Quarantena agli sgoccioli per Alessandro Chiesa e compagni: da domani i bianconeri tornano a fare sul serio
La quarantena è agli sgoccioli. I dieci giorni di tregua agonistica decretati dal medico cantonale ai giocatori del Lugano si estinguerà a mezzanotte di questa sera. Due di quarantena stretta, seguiti da una settimana di allenamenti nella 'bolla' della Cornèr Arena. E domani i bianconeri faranno il loro ritorno sulla scena del massimo campionato, affrontando il Davos. Con che spirito vivete la vigilia di questa ripartenza? «Sicuramente con un po' di consapevolezza in più nei confronti di questa pandemia e di tutto quanto essa comporti - sottolinea Alessandro Chiesa -. Non che prima che il virus si insinuasse nel nostro spogliatoio fossimo acerbi sul tema, anche perché non passa praticamente giorno senza notizie su casi di positività riscontrate nel mondo dell'hockey, ma quando la squadra è toccata in prima persona, beh, allora sì che di colpo acquisisci piena conoscenza di questa realtà, fatta di quarantene, tamponi e quant'altro. Adesso sappiamo di cosa si tratta, per averlo provato sulla nostra pelle, e sappiamo anche cosa significhi chiudere tutto, pure per averlo sperimentato in presa diretta la scorsa primavera. Un po' di preoccupazione c'è, soprattutto di fronte a cifre, quelle dei contagi, che crescono sensibilmente di giorno in giorno». Pronti per tornare a giocare per i punti? «La voglia di tornare a fare sul serio è tanta: la pausa è durata fin troppo; ora abbiamo bisogno di un po' d'agonismo, di tornare a giocare per i punti in palio. E, soprattutto, c'è voglia di ritrovare una certa normalità in una situazione fin troppo anomala: è tempo e ora che torniamo a dedicarci a quella che è la nostra passione oltre che professione. Il fatto di poterci allenare in questi giorni non ci ha fatto perdere molto rispetto agli altri sul piano della condizione fisica, ma sul piano sportivo una pausa così prolungata è pesante da digerire: l'agonismo non lo puoi allenare. Contro il Davos dovremo essere bravi a riprendere il ritmo giusto fin dai primi minuti».
Prima lo stop al Friborgo, e poi, subito dopo, quello ai bianconeri: la 'nuova normalità', nel massimo campionato di hockey, è durata lo spazio di quattro partite. Poi ecco i primi rinvii... «Prima o poi doveva capitare. Sapevamo sin dall'inizio che sarebbe potuto succedere, che il coronavirus sarebbe potuto entrare nello spogliatoio: ci sono i protocolli sanitari, è vero, ma nemmeno così il rischio è pari a zero. Per fortuna ce la siamo cavata relativamente a poco prezzo: sintomi leggeri per i contagiati e quarantena col permesso di allenarsi per gli altri».
Chiesa ripercorre poi il film degli scorsi giorni: «Mercoledì scorso, una volta saputa della positività di Alessio (Bertaggia, ndr), tutta la squadra si è sottoposta al tampone. E poi ognuno è rientrato al suo domicilio in attesa del risultato. Ecco, forse quella giornata trascorsa in attesa di conoscere il responso dei test medici è stata la più lunga di tutta la quarantena. Pur seguendo tutti i giorni un protocollo ben definiti, se il virus è in circolazione in un ambiente che frequenti praticamente tutti i giorni è più che concreto, e dunque sì, inevitabilmente un po' d'apprensione aspettando la risposta del medico l'ho provata pure io, così come la mia famiglia». Appurato che i casi di positività erano solo tre, il resto del gruppo (Chiesa compreso) da sabato ha potuto tornare ad allenarsi nella 'bolla': «Tutto ciò che è seguito alla risposta del tampone è stato una sorta di 'bonus': non era scontato che il resto del gruppo potesse tornare a prepararsi. Anzi, per certi versi è stato una sorta di privilegio: se avessimo dovuto trascorrere tutti dieci giorni a casa senza poter lavorare, le conseguenze a livello fisico sarebbero state notevoli; di certo sarebbe stato impensabile poter giocare già domani contro il Davos. La luce verde da parte del medico cantonale per la ripresa degli allenamenti l'abbiamo ricevuta nella giornata di venerdì, ma sul ghiaccio ci siamo tornati effettivamente solo l'indomani». Come è stato il ritorno sul ghiaccio per allenarsi nella 'bolla'? «È stato adottato qualche accorgimento in più in materia di protocolli sanitari, ma dal punto di vita di spogliatoio non è cambiato molto. Strano è sicuramente stato il fatto che per quasi una settimana ci siamo allenati e basta: niente contatti con l'esterno dello spogliatoio, né prima né dopo la seduta. E una volta lasciata la pista, dritto a casa».