A dirlo è l'allenatore dei Razzi Eric Landry, che analizza l'inizio stagionale della sua squadra: 'In avvio abbiamo sorpreso un po' tutti'
«Due quarantene bastano e avanzano: per questo campionato direi che abbiamo dato a sufficienza alla causa del Covid-19». A dirlo, con un mezzo sorriso, è l'allenatore dei Ticino Rockets Eric Landry. Che aggiunge: «E la cosa buffa è che la seconda volta non avevamo alcun giocatore infettato in squadra: la misura è stata decisa perché qualcuno era entrato in contatto con un'altra persona positiva. Certo è che per una squadra come i Rockets, la cui rosa è per gran parte composta da giocatori provenienti dalle sue squadre di riferimento in National League, la pandemia complica ancor di più il compito dell'allenatore. Se già abitualmente c'è un comprensibile viavai di giocatori verso il campionato superiore, la cosiddetta 'nuova normalità' porta con sé una marea di altre incognite con cui devo convivere. E così più di una volta mi sono ritrovato a pensare a un lineup nella rifinitura del mattino di una giornata di gioco, per poi dover ribaltare l'assetto tattico al momento di scendere sul ghiaccio causa indisponibilità di qualcuno, magari fermato da una quarantena precauzionale. Ma, d'altro canto, in una situazione così non si può fare altrimenti...».
Problematiche che spiegano, almeno in parte, le difficoltà che stanno conoscendo in campionato i Rockets, incapaci di andare a punti da nove partite (dalla sconfitta ai rigori contro l’Evz Academy del 1° novembre) e di vincere da undici (3-2 a Chaux-de-Fonds il 23 ottobre). «E, comunque, la pandemia ha complicato sì le cose, ma fino a un certo punto. Perché, nonostante tutto, sebbene il continuo andirivieni con le squadre di National League comporti pure qualche rischio di quarantene per i diretti interessati, i nostri club partner hanno sempre dimostrato la massima collaborazione nel metterci a disposizione giocatori. In concreto, se ora facciamo più fatica a fare punti è principalmente perché adesso le altre squadre ci conoscono e hanno preso le dovute contromisure. All’inizio tutto era un po’ piu facile: il vento soffiava in nostro favore e grazie a una tenuta migliore rispetto ai nostri avversari sull’arco di tutta la durata di una partita, e non da ultimo sfruttando il fattore sorpresa che ci ha accompagnato nelle prime giornate, siamo riusciti a toglierci diverse soddisfazioni». Su tutti, forse, la bella vittoria ai rigori al debutto stagionale contro l’Ajoie, «che, unitamente al Kloten, resta una delle più accreditate per il titolo della lega cadetta. Personalmente trovo che i giurassiani abbiano una marcia in più rispetto a tutte le altre: di tutte è la squadra che preferisco per stile di gioco e potenziale. In generale, comunque, tutte le squadre hanno fatto un bel passo avanti rispetto a inizio stagione, e quando ci affrontano ci mettono ancora più impegno. Noi? Beh, logicamente non siamo nella posizione che vorremmo, e forse nemmeno in quella che meriteremmo, visto che diverse partite di questa serie negativa le abbiamo perse pur non demeritando...». Preoccupato? «Non eccessivamente, anche perché, appunto, abbiamo pur mostrato buone cose al di là dell’esito finale. È tuttavia vero che alla lunga, una striscia così corposa di insuccessi inizia a pesare anche dal profilo mentale: adesso dobbiamo trovare il modo di reagire e di mettere il punto finale a questa serie di battute d’arresto, prima che aumenti la pressione di questa situazione diventi insostenibile».
L’occasione per interrompere questa serie negativa, i ragazzi di Landry l’avranno sabato pomeriggio, quando alla BiascArena arriverà il Langenthal: «Una squadra che dovremo comunque affrontare con la dovuta aggressività e il giusto rigore difensivo, visto che quello bernese è un complesso molto ben messo, soprattutto in attacco. Per questo sarà indispensabile vincere il maggior numero di duelli personali e mantenere il possesso del disco il più a lungo possibile. Poi, ovviamente, sarà indispensabile sfruttare tutte le occasioni da rete che ci si presenteranno. Anche perché più a lungo si protrae la nostra sterilità offensiva, più si corre il rischio di farci prendere dalla frustrazione che poi porta a commettere errori».
Ti sei già fatto un'idea di una possibile soluzione per invertire la tendenza? «Ovviamente sì, e altrettanto ovviamente è da diverse settimane che ci stiamo lavorando, anche se non è facile portare avanti un piano collettivo quando non puoi contare su tutto l'effettivo. Ciò che dobbiamo comunque assolutamente migliorare è il rendimento offensivo: siamo bravi nel lavoro di impostazione e a costruire le azioni, ma poi siamo ancora troppo carenti in fase realizzativa». Del resto i numeri sono lì a testimoniarlo: con 32 reti segnate in 18 partite (pari a una media di 1,77 gol a incontro), i Rockets vantano il peggior attacco del campionato). «Sono persuaso che una volta che ci saremmo sbloccati offensivamente, poi la pressione sulle nostre spalle andrà attenuandosi».
Ti aspettavi una sfida simile prendendo in mano le redini dei Rockets? «Sapevo che sarei stato confrontato con una bella sfida, molto impegnativa. Ma forse non in questa misura, visto che oltre alle problematiche del campionato, praticamente ogni giorno sono confrontato con problematiche derivanti dalla pandemia che hanno un influsso diretto anche sull’assetto tattico. Senza dimenticare le quarantene, che spezzano il ritmo normale e rivoluzionano i calendari. È una sfida nella sfida...». Paradossalmente, ora come ora, la Swiss League sotto questo aspetto sembra passarsela un po’ meglio rispetto alla National League. «È vero, anche se questo non vuol dire che ora sia tornata la normalità: è solo una questione di ciclicità. Prima o poi il virus tornerà a recitare un ruolo di protagonista di primo piano anche nel nostro campionato». L’assenza di pubblico può essere d’aiuto nelle partite lontano da casa? «Più che aiutare la squadra in trasferta, le porte chiuse non avvantaggiano quella che gioca in casa. E, comunque, l’assenza di pubblico è sinonimo di assenza di agonismo, di emozioni e di intensità: giocare in queste condizioni non è facile per nessuno, soprattutto per quelle squadre che hanno nella loro rosa molti giovani. Sono loro che principalmente hanno bisogno di questo genere di stimoli. Quelli più anziani, invece, alla mancanza di emozioni possono sopperire con la maggiore esperienza».