Dopo il danese Regin ecco Heim, Burren, Bürgler e Pestoni. ‘C'è chi apprezza la sicurezza a cifre più contenute’, spiega il direttore sportivo Paolo Duca
Gli attaccanti Inti Pestoni, Dario Bürgler e André Heim (il secondo dal Lugano, gli altri due dal Berna) più il difensore Yanik Burren, dagli Orsi pure lui: quattro anni il primo, due gli altri tre. Nomi di cui si vociferava da tempo, e che sono uno più pesante dell'altro e figurano tutti nel maxiannuncio con cui l'Ambrì, nel primo pomeriggio, fa il punto al suo mercato sul fronte interno, dopo aver già annunciato a fine aprile l'ingaggio del danese Peter Regin. È il frutto del grande lavoro di Paolo Duca e di tutto l'Ambrì in generale durante un inverno anche più difficile del solito, vissuto con la costante incertezza della pandemia. «Indubbiamente è vero, c'era tanta incertezza – racconta l'ormai quasi quarantenne direttore sportivo biancoblù –. Per tutti, anche per i giocatori. Alcuni di loro, ad esempio, hanno subito dimostrato di apprezzare più la sicurezza, con la possibilità di trovare un accordo che dia loro magari più serenità pur se a cifre più contenute».
Fa parte della vostra strategia? «La nostra strategia è quella di riuscire a fare il meglio possibile con ciò che abbiamo a disposizione. Siamo pur sempre un club formatore, che dà la possibilità ai giovani di assumersi ruoli più importanti rispetto magari alle società in cui erano prima, e mi fa molto piacere vedere che il sistema Ambrì continua ad attirare giovani di belle speranze come Heim (sempre in corsa per un posto ai Mondiali con la Nazionale di Fischer, ndr) e Burren, ma ben venga naturalmente la possibilità di far firmare giocatori d'esperienza con un certo potenziale, dei pilastri insomma».
Un nome su tutti, quello di Pestoni. «Senz'altro sono felice di ritrovare Inti, con cui ho anche giocato. Ma c'è pure la soddisfazione di avere raggiunto un accordo con un giocatore come Bürgler, che è un'arma in più quanto a potenziale offensivo ma che in passato a Davos ha già giocato sotto Arno Del Curto, quindi sa cosa vuol dire giocare in un sistema in cui hanno un grande peso il forechecking, l'intensità e la pressione sull'avversario».
Al di là del fatto che per Inti questo è un ritorno a casa: è stato difficile riuscire a convincerlo a riguadagnare il Ticino, cinque anni dopo averlo lasciato? «No, direi di no. Io, in verità ci provavo da tempo, ma gli anni scorsi lui aveva altre idee. Stavolta, invece, l'ho visto molto convinto, sentiva che questo era il momento giusto. Anzi, direi che lui ha manifestato subito abbastanza in fretta il suo grande desiderio di tornare, così in breve tempo siamo riusciti a raggiungere un accordo che andasse bene a entrambi».
Si può dire che, roster alla mano, questo sia l'Ambrì di maggior qualità da quando siete arrivati tu e Luca Cereda? «Non lo so... (esita, ndr). Diciamo che, questo sì, c'è un po' di qualità in più rispetto a quest'anno, che è stato difficile, e in cui consapevolmente abbiamo fatto determinate scelte per risparmiare, perché la pandemia ci ha condizionati pesantemente. Anche un po' con la prospettiva rinforzare un pochino gli effettivi per metterci poi nella posizione di avere una partenza più favorevole nel nuovo stadio».
Infatti è quella la vera novità della stagione che si appresta a iniziare: quanto l'arrivo della nuova pista vi ha facilitati sul piano del mercato, tenendo naturalmente conto che, al di là dell'aspetto emozionale, la Valascia non era più adeguata a rispondere ai bisogni dello sport professionistico? «Un pochettino sì, devo ammettere che lo stadio è un tema ricorrente nelle trattative, nelle discussioni. Pure tanti stranieri hanno sentito parlare della Valascia, del resto noi mostriamo loro dei filmati in cui si vedono le partite con la pista piena, non certo adesso che c'è la pandemia, quindi conoscono questo mito. Però ora sanno che arriverà lo stadio nuovo e, sì, c'è interesse da parte degli agenti come pure dei giocatori».
A proposito di interesse: ora che l'Ajoie è salito, nella massima serie siete in tredici. Per prima cosa, non sei sorpreso dalla promozione dei giurassiani? «No, per nulla – risponde, convinto –. Anzi, confesso che già prima dell'inizio della finale davo più chance all'Ajoie che non al Kloten. Perché è una squadra che ha imparato a vincere: due titoli cadetti in pochi anni e pure una Coppa Svizzera dopo aver eliminato quattro squadre di A. Insomma non è un caso. Ed è sempre difficile affrontare un gruppo che ha questa mentalità vincente, che non è cambiato molto in questi ultimi anni con la stessa guida tecnica e un buon nucleo di leader, di trascinatori. Quindi, per me, si può parlare solo di sorpresa relativa».
Sorpresa o no, qualcosa cambierà anche sul piano del mercato. «Certamente. Perché l'offerta rimane la stessa mentre la domanda aumenta, e di solito questo fa salire i prezzi. Diciamo però che quest'impatto non ci sarà subito, nell'immediato, siccome la parte più importante del mercato è conclusa, e con così poco tempo a disposizione l'Ajoie potrà soltanto cercare cinque o sei giocatori per rinforzarsi: immagino che i tre quarti della squadra rimarranno quelli della promozione».
L'Ambrì, invece? Dopo questi cinque nomi, quindi Pestoni, Bürgler, Heim, Burren e lo scandinavo Regin, i tifosi cosa si devono attendere? «Adesso mancano due stranieri. Infatti sotto contratto abbiamo D'Agostini e Regin, in questo momento. Poi, a tempo debito, quando troveremo i giocatori che faranno al caso nostro e avremo raggiunto un accordo, ne parleremo».
Nel famoso 'radiomercato', come si diceva una volta, si vocifera di un Linus Klasen intenzionato a rompere il contratto con gli svedesi del Luleå per fare ritorno dalla sua famiglia, che vive ancora in Ticino... «Sì sì, ma già un tempo lo davano per certo ad Ambrì, non so se qualcuno se ne ricorda. Fa sempre comodo essere accostati all'Ambrì, mi sembra...».
Ecco, appunto: quanto le notizie messe in giro ad arte, magari dagli stessi agenti dei giocatori, possono disturbare il lavoro di un direttore sportivo? «Allora – spiega –, se la trattativa è già conclusa e c'è già una firma sul contratto, il danno si limita alla sola strategia comunicativa della società, che è già programmata, e la sorpresa per così dire viene rovinata. Diverso, invece, è quando le voci sono campate in aria, perché possono creare danni gravi. Anche se, in fondo, a prescindere dal fatto che l'indiscrezione sia vera oppure no, genera sempre aspettative tra il pubblico, tra gli sponsor e pure tra gli stessi dirigenti della società. Ma soprattutto tra i giocatori: ad esempio, se io ai miei stranieri dico 'ragazzi, dei contratti non parliamo prima di gennaio' e poi qualche giornalista esce con un presunto scoop al mese di novembre, si può ben immaginare quale sarà il malcontento. Prima di tutto devi avere grande credibilità all'interno dello spogliatoio, ma comunque ti toccherà poi passare delle ore al telefono per spiegare a questo o a quell'agente che non è vero. Insomma, la situazione non sarà per nulla indolore».