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Le due ruote mettono le ali: Red Bull scende in... strada

Il colosso austriaco intende rilevare la quota di maggioranza della Bora. ‘A breve capiremo se riuscirà a cambiare il sistema e ridefinire le gerarchie’

(Keystone)
23 gennaio 2024
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Nel corso dei secoli (in forme differenti) molte aziende hanno legato il proprio nome a squadre o atleti così da accaparrarsi un’ampia fetta di mercato. L’esempio, finora, più redditizio è la Red Bull. Già accostato a laute sponsorizzazioni nel calcio, nel mondo dei motori e nelle discipline estreme, il colosso austriaco ha ora catalizzato l’attenzione sul ciclismo su… strada. Il motivo, facile: intende acquistare la quota di maggioranza – cioè il 51% delle azioni – della società proprietaria della Bora-Hansgrohe. Nelle ultime tre stagioni la squadra tedesca è stata offuscata dallo strapotere di Jumbo-Visma e Uae Team Emirates, ma grazie alla mediazione del produttore di bevande energetiche si è concessa il lusso di ‘scippare’ Primoz Roglic proprio alla compagine olandese. Il fatidico passaggio di consegne non è ancora stato formalizzato siccome è soggetto alle indagini dell’Autorità garante della concorrenza sino a fine gennaio, le due ruote sembrano però destinate a entrare in una nuova dimensione.

Sì, perché Red Bull plasma a suo piacimento il settore in cui s’incunea. La politica è sempre la stessa: identificarsi appieno in una disciplina, indirizzando la carriera dei campioni marchiati dal brand. Non si limita a finanziare squadre o atleti incollando qualche sporadico adesivo su automobili, cappellini oppure snowboard. Quali allora le ripercussioni nel breve e lungo periodo? «È difficile comprenderne i risvolti interni, parlando in termini di competizione. Il ciclismo in questo momento gode di una situazione contestuale in cui più corridori, in molteplici compagini, possono essere considerati dei fenomeni», chiarisce Alessandro Siviero, docente senior in Leisure management alla Supsi nonché esperto di marketing e comunicazione. «La scelta di entrare in una formazione capace di ingaggiare Roglic è interessante, ma la concorrenza è agguerrita e il suo ruolo ancora tutto da appurare in base alle prestazioni che riuscirà a conquistare sul campo, in strada». Non si accontenterà tuttavia di ‘insignificanti’ successi di tappa nei Grandi Giri. L’intenzione è di contendere alle potenze del ciclismo, in primis l’oggi Visma - Lease a Bike e Uae, qualsiasi corsa del circuito professionistico maggiore. E, dunque, includere anche lo sloveno nell’appassionante sfida fra Jonas Vingegaard e Tadej Pogacar. L’interesse riposto nei confronti di questa disciplina sarà maggiore, Red Bull stuzzicherà il palato di sempre più appassionati e non. «Nel breve periodo le due ruote guadagneranno in attrattività, ma quando una simile azienda opera in un determinato mercato sportivo cerca di ‘rivoluzionare’ il sistema e incrementarne la qualità. E ciò innesca un’evoluzione positiva, offre nuove intriganti potenzialità». La bevanda energetica seduce in particolare la fascia d’età giovane adulto. «Nel circuito maggiore sono già presenti colossi finanziari, ad esempio fondi d’investimento arabi e multinazionali come Sky (ora Ineos, il cui proprietario ha di recente acquistato una quota del Manchester United) o Movistar. Le attività sportive di prestazione suscitano interesse, ma in pochi conoscono la classe merceologica di tutte queste aziende. Red Bull, invece, riesce a far breccia in quanto crea un senso di appartenenza a una comunità. Una cassa di risonanza, la cui eco mediatica è incomparabile». Il ciclismo è comunque ancora considerato un sistema piuttosto tradizionale, fra Classiche del Nord e Grandi Giri. «La forza di questo marchio è di riuscire a trasformare delle squadre regionali in potenze mondiali, alimentando talenti grazie alle sue academy e mettendo letteralmente, o quasi, le ali alle future generazioni», evidenzia il professore. La compagine tedesca e l’impresa hanno infatti già in essere una collaborazione volta a reperire, e sviluppare, potenziali giovani campioni. La multinazionale è inoltre munita di consolidata esperienza, ampie competenze. E, non da ultimo, di un centro di allenamento nei pressi della sede principale di Fuschl am See. Dalla biodinamica alla diagnostica. Dal benessere mentale alla nutrizione sino alla fisioterapia. Un’assistenza completa.

Il colosso non si accontenta solo di apparire sul casco di qualche corridore: acquistata una squadra, la rinomina selezionando ciascun atleta in base alle qualità sportive e alla reputazione. «E, verosimilmente, ciò si ripeterà anche nella sua nuova conquista. Dalla semplice incorporazione del brand e/o dei rispettivi colori su magliette e cappellini a un progressivo aumento della presenza finanziaria e operativa, all’integrazione di fornitori in grado di alimentare il successo della squadra». Nel medio-lungo termine, invece, la considerevole disponibilità economica permetterà di attirare nuovi esponenti e rinforzare il movimento. «Red Bull non intende affermarsi subito, come dimostra la Formula 1. La scuderia ha iniziato a dominare la scena automobilistica solo qualche stagione dopo la sua entrata nel Circus. Questo non impedirà comunque di incrementare ulteriormente le disparità fra le grandi potenze e le cosiddette piccole, anzi. Il dispendio contrattuale annuo per un ciclista di punta oggigiorno supera l’ordine delle centinaia di migliaia di euro. Ad esempio l’ingaggio del già menzionato Pogacar corrisponde a sei milioni (senza considerare sponsorizzazione individuali), quello di Roglic a 5,5; mentre Thomas, Van Aert, Van der Poel e Vingegaard si attestano fra 3,5 e 2 milioni. E, quindi, bisognerà capire in quale modo riuscirà a spostare questi equilibri».

Più di una bevanda energetica

La nascita di questo impero è da ricondurre a Dietrich Mateschitz, padre e ideatore della Red Bull. A inizio anni Ottanta s’imbatte in una bevanda thailandese capace di mitigare sonno e fatica, il Krating Daeng, il cui nome significa appunto Toro Rosso... Il contesto è inesplorato, bisogna attuare una campagna pubblicitaria in grado «di creare interesse attorno a qualcosa di cui nessuno sente necessità: il prodotto ha identificato un mercato all’epoca inesistente, il commercio di bibite energetiche. Fra i nostri confini nazionali si parla di quasi 50 milioni di litri consumati ogni anno. Numeri impressionanti». I due bisonti rossi pronti a caricarsi hanno di fatto battuto in popolarità quel sapore dolciastro, quella lattina che popola le scansie di mezzo pianeta. A risultare determinante è stata la strategia di marketing, il modo non convenzionale di crearsi un pubblico mediante in primis il passaparola. «Non dimenticherò mai le Mini Cooper agghindate di tutto punto zigzagare fra i campus universitari e ordinari studenti offrire campioni gratuiti. L’imprenditore ha costruito la sua entrata nelle occasioni d’uso del prodotto, in contesti specifici», fino a rivoluzionare le sponsorizzazioni in ambito sportivo. Il culmine? Beh, il lancio da una capsula posta a quasi 40 chilometri dalla terra (fuori dall’atmosfera) di Felix Baumgartner. Un’impresa da record capace di garantire a Red Bull un fatturato pari a 9,684 miliardi di euro nel 2022, ossia il 24% in più dell’anno precedente. La promozione è ancora oggi l’espediente più rappresentativo dell’azienda, il motivo dell’enorme successo. Da quel giorno «si è infatti evoluta, acquisendo sempre più influenza sul mercato. Adesso è una creatrice di contenuti multimediali, più che distributrice: prende discipline sportive di prestazione, e promette di mettere le ali a chiunque. Uno slogan mai cambiato nei decenni. Nel ciclismo l’identificazione nel campione è fondamentale, questo si rispecchia sulle vendite. Da semplice consumatore penso che la bevanda possa aiutarmi, permettermi di superarmi». L’attività fisica suscita emozioni, quella smania di imitazione. Non è solo una bevanda energetica, bensì uno stile di vita. Questo binomio è acutizzato dall’eccellente impiego dei social media, in cui spopolano immagini delle competizioni e delle prodezze di sportivi o amatori sponsorizzati dal brand.