Dopo sei stagioni, Linus Klasen saluta il Lugano. 'Qui mi sono sentito come a casa. Sono orgoglioso di averci vissuto così tanti anni'
«Alla fine, Lulea era la miglior scelta per me: in fondo è un po' come tornare a casa, visto che è da qui che era iniziata la mia avventura a Lugano». A dirlo è Linus Klasen, che dopo sei stagioni mette dunque il punto finale alla sua avventura in bianconero. Il 34enne nativo di Stoccolma volerà in patria, per tornare a vestire la maglia di quel Lulea di cui aveva già difeso i colori due stagioni, dal 2012 al 2014, prima appunto di approdare in riva al Ceresio. Dove, come detto, ha trascorso sei stagioni, disputando 301 partite per un bottino personale di 281 punti (di cui 78 reti). «Il campionato svedese, come quello svizzero, è uno dei principali tornei in Europa. E il Lulea è uno dei club più prestigiosi e competitivi sulla ribalta europea (nell'ultima edizione della Champions League aveva raggiunto le semifinali, estromesso a quello stadio dal Frölunda, poi vincitore del titolo, ndr). Il fatto di aver già giocato in quella squadra è sicuramente stato uno dei criteri determinanti per la mia scelta: conosco la società, la filosofia con cui è gestita e anche l'allenatore».
È mancata la ciliegina sulla torta del titolo, ma quelle trascorse a Lugano sono comunque state sei stagioni intense. Condite da tanti ricordi. Ricordi che Klasen snocciola con un velo di emozione: «Tra i momenti che non scorderò mai ci sono i playoff della stagione 2015/16. Quell'anno in semifinale avevamo estromesso il Ginevra Servette, battendolo 4-3 nell'overtime di gara 6 (con rete decisiva di Furrer), al termine di una serie giocata al massimo. Penso che quelli furono i nostri migliori playoff... Peccato che quell'anno fu poi il Berna, anziché noi, a vincere il titolo». Quel titolo che Klasen ha inseguito per sei stagioni, senza tuttavia poterlo festeggiare, pur avendolo sfiorato un'altra volta due stagioni più tardi, quando in finale i bianconeri vennero battuti in gara 7, giocata davanti al pubblico amico, dai Lions. «Quello di non essere riuscito a conquistare il titolo svizzero con il Lugano è il rammarico più grosso. Ad ogni modo in questi sei anni passati a Lugano di emozioni ne ho vissute parecchie. Come spesso accade nello sport, ci sono stati parecchi alti e bassi, gioie e dolori. Anche sul piano personale. Ma, comunque, il bilancio finale che traggo da questa esperienza è senza dubbio positivo; sul piano personale è anche stata l'opportunità di crescere dal profilo tecnico. Lugano non è stata solo una squadra per me, ma anche una sorta di casa; non posso che essere fiero di poter dire di averci vissuto sei stagioni: la società e l'attaccamento dei suoi tifosi me li porterò sempre nel cuore. È stata un'avventura fantastica. Posso dirmi contento e fortunato per aver avuto l'opportunità di così tanti anni con la maglia bianconera: le nostre strade ora si dividono, ma auguro il meglio alla società e al suo pubblico».
Il sipario sulla tua avventura in bianconero cala con una stagione decisamente particolare, troncata proprio sul più bello... «È stato un vero peccato chiudere così. Ma, considerata la piega degli eventi, era giusto fermare qui le competizioni al fine di garantire la sicurezza di tutti, giocatori compresi».
Parliamo di singoli giocatori: qual è stato il compagno di squadra con cui ti sei trovato maggiormente a tuo agio in questi anni? «In sei stagioni ho diviso lo spogliatoio con parecchi giocatori speciali. Spesso sono anche le circostanze che fanno sì che si instauri un'alchimia particolare con qualcuno piuttosto che qualcun altro dei compagni di squadra. Ma se devo fare un nome su tutti, citerei sicuramente Fredrik Pettersson, con cui ho spartito i miei primi due anni qui a Lugano: per me Freddie è stato il numero uno. L'intesa che c'era fra di noi in quegli anni è stata qualcosa di eccezionale. Citerei anche i vari Damien Brunner e Tony Martensson, che avevano quel qualcosa in più. Comunque, in generale, ho sempre avuto al fianco grandi giocatori e, soprattutto, grandi persone».