Il danese colpito da arresto cardiaco in campo. Sta meglio ma è ancora ricoverato per accertamenti. E non mancano le critiche all'Uefa: ‘Non si doveva giocare’
Christian Eriksen rimane ricoverato all’ospedale di Copenaghen, ma è cosciente e in condizioni stabili. Il mondo del calcio (e non solo) può tirare un sospiro di sollievo. Sabato sera, sul finire del primo tempo della partita tra Danimarca e Finlandia, la tragedia è stata soltanto sfiorata. L’Euro 2020 ha rischiato di trovarsi di fronte a un dilemma al quale difficilmente avrebbe potuto dare una risposta corretta: proseguire la kermesse anche di fronte alla morte di un giocatore, oppure cercare di fermare un carrozzone che una volta lanciato a piena velocità ben difficilmente può rallentare la corsa. Per fortuna, Aleksander Ceferin e i suoi collaboratori non saranno chiamati a una decisione tanto difficile da prendere. E possono ringraziare medici e soccorritori intervenuti prontamente sul terreno del Parken per prestare i primi soccorsi al giocatore dell’Inter. «Siamo riusciti a farlo tornare con noi», ha affermato il medico della selezione danese, Martin Boesen. Per farlo, è stato necessario utilizzare il defibrillatore, il che ricorda a tutti quanto sia importante avere un simile salvavita a disposizione in ogni impianto sportivo, non solo calcistico.
L’atteggiamento dell’Uefa è stata criticata da più parti, ritenendo che, di fatto, abbia scaricato sulle spalle dei giocatori la decisione sull’eventuale ritorno in campo. «In simili circostanze, non bisognerebbe lasciare la decisioni a chi in quel momento è in piena tempesta emotiva e non ha la visione d’assieme per prendere decisioni importanti». Gli ha fatto eco il connazionale Peter Schmeikel, leggendario portiere danese, il cui figlio, Kasper, sabato era in campo a difesa della porta di casa… «L’Uefa non ha lasciato alternative alle squadre: hanno avuto la possibilità di tornare in campo per concludere i 55 minuti restanti, oppure presentarsi il giorno dopo alle 12.00. Ma che tipo di opzione sarebbe?».
In una conferenza stampa tenuta nel pomeriggio, il medico Martin Boesen ha confermato che «per il momento non abbiamo alcuna spiegazione per quanto avvenuto. È una delle ragioni per le quali Christian è tutt’ora ricoverato all’ospedale, bisogna capire cosa è successo».
Nel corso della stessa conferenza stampa, il tecnico danese Hjulmand ha affermato che «secondo me non si sarebbe dovuto giocare», precisando poi di aver potuto parlare con Eriksen: «‘Come state? – ci ha detto –: credo che stiate peggio di me. Sento che ora potrei andare ad allenarmi’. Ha poi aggiunto di desiderare che la Danimarca continui l’Europeo, ed è ciò che faremo. Vogliamo giocare per Christian».
“Siamo passati dallo choc nazionale al sollievo nazionale – ha commentato la prima ministra danese Mette Fredriksen sulle reti sociali –. Raramente il fatto di aver vinto o perso una partita è parso tanto insignificante”. In effetti, dopo aver ricevuto il via libera proprio da Eriksen, le due squadre sono tornate in campo per concludere la partita (su richiesta degli stessi giocatori, ha precisato l’Uefa) e, alla fine, la vittoria è andata a sorpresa alla Finlandia, ma nello spogliatoio danese nessuno ha dato peso alla sconfitta. «I giocatori hanno deciso di scendere in campo e ciò che hanno fatto è stato grandioso – ha commentato Kasper Hjulmand, selezionatore della Danimarca –. Non potrei essere più fiero dei miei ragazzi, uomini che si prendono cura gli uni degli altri».
Alla fine ha vinto la Finlandia, il cui primo gol in una fase finale di un grande torneo è stato realizzato dopo un’ora di gioco da Joel Pohjanpalo. Gol che, come era lecito aspettarsi, non è stato festeggiato… «Il mio unico pensiero era rivolto alla salute di Eriksen», ha assicurato l’artefice di una vittoria storica che sarà per sempre legata alla grande paura prima e a due sorrisi poi, quelli per il gol dell’attaccante dell’Union Berlino, ma soprattutto per le notizie confortanti che hanno spazzato via i timori per le condizioni di salute di Christian Eriksen.
Adesso, per lo sfortunato giocatore inizieranno mesi difficili. In primo luogo occorrerà capire cosa sia davvero successo, poi sarà necessario seguire un percorso di riabilitazione, nella speranza – purtroppo piuttosto tenue – di poter tornare in campo.
Il malore che ha colpito il danese Christian Eriksen allunga l'elenco di giocatori fermati non da incidenti di gioco, ma da improvvisi collassi, che hanno colpito atleti apparentemente in salute. Episodi sfociati spesso in maniera tragica, come per le morti di Giuliano Taccola, Renato Curi e Piermario Morosini, solo per fare alcuni nomi in ambito calcistico italiano. Nel 2012 fece gridare al 'miracolo' la vicenda di Fabrice Muamba, 23 anni, centrocampista congolese del Bolton, colpito da infarto durante una partita di Premier League contro il Tottenham e rimasto senza conoscenza per ben 78 minuti, prima che il defibrillatore - utilizzato in campo, in ambulanza e ancora in ospedale - riuscisse a fargli riprendere conoscenza.
Nel resto del mondo, si possono ricordare i drammi del 28enne centrocampista del Camerun Marc Foé, attacco cardiaco in campo nel 2003; del 22enne centrocampista del Siviglia Antonio Puerta, anche lui arresto cardiaco in campo, nel 2007; del 26enne difensore dell'Espanyol Daniel Jarque, trovato morto a seguito di un'asistolia nel ritiro della sua squadra a Coverciano, nel 2009; del difensore della Fiorentina Davide Astori, trovato senza vita nella sua camera in un albergo di Udine, dove la squadra era in trasferta, nel 2018. Uno dei casi più recenti risale a inizio anno. In Portogallo il calciatore dell'Alverca Alex Sandro dos Santos Apolinário, 24 anni, è morto a gennaio, quattro giorni dopo essere stato colpito da un infarto mentre era in campo. Eventi con esito non sempre fatale, ma comunque terribile. Come avvenne nel 2017 a Abdelhak Nouri, giovane giocatore dell'Ajax che si risvegliò dal coma artificiale a cinque giorni dallo svenimento in campo per un'aritmia cardiaca durante un'amichevole in Austria. Ma gli esami rivelarono che il collasso gli aveva causato danni gravi e permanenti al cervello.