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‘È quando vinci il Tour che capisci cosa vuol dire’

Vincenzo Nibali, i ricordi di uno Squalo in giallo. ‘Quel successo fu meraviglioso, anche se più tardi ne ho sofferto: è stato qualcosa di opprimente’

Il ticinese d’adozione è solo uno dei sette ciclisti ad aver vinto Giro, Vuelta e Tour
(Keystone)
26 giugno 2024
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È l’ultimo italiano ad aver vinto il Tour de France, Vincenzo Nibali, spettatore attento dell’edizione 2024 che scatta sabato da Firenze, dieci anni esatti dopo il suo trionfo alla Grande Boucle. «È quando lo vinci, che capisci davvero la grandezza di un tale evento» racconta lo Squalo dello Stretto, che da anni ormai ha scelto di vivere in Ticino, a Lugano. E il ticinese d’adozione, tra l’altro, è uno dei sette ciclisti di tutta la storia ad aver vinto i tre grandi Tour, quelli di Francia, Italia e Spagna. «Essendo italiano – racconta Nibali – è chiaro che la più significativa per me è stata la vittoria al Giro (nel 2013, trionfo poi bissato nel 2016, ndr). Era qualcosa che volevo davvero . Dopo aver conquistato la Vuelta (nel 2010, nd) non mi ero reso conto di ciò che avevo fatto, e mi ci è voluto un po’ di tempo per metabolizzare e andare a caccia di un altro successo a un grande giro. La mia è stata una progressione costante: Spagna, Italia e Francia. Poi, quando ho vinto il Tour ho capito cosa volesse dire, perché ti dà un’enorme visibilità, anche se più tardi mentalmente ne ho sofferto, è stato qualcosa di opprimente».

Al di là dell’aspetto mediatico, di quel Tour cosa rimane? «Un meraviglioso ricordo, e non soltanto perché l’ho vinto – spiega –. Metterei quel successo sullo stesso piano della mia prima volta al Tour de France, perché tutto ciò che vivi in quella corsa, penso all’arrivo sui Campi Elisi, alla bellezza di Parigi e all’entusiasmo della folla è davvero qualcosa di spettacolare».

Cosa pensi di questa nuova generazione di campioni, quindi di Pogacar, Vingegaard, Van der Poel e Evenepoel che vincono su ogni terreno? «Che ciò ti costringe a seguire le corse sin dal via, perché se accendi la tv a ottanta chilometri dal traguardo è possibile che sia già tutto deciso. Quando sono diventato professionista avevo più o meno il loro modo di correre, poi nel corso degli anni ho cambiato il mio atteggiamento. Si fa così quando si corre nei dilettanti, ma loro hanno mantenuto nel tempo quel modo di fare, spingendo così il professionismo all’estremo».

In quest’edizione, la centoundicesima, Tadej Pogacar riuscirà a centrare la doppietta Giro/Tour, ventisei anni dopo Marco Pantani? «È molto probabile – conclude –, così come in futuro potrà riuscirci anche Jonas Vingegaard. Il ciclismo è diventato così tecnologico... Oggi tutto viene calcolato a priori, grazie alla collaborazione con istituti di ricerca universitari: dalla preparazione alla stagione dall’alimentazione, dalle biciclette ai caschi e persino alle maglie. Quelli che un tempo parevano progressi marginali oggigiorno sono diventati fondamentali».

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