione del futuro accordo) bensì per i rischi che correrebbe nel caso in cui si dovesse sciaguratamente infortunare a Riga. Vale per lui come per tutte le altre pedine Nhl senza contratto: restassero vittime di seri infortuni a un Mondiale, quale franchigia farebbe loro un’offerta per la stagione successiva, ben sapendo che dovrebbero rimanere lontani dal ghiaccio magari per mesi?
Quando si parla di Campionati del mondo, i soldi non sono un problema di poco conto. Chiedete agli svedesi, costretti a rinunciare a un attaccante del calibro di Elias Pettersson, il ventiquattrenne di Sundsvall, sperduta cittadina della Svezia centrale, che ha fatto ammattire i difensori di mezza Nhl in una stagione da ben 102 punti. Sam Hallam, il giovane coach della nazionale delle Tre Corone, avrebbe fatto carte false pur di averlo in formazione, ma il quotidiano Aftonbladet rivela che è stata la Federhockey svedese a dire no, per gli elevati costi assicurativi a garanzia del suo contratto a Vancouver, dove Pettersson guadagna la rispettabile cifra di sette milioni e rotti all’anno. Difatti, pur se la Federhockey internazionale mette a disposizione un fondo appositamente costituito a copertura degli oneri assicurativi, quella somma non è sufficiente a garantire i costi eccedenti nel caso di salari esorbitanti. Come, appunto, quelle del contratto di Pettersson. Anche perché una squadra come la Svezia, per restare a quell’esempio, nel suo contingente solitamente ha più di una stella Nhl, di conseguenza quando la somma assicurativa supera l’importo predisposto dall’Iihf, tocca alla Federhockey nazionale pagare la differenza. E nel caso di una Svezia la situazione è ben diversa da quelli di una una Danimarca o di una Lettonia, le cui delegazioni Nhl sono numericamente inferiori, di conseguenza la cifra stanziata dalla Iihf basta e avanza a coprire tutti i costi assicurativi.
Se già oggi le cose stanno così, in futuro le cose non potranno che peggiorare, visto che solo un mese fa Gary Bettmann, il direttore della Lega professionistica nordamericana, ha annunciato che il Salary Cap durante l’estate potrebbe salire a 83,5 milioni di dollari, non escludendo tuttavia incrementi anche maggiori. Tanto per rendere l’idea, sei anni fa il tetto salariale oltre il quale le franchigie nordamericane non possono andare era di dieci milioni di dollari inferiore. Come dire, quindi, che sarà sempre finanziariamente più oneroso portare una vera stella ai Campionati del mondo.
Senza contare, poi, che è tutto fuorché automatico che le franchigie Nhl concedano alle proprie star il permesso di chiudere la stagione sul tappeto rosso che porta ai Mondiali. Specialmente nel caso in cui prima abbiano dovuto fare i conti con qualche problema fisico. Il pensiero naturalmente va a Roman Josi e Kevin Fiala, ma se nel caso del bernese, intoccabile capitano dei Nashville Predators, la decisione è più che comprensibile – del resto, il trentaduenne difensore in carriera è stato vittima di non meno di otto commozioni cerebrali! –, riguardo al ventiseienne sangallese dei Los Angeles Kings la situazione è meno nitida: di lui si sa soltanto che è reduce da un non meglio precisato infortunio alla parte bassa del corpo, che l’ha obbligato a saltare nove partite prima di celebrare il rientro in gara quattro della serie playoff con gli Edmonton Oilers. Il sogno di riuscire a portare Fiala in Lettonia per Patrick Fischer non è tramontato del tutto, ma da qui a domenica, quando è attesa la decisione definitiva, il lavoro del direttore delle squadre nazionali Lars Weibel si preannuncia piuttosto intenso. Lui che la scorsa settimana si era già dovuto spendere per trattare, caso per caso, con le franchigie ma pure con gli agenti dei giocatori, gli arrivi dei vari Berni, Moser e Niederreiter, ma soprattutto Malgin.
Insomma, c’è più di un motivo se anche quest’anno, a Tampere e Riga, in pista non ci sia la crème de la crème. Uno di questi è che personaggi del calibro di Alexander Ovechkin o Nikita Kucherov al Mondiale non ci possono andare nemmeno se lo volessero, per motivi che è superfluo ricordare. Tutti gli altri campioni invece potrebbero farlo, ma dando un’occhiata alla selezione svedese ci si accorge che sono soltanto otto i giocatori Nhl convocati, mentre nella Finlandia appena cinque. Nel Canada invece, tanto per fare un altro esempio, dei ventitré giocatori scelti da André Tourigny, gli unici nomi davvero noti sono quelli di capitan Tyler Toffoli e del veterano Milan Lucic. Detto questo, non bisogna naturalmente dimenticare che oltre oceano è in corso il secondo turno dei playoff, quindi nessuno può escludere che altre star, europee ma non solo, si aggiungano all’ultimo. Ciò che – vista la penuria di big – potrebbe dar vita a cambiamenti non di poco conto: immaginiamoci, ad esempio, quale impatto potrebbe avere nella Germania l’arrivo di un Leon Draisaitl e dei 146 punti (in 90 partite) che porterebbe in dote.
Chi si augura invece di ammirare sul ghiaccio il meglio del meglio che il panorama hockeistico possa offrire, dovrà pazientare fino ai Giochi olimpici. Naturalmente, sempre nel caso in cui la National Hockey League si degnerà di tornarci. In un’intervista rilasciata non più di un paio di mesi fa, Luc Tardif, l’erede francese del nostro René Fasel ai vertici dell’Iihf, al riguardo dell’edizione 2026 s’era detto ottimista. Prima però di dover ammettere che «tutti dovranno fare uno sforzo per esserci». Dove tutti sta per le franchigie. I giocatori, infatti, a Milano e Cortina ci andrebbero anche a piedi.