L’indimenticato ‘folletto’ in visita alla Cornèr Arena. Quattro chiacchiere con colui che in dieci anni divenne un idolo della Nord
A volte ritornano. E Petteri Nummelin, indimenticabile e indimenticato ‘folletto’ finlandese numero 33 che aveva incantato la platea dell’allora Resega (sotto le cui volte è poi stata appesa la sua maglia), a Lugano ci è appunto tornato. Lo ha fatto in questi giorni, concedendosi una rimpatriata in quella che per dieci anni, dalla stagione 2001/02 alla stagione 2012/13 è stata la sua casa. Salutata lasciando nel cuore dei tifosi bianconeri un ricordo indelebile e, soprattutto, a un passo dal diventare il giocatore più prolifico della storia del Lugano. Allora 41enne, Petteri, che pur avendo spiccate doti offensive di ruolo era difensore, si era infatti fermato a una sola ‘tacca’ da un’altra indimenticata bandiera bianconera, quell’Andy Ton che ancor oggi comanda questa classifica dall’alto dei suoi 462 punti.
È dunque per cercare quel punto che ancora ti manca per entrare ancora di più nella storia del club che sei tornato, magari cullando il sogno di tornare a vestire la maglia del Lugano malgrado all’anagrafe gli anni nel frattempo siano diventati 49 (compiuti da qualche giorno)? «No no, ora sono troppo vecchio, vecchio e grasso per potermi permettere un come-back», premette con un largo sorriso Nummelin. Tappa obbligata della sua visita a Lugano la Cornèr Arena, dove martedì ha assistito alla vittoria della sua ex squadra (ritrovandovi nei ranghi i vari Nodari e Fazzini, giocatori che già avevano diviso lo spogliatoio con lui).
A Lugano, Nummelin ci era arrivato in coda a tre stagioni con il Davos. Dove aveva già avuto modo di farsi una certa reputazione nel massimo campionato a suon di gol e assist. Ma è appunto in riva al Ceresio che ha conosciuto il suo miglior periodo. Quello che gli ha pure regalato le soddisfazioni sportive più grandi, come i due titoli svizzeri (conquistati nel 2003 e nel 2006). «Qui ho vissuto attimi indimenticabili e lasciato parecchi amici. Quando sono tornato, domenica, è stato come se non fossi mai partito: le emozioni di quegli anni mi sono ripassate davanti agli occhi. Ho trascorso parecchi anni qui, i migliori della mia carriera da giocatore. E ci ho anche lasciato un pezzo del mio cuore. Poterci tornare ora, seppure solo per qualche giorno, è qualcosa di fantastico». Tra tutti i ricordi che hai collezionato in riva al Ceresio, ce n’è uno in particolare? «Beh, sono veramente tanti che faccio fatica a individuarne uno o un altro da citare. Ma i due titoli vinti occupano ovviamente le pagine principali dell’album dei ricordi. Quando smetti di giocare, una delle cose che più ti mancano sono i discorsi da spogliatoio. E quelli che avvenivano oltre la soglia di quello bianconero erano davvero qualcosa che non si dimentica facilmente». E nel tuo bagaglio personale c’è ancora posto per un po’ di quell’italiano che alla fine della tua permanenza in riva al Ceresio avevi finito per parlare discretamente? «Non molto ormai: adesso lo parlo davvero poco e male –, ammette, in discreto italiano, prima di proseguire in inglese –. Quando non lo pratichi, finisci col perderne dimestichezza. Ma lo capisco ancora bene».
E se nel 2006, anno del tuo secondo trionfo in bianconero (con il duo Zanatta-Kreis alla transenna), qualcuno ti avesse predetto che il Lugano poi di titoli fino a oggi non ne avrebbe più vinti, cosa avresti detto? «Non ci avrei creduto. Ero convinto che ci sarebbe voluto sì qualche stagione per tornare ad alzare al cielo quel trofeo, ma pensavo che la squadra avrebbe potuto rifarlo nel giro di due-tre anni».
Lasciate le rive del Ceresio alla, sporitvamente parlando, non più tenerissima età di 41 anni, Nummelin ha comunque continuato a giocare a hockey. Per cinque stagioni nella sua Finlandia, con un rapido passaggio in Norvegia, per poi concedersi gli ultimi giri di pista da giocatore professionista nel campionato 2017/18 in Asia League con la maglia dei nipponici Nikko Icebucks. «Ma poi è appunto arrivato il momento di dire basta anche per me. A un certo punto è giusto che tu ti fermi, e per me quel momento era giunto al termine di quella stagione in Giappone. Laggiù il livello non era ovviamente quello dei principali campionati d’Europa, e per me è stato come una sorta di ideale viale del tramonto. Ma anche quella è stata una bella esperienza; ho avuto l’opportunità di conoscere un nuovo Paese e non da ultimo nuovi giocatori». Messo il punto finale all’hockey giocato, Nummelin a questo mondo ci è comunque rimasto attaccato passando... dall’altra parte della balaustra. Dove dalla stagione successiva al suo ‘pensionamento’ ha preso il posto di assistente allenatore sulla panchina dello Storhamar (del coach Anders Gjose), formazione di cui aveva vestito la maglia per diciassette partite nel suo breve passaggio in Norvegia. «Beh, quella dell’hockey è una porta che non mi sentivo di voler chiudere in tutto e per tutto. Essere parte dello staff tecnico di una squadra mi permette di restare a contatto con ciò che ha rappresentato la quotidianità per praticamente tutta la mia vita. Giocare, oltre che affascinante, era una cosa relativamente semplice: in fondo dovevi solo farlo e basta, senza curarti di altri aspetti particolari. Le cose sono diverse quando vesti i panni di assistente allenatore: in questo ruolo ci sono parecchi aspetti di cui devi tener conto. Ma è altrettanto affascinante». E fra una decina d’anni ti vedremo in quelli di allenatore? «È possibile, io ci credo. Non nego che in un primo momento mi sono sorpreso da quanto lavoro debbano fare allenatore e assistenti, ma è anche un ruolo che ti permette di vivere sensazioni molto simili a quelle che si provano sul ghiaccio, da giocatore». Capitano dello Storhamar di cui sei assistente allenatore c’è però un altro volto assai noto alla Cornèr Arena: Patrick Thoresen... «Sì, gestire uno come lui mi permette di capire un po’ di più quanto doveva fare Larry Huras con me ai tempi di Lugano».
Da conoscitore dell’hockey asiatico, per averci giocato, cosa ne pensi dell’eventualità, ventilata dall’Iihf, che la Cina venga sostituita dalla Norvegia ai Giochi di Pechino? «Beh, se la Cina dovesse venir esclusa, toccherebbe alla Norvegia, e per l’hockey scandinavo sarebbe davvero una bella occasione. Ma in qualità di Paese ospitante, penso che alla fine la Cina ci sarà».
Sulle orme di papà Petteri c’è il figlio Rene, oggi diciassettenne: «È approdato relativamente tardi al mondo dell’hockey, ma gli piace tantissimo. Si allena parecchio e chissà, magari un giorno potrà seguire le mie orme fino in fondo, e venire a Lugano a giocare... Mai dire mai: ha le qualità per riuscire bene».