In Ticino c’è chi, come Antonio Ferretti, ha guardato con del dispiacere al Grand Départ nei Paesi Baschi: ‘Speriamo di ripartire alla carica presto’
Il Tour de France ha lasciato ieri la Spagna e i Paesi Baschi alla direzione di Bayonne. Il Grand Départ basco è stato un grandissimo successo, in particolare a livello di entusiasmo popolare. In Ticino però l’idea di ospitare i primi tre giorni di Tour è stata riposta nel cassetto (almeno per ora) dal Consiglio di Stato. Eppure il ritorno economico ci sarebbe stato, i media baschi parlano addirittura di un rientro di 100 milioni di euro per i 12 investiti. «È tantissimo – commenta uno dei promotori del Grand Départ ticinese, Antonio Ferretti –, quando noi abbiamo incontrato il Cds a inizio febbraio, abbiamo presentato un dossier con le cifre degli investimenti e dei ricavi dei precedenti Grand Départ all’estero, quindi Yorkshire, Bruxelles, Düsseldorf, Copenhagen, che valutavano un rientro di tre euro per un euro investito. I baschi parlano di 8-9 euro che mi sembrano tanti, ma guardando le immagini di questi giorni si può vedere che grande propaganda sia per la regione il passaggio del Tour. Quando si pensa a un Grand Départ bisogna guardare in là e non pensare solo all’investimento iniziale, perché poi quasi sempre il ritorno è grandissimo. È anche per questo che c’è grande concorrenza per ottenere queste partenze. Il direttore del Tour Christian Prudhomme diceva che le autorità basche tutti gli anni hanno scritto per chiedere la possibilità di ospitarla e che anche la volontà delle autorità politiche è molto importante. Le nostre hanno rifiutato, vista l’attuale situazione finanziaria, ma noi non demordiamo e speriamo di ripartire alla carica prossimamente».
Più si attende, più però l’organizzazione diventa complessa… «Con l’inflazione attuale più il tempo passa, più i costi aumentano, ma soprattutto aumenta la concorrenza di altri paesi e regioni che si vogliono candidare. Discutendo con gli organizzatori ci è stato detto che il Ticino è sicuramente una buona regione per far partire il Tour, ma non prima del 2027 e che ci sono anche altri interessati. È un po’ come candidarsi per le Olimpiadi, ci sono sempre tre o quattro possibilità e vengono fatti dei sopralluoghi, delle verifiche e delle analisi delle condizioni prima di scegliere».
Intanto il primo preavviso politico è stato negativo. “Colpa” del Consiglio di Stato che non ha compreso le potenzialità dell’evento, o magari del Decreto Morisoli che impone il pareggio di bilancio? «È un insieme di fattori, la domanda va inoltrata dalla massima autorità politica della regione, nel nostro caso il Cds e anche il finanziamento è pubblico. Infatti nel caso basco i soldi arrivano dalla regione e dalle città di Bilbao e San Sebastian. Quindi abbiamo chiesto un contributo allo stato per la candidatura, ma siamo arrivati in un momento in cui le finanze cantonali non sono messe bene, c’è questa necessità del pareggio di bilancio, ma soprattutto il recente consuntivo mette un po’ paura. Capisco dunque che il nostro governo non se la sia sentita. Tuttavia non è stato sottolineato abbastanza che i milioni richiesti non andavano elargiti subito, bensì al momento della firma del contratto con il Tdf, con tre tranche da versare nei due anni precedenti la partenza. Quindi in questo momento non c’era nulla di vincolante, ma era solo una questione di annunciare la propria disponibilità. Per il momento trovo dunque che abbiamo perso un’occasione».
In questi giorni il pubblico ha risposto alla grande, con tifosi lungo tutto il percorso e un’infinità di bandiere basche; in Ticino basterebbe probabilmente la metà dell’entusiasmo per rendere l’evento un successo stratosferico… «Certamente, poi c’è anche la promozione del paesaggio. Vedere in questi giorni le coste basche è qualcosa di favoloso, anche chi non è appassionato di ciclismo guarda le corse per scoprire e ammirare posti nuovi e in futuro decidere di visitarli. Infatti l’interesse del nostro gruppo promotore non è solo ciclistico, ma soprattutto di promozione, notorietà e conoscenza del Ticino, fuori dalla Svizzera e dall’Europa. Nessun’altra manifestazione o pubblicità può trasmettere le immagini del territorio come il passaggio della Grande Boucle. In Ticino dobbiamo rendercene conto, se vogliamo prima o poi ricandidarci».
Ma quand’è che ciò potrebbe riaccadere? «Difficile da dire, perché non ho più avuto contatti con il direttore da fine settembre scorso. Lì mi aveva parlato del 2027, da contendere con altri candidati come la Norvegia, o nuovamente Düsseldorf. Bisogna vedere se nel frattempo sono arrivate ulteriori candidature. Inoltre penso che, dopo la partenza da Firenze l’anno prossimo, per un paio d’anni si partirà già dalla Francia, non possono sempre iniziare all’estero. Arriviamo quindi al ’27-’28, quando potremmo entrare in considerazione noi. Quando a Prudhomme avevamo presentato una cartella tecnica con delle possibilità di percorso era rimasto entusiasmato dal Ticino e dai suoi laghi, per quello è un peccato non sfruttare questa occasione».
Accendendo la televisione in questi giorni, non manca insomma una punta di rammarico: «Se ci fosse stato il sì del governo, probabilmente in questi giorni saremmo stati sul posto, per osservare l’organizzazione dei baschi. Ma la cosa straordinaria, come già l’anno scorso a Copenhagen, è l’entusiasmo della gente, si capisce che è un evento molto sentito. Per il momento c’è dispiacere per il primo no ricevuto. Sicuramente ci sono dei problemi più grossi da risolvere, ma forse non si è capito quale opportunità ci sia stata data e sarebbe peccato non sfruttarla. Inoltre i Paesi Baschi hanno lottato a lungo, anche con il terrorismo dell’Eta, per la propria autonomia, hanno un orgoglio e un’identità molto forte, un po’ come ha anche il Ticino e il Tour sarebbe un’occasione per mostrarla e raccontare la nostra storia, al mondo intero. Le differenze sono che loro hanno l’oceano e noi i laghi e che noi abbiamo immaginato lo scenario di un prologo a cronometro».
Per concludere con un commento sul Tour in corso, finora Pogacar si è dimostrato inattaccabile anche per Vingegaard, sarà così fino alla fine? «Pogacar sembra che non faccia mai fatica e che la frattura dello scafoide non l’abbia condizionato. Ai miei tempi si diceva però che dopo qualche settimana senza allenarsi, alla ripresa c’è maggiore freschezza fisica e mentale, ma il periodo di inattività può condizionare le settimane successive. L’incognita secondo me è se ci sarà o meno un calo, mi ricordo che era accaduto per esempio a Hinot nel 1984, reduce da un’operazione al ginocchio, si era trovato confrontato a un Fignon nettamente più forte, mi ricordo di averlo accompagnato durante una crisi sul Joux Plane, attorno alla ventesima o trentesima posizione. Ma per ora anche la squadra sta lavorando molto e si sta dimostrando fortissima, inoltre adesso viene curato ogni dettaglio marginale, ma capace alla lunga di fare la differenza. Possibile anche che stia cercando di mettere più fieno in cascina, guadagnando pure dei secondi agli sprint. Nel ciclismo moderno qualsiasi giro si risolve in pochi secondi, oltretutto con una cronometro di soli 22 km, per cui ogni secondo può servire. Inoltre con lui c’è Adam Yates, uno che ha dimostrato di poter puntare al podio in un grande giro, mentre quest’anno Vingegaard non ha Roglic al suo fianco, che si era dimostrato decisivo l’anno scorso».