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‘Il Geyser Sound, poi il sipario è calato’

Terza parte del viaggio a raccolta delle testimonianze delle persone che hanno segnato la storia dell'ormai ex ‘casa’ dell'Ambrì Piotta. La parola, oggi, la prendono un tifoso e il sindaco di Quinto.

Una coreografia che parla da sé (Ti-Press)

Terza parte del viaggio a raccolta delle testimonianze delle persone che hanno segnato la storia dell'ormai ex ‘casa’ dell'Ambrì Piotta. La parola, oggi, la prendono un tifoso e il sindaco di Quinto.

7 aprile 2021
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Classe 1971, Roberto Guidi è quello che si può definire un tifoso ‘doc’ dell’Ambrì Piotta. Il viaggio da Origlio ad Ambrì, in questi anni, lo ha fatto un’infinità di volte. «Non ricordo con esattezza quanti anni avessi la prima volta che mi portarono alla Valascia, ma ricordo che la pista era già chiusa, sebbene non da molte stagioni, ed erano gli anni dei vari Tajcnar e Gardner; per cui avrò avuto suppergiù dieci anni. A quei tempi allo stadio ci andavo con mio zio, in tribuna. Poi, appena ho potuto, all'età di 13-14 anni, con i cugini più grandi ci siamo spostati in curva, dove sono poi rimasto per tutti gli anni seguenti (fatta eccezione per una piccola parentesi nuovamente in tribuna)».

Come è cambiato in trenta e più anni l’ambiente della Valascia? «Più che cambiare l’ambiente della Valascia, siamo noi a essere cambiati. Con l’età, le nostre abitudini, inevitabilmente, mutano. Ai tempi, la partenza alla volta di Ambrì iniziava nel tardo pomeriggio: o ci si andava col treno o sfruttando il passaggio di qualche amico più grande. A quei tempi già alle 18 eravamo sul piazzale davanti al cancello dell’entrata. E l’attesa aveva tutti i suoi riti. Come quello delle torce nascoste nei panini per eludere i controlli della sicurezza. O accese ancora prima dell’inizio della partita, quando le squadre facevano il loro ingresso in pista (soprattutto in occasione dei derby), per paura di non poterlo più fare al termine dell’incontro. Tutte cose impensabili oggigiorno… Con gli anni ci siamo poi ritagliati la nostra zona in curva, un settore tranquillo dove ci si ritrovava in dieci, quindici amici, quasi tutti conosciuti su quelle gradinate e provenienti da un po’ tutto il Ticino. Tutti fedelissimi, al punto che quasi quasi, quando non vedevi qualcuno a una partita, lo chiamavi per sincerarti che stesse bene».

‘Non ci sarà più la magia della pista, ma quella della squadra resta. Era un passo inevitabile per far sì che anche i nostri figli potessero vivere la realtà dell'Ambrì’

Di emozioni, in tutti questi anni sulle gradinate della Curva Sud, Roberto Guidi ne ha vissute moltissime. «Ma quelle più grosse portano a fine Anni Novanta, gli anni d’oro dell’Ambrì, vissuti praticamente senza torce ma… con qualche birretta in più forse». Come hai vissuto l’ultima stagione della Valascia? «Ho comunque acquistato la tessera per un posto seduto in curva, e finché le disposizioni sanitarie lo hanno consentito, ho seguito dal vivo le partite dell’Ambrì. Al di là di tutto, dopo una certa riluttanza iniziale vuoi per l’obbligo della mascherina, vuoi per le regole del distanziamento sociale o per altro ancora, si era comunque ricreato un bell’ambiente; il tifo e l’entusiasmo non è mancato nemmeno nella prima parte della stagione. Poi, però, tutto è finito così, in modo quasi improvviso, subito dopo una serata quasi memorabile con la bella vittoria sullo Zurigo (5-2, la sera di martedì 27 ottobre, ndr), festeggiata con tanto di ‘Geyser Sound’ a fine incontro. Ecco, quello è l’ultimo ricordo che ho della Valascia». La fine di un’era… «Per un’era che si chiude, ce n’è un’altra che comincia: la prossima stagione ci sarà anche un po’ di curiosità nello scoprire il nuovo stadio. E, comunque, c’è sempre la speranza che si riesca a fare qualcosa durante l’estate, che so, un ultimo saluto alla Valascia; vedremo... Sarebbe anche bello potersi portare a casa qualche pezzo di pista come ricordo, chissà». E cosa sceglieresti come cimelio? «Ai tempi che frequentavo la tribuna avrei preso un seggiolino. Ora non so, magari un pezzo della buvette, oppure un gradino della curva o dell’indiano che la troneggia, tra l’altro firmato da McCourt in occasione di un suo ritorno alla Valascia una decina d’anni fa, perché, in fondo, Dale è stato uno tra i giocatori che più ho ammirato con la maglia dell’Ambrì, quello che ha un po’ segnato la mia generazione».

Quali sono le emozioni più significative vissute sotto le volte della Valascia? «Sono così tante che sceglierne una sola sarebbe un esercizio troppo impegnativo. Se penso alle più recenti, citerei il derby folle della passata stagione, finito 7-2 per noi: alla fine quasi ogni tiro finiva in gol. Ricordo bene anche l’invasione di pista quando l'Ambrì vinse la Supercoppa europea contro il Magnitogorsk nel 1999. Su tutti i ricordi, però, metterei quello dello spettacolare derby vinto in rimonta grazie anche a Kamensky e Peter Jaks (6-5 per i biancoblù, domenica 11 dicembre 1994; 90esimo derby della storia). Tralascio, per ovvi motivi, la finale con il Lugano, come pure le drammatiche serie di playoff con il Friborgo dei vari Khomutov e Bykov, o quella con lo Zugo malamente persa in un anno che poteva regalarci ben altre soddisfazioni. Poi ci sono parecchi altri ricordi di serate memorabili vissute alla Valascia, di serate di febbraio con temperature attorno ai -15 gradi ma con una folta cornice di pubblico pronto a esultare con la squadra e scaldare l'ambiente col suo tifo».

E cosa cambierà da settembre, entrando nel nuovo stadio? «Il fascino che aveva la Valascia non lo ritroveremo di certo: per noi curvaioli, l’ambiente non sarà logicamente più il medesimo. Ci sarà certamente un velo di malinconia per chi, come me, per anni ha vissuto su quelle gradinate, ma d’altro canto capisco benissimo le esigenze di disporre di una struttura più al passo con i tempi e funzionale. E, soprattutto, quello della nuova pista non è un capriccio, ma una necessità, se vogliamo che anche i nostri figli e nipoti possano avere pure loro la possibilità di vedere questa squadra. Non ci sarà più la magia della pista, ma quella della squadra resta».

Valerio Jelmini

‘È stata il cuore pulsante del Comune’

«Per il nostro Comune, l’impianto della vecchia Valascia è un pezzo di storia – racconta il sindaco (uscente) di Quinto Valerio Jelmini –. Una storia cominciata sull’adiacente piazzale, che d'inverno veniva delimitato da transenne per essere trasformato in una pista da hockey, per poi passare al secondo capitolo, quello della Valascia vera e propria, appunto, e alla sua copertura, dopo tutta una serie di vicissitudini. Adesso è il momento di voltare un'altra pagina e iniziare un capitolo tutto nuovo. Senza però cancellare, come con un colpo di spugna, tutto ciò che è stato. Perché, in ogni caso, sono stati anni che resteranno indelebili nella mente di chi li ha vissuti in prima persona».

Non un semplice stadio: fin da subito la Valascia si è dimostrata essere qualcosa di più per l'intera comunità leventinese, una sorta di cuore pulsante di Quinto. «E non poteva essere altrimenti. La Valascia è Ambrì; un edificio del genere in un contesto montano come il nostro rappresenta indubbiamente un elemento importante, centrale per la vita del paese, e non da ultimo per quel che concerne l’impatto sul territorio. Grazie al fatto che sotto le sue volte hanno sfilato le migliori squadre della Svizzera, la Valascia ci ha regalato anche molta visibilità, pure al di fuori dei confini nazionali. Allo stesso tempo la presenza di uno stadio come questo ha creato un notevole indotto economico per tutta la regione: sono davvero tante le vite che hanno ruotato attorno a questo impianto. Penso ai giocatori, agli amici, alla gente che magari si concedeva una capatina in Alta Leventina per trascorrere una vacanza e poi, perché appassionata di hockey, qui ci è rimasta, affascinata dalla realtà scoperta sotto le volte della Valascia. Dunque sì, indubbiamente l'ormai ex ‘casa’ dell'Ambrì Piotta è stata un importante fulcro per l’economia regionale degli ultimi cinquanta-settant’anni». Un importante fulcro che ha però dato parecchio lavoro in ambito logistico… «È vero, ma fortunatamente in questo ambito siamo stati sempre ben assistiti dal Cantone. Perché per un Comune come il nostro, di un migliaio di anime, sarebbe stato altrimenti impensabile pensare di gestire unicamente con le nostre forze tutti gli aspetti relativi alla sicurezza all’esterno dello stadio. È vero che ci sono state volte in cui ci siamo chinati sulla richiesta di autorizzare o meno qualche corteo di tifosi, ma non abbiamo quasi mai avuto problemi particolari sotto questo punto di vista».

‘Non è la fine del libro, ma l'inizio di un nuovo capitolo’

Cosa significa per un sindaco di lungo corso qual è Valerio Jelmini il fatto che questa sia stata l’ultima stagione alla Valascia dei biancoblù? «È senz’ombra di dubbio un pezzo di storia che si chiude. Ma, al di là di questo, dobbiamo guardare con fiducia al futuro, anche perché ci apprestiamo ad aprire un capitolo che si preannuncia altrettanto affascinante. Almeno considerando le premesse: quella che si sta ultimando sulla piana dell’aeroporto a tutti gli effetti sarà una ‘casa’ decisamente più accogliente per i giocatori dell’Ambrì Piotta, e non da ultimo per i tifosi. Personalmente mi piace guardare al passo che il club si appresta a compiere come il proseguimento di quel cammino iniziato sul piazzale della Cava oltre ottant'anni fa e poi proseguito nella Valascia. Non è un nuovo libro che comincia, ma un nuovo capitolo del medesimo libro, quello chiamato Ambrì Piotta». Un nuovo capitolo che, tuttavia, inizia con un po’ di malinconia per come è finito quello precedente… «È logico che un po’ di malinconia la si provi. Sebbene non sia stato un assiduo frequentatore dello stadio, anche io mi sento pervadere da un velo di tristezza. Ci sono persone che in questa pista, seguendo la loro passione, hanno lasciato il cuore e l’anima. Il freddo pungente della Valascia, quasi unico, le frequentazioni in tribuna e le serate a cantare a squarciagola, magari in Curva Sud, lasciano nel cuore di chi ci è stato ricordi che resteranno indelebili, ricordi che non si cancelleranno a settembre quando si attraverserà il sedime dell’ex aeroporto per andare al nuovo impianto, e nemmeno una volta che quello vecchio sarà smantellato. D’altro canto bisogna guardare avanti: la Valascia negli ultimi vent’anni era invecchiata parecchio, lo sanno soprattutto i tecnici che regolarmente sono dovuti intervenire per mettere qualche pezza qua e là. L’aspetto della sicurezza dello stadio, del resto, era un argomento che doveva essere affrontato con una certa regolarità, anche a livello di amministrazione comunale. Ecco, chi magari è un po’ più restio a lasciar andare il vecchio stadio per entrare in quello in via di ultimazione, può attingere a queste considerazioni per trovare un ulteriore motivo per guardare con interesse a quanto lo attenderà dal prossimo settembre. Personalmente preferisco guardare avanti piuttosto che indietro, e ciò che vedo è uno stadio bello e funzionale che ci attende».

Lo stadio che aprirà i suoi battenti in un Comune che non avrà però più Valerio Jelmini, uno dei fautori di questo progetto, come sindaco. «Il fatto che la mia carriera di sindaco si chiuda nei giorni in cui si spengono per l’ultima volta le luci alla Valascia è semplicemente una coincidenza, nulla di voluto. Per quel che mi concerne, dopo tanti anni sentivo che era arrivato il momento di passare il testimone a nuove forze. Anche perché se resti troppo a lungo in carica, rischi di ‘bruciare’ una generazione. Lascio però con la soddisfazione di vedere praticamente ultimato uno dei temi portanti che ha caratterizzato la vita politica dell’ultimo decennio».

‘Spero che il mio successore possa vedere il capitano dell'Ambrì affacciarsi dal palazzo comunale con la coppa in mano, onore che io non ho avuto’

Un Valerio Jelmini che lascia però anche senza aver avuto il piacere di vedere il capitano dei biancoblù affacciarsi dal balcone della casa comunale con il trofeo di campione svizzero, come tradizione vuole… «Beh, la casa patriziale, in cui il Comune è ospite da quasi cent’anni, è stata recentemente ristrutturata, con tanto di parapetto al balcone. Da settembre ci sarà pure la pista nuova e dunque direi che adesso non manca più niente, se non, appunto, la coppa. Non mi resta che augurare a chi mi succederà di poterla vivere per davvero una scena simile!».