Fra trasferimenti di primo piano, fusioni di squadre e il progetto della Super League, il ciclismo mondiale ha passato mesi invernali molto caldi
Piani per una "Super League", violazioni contrattuali "come nel calcio", fusioni abortite tra colossi: più che mai, il ciclismo sta mettendo in discussione il suo modello economico imperfetto, che contrasta con la crescente professionalizzazione dello sport. Nel momento in cui le corse stanno gradualmente riprendendo, il microcosmo del ciclismo si sta a malapena riprendendo da un «inverno turbolento», sintetizza Cédric Vasseur, manager della squadra Cofidis. La prevista fusione tra due delle più grandi squadre, l'olandese Jumbo-Visma (ora Visma-Lease a bike) e la belga Soudal-Quick Step, ha tenuto tutto il mondo del ciclismo con il fiato sospeso, prima che la manovra saltasse con grande sollievo di coloro che avrebbero perso il lavoro nell'affare. Appena si sono calmate le acque ci ha pensato Cian Uijtdebroeks ad agitarle nuovamente. Il giovane asso belga, andando contro alle consuete regole del ciclismo, ha terminato il suo contratto con la squadra tedesca Bora-Hansgrohe per unirsi alla squadra olandese Visma-Lease a bike. A tal riguardo, Marc Madiot, patron della squadra francese Groupama-FDJ ha commentato: «Sono contro ai trasferimenti, non intendo assomigliare al calcio sotto questo aspetto». Infine dietro le quinte si agitano nuovamente le acque per il progetto di una "Super League", un vecchio progetto riportato in superficie sotto il nome di "One Cycling". L'idea avanzata da varie squadre di primo piano è di disegnare un nuovo modello economico con un calendario rimaneggiato, una ridistribuzione dei diritti televisivi e una mano tesa ai nuovi investitori.
Secondo alcuni media britannici, dopo il calcio, il golf e la Formula 1, il fondo sovrano saudita ha ora un vivo interesse per il ciclismo. Gli ostacoli sono tuttavia molti, in quanto ogni progetto di riforma, oltre a dover ricevere il benestare dell'Unione ciclistica internazionale (UCI), rischia di scontrarsi con gli organizzatori delle gare, a cominciare dall'onnipotente proprietario del Tour de France, Amaury Sport Organisation (Aso). «Ma il mondo sta cambiando, e gli avversari non sono le altre compagini ciclistiche, bensì il calcio, il rugby, la Nfl o la Formula 1. Se non facciamo nulla ora, avremo un problema», afferma Richard Plugge, manager di Visma-Lease a bike e presidente dell'Associazione delle squadre professionistiche. Secondo Plugge, la vetrina del ciclismo, piuttosto allettante in questo momento con corridori come Tadej Pogacar o Mathieu van der Poel, nasconde un dietro le quinte molto meno allettante. «Da un lato il ciclismo sta molto bene, come dimostra l'arrivo di molti nuovi sponsor», afferma Plugge dopo che aziende come Décathlon, Lidl e Red Bull hanno deciso ultimamente di investire in alcune squadre del World Tour. «Tuttavia, dall'altro lato – aggiunge Plugge – un grande numero di organizzatori e di squadre sono in pericolo». Che Jumbo-Visma abbia «sfiorato la bancarotta» dopo aver vinto i 3 Grandi Tour nel 2023 la dice lunga, commenta Jonathan Vaughters, patron della squadra americana EF Education, battendosi anche lui per «un cambiamento profondo». La particolarità del ciclismo è rinomata, è uno sport dove le squadre e i corridori non solo sono privati degli incassi legati alla vendita di biglietti, ma pure degli incassi legati ai diritti televisivi, che finiscono nelle tasche degli organizzatori, rendendo di fatto le squadre interamente dipendenti dalle sponsorizzazioni.
«Il modello economico non è dei migliori, in quanto mette sovente le strutture in difficoltà. Se uno sponsor dovesse decidere di cambiare filosofia, la squadra a esso legata scomparirebbe», commenta Cédric Vasseur. La Aso è continuamente nel mirino delle squadre che la accusano di essersi accaparrata in maniera esclusiva la gallina dalle uova d'oro. Tuttavia se le squadre sono in difficoltà è anche a causa dell'inflazione dei budget e dell'aumento degli stipendi. Vasseur sostiene pure che «il sistema non può sopravvivere in questo modo perché ci saranno veramente delle squadre che finiranno per fallire e scomparire». Come lui, anche Marc Madiot chiede l'instaurazione di un «tetto salariale» per evitare un «ciclismo a due velocità». Dove da un lato ci sarebbero squadre come la sua, settima nella classifica Uci 2023 e prima dietro a miliardari ed emiri. Dall'altro, squadre sostenute da un mecenate o da uno Stato come gli Emirati Arabi Uniti dove Tadej Pogacar, il ciclista più pagato al mondo, incassa più di sette milioni di franchi all'anno. «In Italia non esiste più una squadra World Tour, e anche al vertice della piramide i grandi tendono a volersi unire. Vuol dire che il sistema poggia su basi molto poco solide», insiste Madiot, il quale si aspetta «molto dall'Uci di domani». «Altrimenti, tra non molto, io e i miei colleghi francesi saremo destinati a sparire».