Il 32enne estremo difensore della Nazionale rossocrociata è uno dei senatori del gruppo nonché un fedelissimo di Vladimir Petkovic
Titolare di lungo corso della Nazionale, numero uno indiscusso dall’inizio della gestione tecnica affidata a Vladimir Petkovic, Yann Sommer a 32 anni è una delle figure di riferimento della selezione rossocrociata. Per l’estremo difensore del Borussia Mönchengladbach l’Europeo che scatta domani con il match inaugurale tra l’Italia e la Turchia è il terzo grande appuntamento per nazioni che affronta con la maglia rossocrociata numero uno, quella del portiere titolare.
A quali interventi dei primi due tornei è particolarmente legato?
«Quelli nelle fasi conclusive della partita d’esordio in Francia contro l’Albania furono molto importanti, tuttavia gli interventi ai quali nella mia carriera do il maggiore peso non sono legate a Europei o Mondiali, bensì ai due rigori parati a Sergio Ramos lo scorso autunno. Sommer, lo ricordiamo, in Nations League contro la Spagna interruppe striscia di rigori consecutivi trasformati da Sergio Ramos (22). Era da due anni e mezzo che il capitano del Real Madrid e delle Furie Rosse non falliva dal dischetto, e contro la Svizzera lo fece addirittura per due volte nella stessa gara, cosa che mai gli era capitata in carriera
A proposito di Albania. A differenza degli Europei di Francia (Albania) e dei Mondiali di Russia (Serbia), stavolta in programma non ci sono incroci con implicazioni politiche. LA si avverte, questa leggerezza, in preparazione?
«La preparazione non è stata diversa dalle altre. È però chiaro che cinque anni fa, per molti giocatori quella sfida contro l’Albania rivestiva un significato speciale. Per Xhaka fu anche una sfida in famiglia, contro il fratello Taulant. In Russia, a causa di quanto accadde contro la Serbia (i famigerati aquilotti, ndr), attraversammo un momento delicato che condizionò il nostro rendimento, Così, accadde che negli ottavi di finale fummo sconfitti da un’avversaria (la Svezia, ndr) che avremmo anche potuto battere».
Ha l’impressione che oggi, con la maturazione della squadra, sia più difficile che problemi di quel genere si verifichino?
«L’esperienza in questo genere di appuntamenti è decisiva. Come ci si deve comportare in determinate situazioni di gioco? E nei confronti a eliminazione diretta? Con l’esperienza che abbiamo accumulato noi, qualche risposta in più l’abbiamo. Ritengo che ci presentiamo a questi Europei con una personalità più spiccata, rispetto ad altre occasioni».
Come si traduce, in campo, questa considerazione?
«Molti giocatori hanno fatto un bel passo avanti. Prendiamo Granit Xhaka: è cresciuto tantissimo, è il cuore della squadra, in campo. Attorno a una figura come la sua, gli altri possono a loro volta progredire. Negli ultimi due anni sul piano della mentalità la crescita del gruppo è stata palese. Si pensi a come ci siamo comportati contro le grandi squadre. Un altro esempio? Remo Freuler, protagonista da anni nell’Atalanta, squadra di alta classifica in Italia e brillante in Europa, dalla quale esce con fiducia per portare la qualità che dimostra in serie A anche in Nazionale, con la quale risulta spesso decisivo. Nel complesso, mi sento di dire che siamo più avanti di quanto fossimo in Russia tre anni fa
Sembrano esserci le premesse per finalmente tagliare il traguardo dei quarti di finale.
«Non mi sono mai piaciuti questi pronostici, ma resto convinto del fatto che possiamo disputare un buon torneo. Ho molta fiducia in questo gruppo. Quando si prende parte a un grande torneo, lo si fa con l’obiettivo di trarre il massimo dalla partecipazione. Abbiamo ambizioni importanti, ma procediamo passo dopo passo».
Questo Europeo rappresenta per Yann Sommer l’ultima possibilità di centrare un obiettivo prestigioso con la Nazionale?
«Il mio tempo con la Svizzera non è ancora giunto alla conclusione. Mi sento bene. Finché dura questa sensazione, io resto».
Contro il Galles si torna a giocare davanti a un pubblico. Cambiano un po’ i parametri della comunicazione, in campo?
«C’è molta differenza tra una partita con o senza spettatori. In stadi vuoti si sente ogni singola parola, comunicare è più semplice, urlare non serve. Ma naturalmente è molto più bello poter giocare davanti a un pubblico. Non sono uno che urla o strepita, quando le cose non vanno bene. Capita però che si alzino un po’ i toni, in campo, ma mai in senso negativo. Si tratta di stimolare i colleghi affinché si aiutino reciprocamente. In tal senso, la comunicazione riveste un ruolo essenziale. Noi giocatori di lungo corso dobbiamo essere costruttivi. In qualità di portiere, ho poche possibilità di farmi capire, se non parlando, in quanto per lo più gli altri giocatori mi danno la spalle».
Lentamente, anche il calcio sta riscoprendo la normalità, a partire proprio dall’accesso agli stadi concesso agli spettatori. Le squadre, tuttavia, sono costrette a vivere nelle cosiddetto “bolle”, un modo inedito di preparare un torneo.
«La situazione è speciale, ci sono meno margini di manovra rispetto al solito. Bisogna inventarsi qualcosa, per tenersi occupati. A me è capitato di suonare la chitarra e di cantare, con Loris Benito. Inoltre, ho con me alcuni libri. Infine, l’atmosfera in seno al gruppo può essere di grande aiuto: spesso dopo i pasti restiamo tra noi per fare due chiacchiere in compagnia, su argomenti come Dio, o il mondo. Lo spirito di squadra è fondamentale: non significa che si debba essere tutti amici, ma quantomeno in campo tutti devono muoversi all’unisono e tirare la corda dalla stessa parte».