Domenica si corre la 120.ma edizione della Parigi-Roubaix, alla quale non parteciperà Pogacar. Tra i favoriti Stefan Küng, al via anche Filippo Colombo
“Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate”. Le parole che Dante trova scritte sopra la porta dell’inferno, potrebbero essere riprese paro paro e piazzate sullo striscione che a Compiègne, dove l’11 novembre di 105 anni fa venne stipulato l’armistizio della Grande Guerra, accoglie i temerari della Parigi-Roubaix. Perché addentrarsi lungo i 257 chilometri che dividono la capitale francese dalla città nel nord della Francia, è come varcare la soglia degli inferi. Certo, il soprannome Inferno del Nord venne coniato nel 1919 dal giornalista Victor Breyer de L’Auto, alla vista della desolazione lasciata da un conflitto concluso solo pochi mesi prima (paesi distrutti, foreste carbonizzate, campi disseminati di uomini e bestie in decomposizione, cimiteri improvvisati…). Oggi, la situazione è ovviamente molto diversa, ma il soprannome è rimasto. Perché i 54,5 km di pavé, sconnesso, irregolare, cattivo, continuano a far paura. Così come le forature, le cadute, gli incidenti meccanici, la polvere che ti brucia i polmoni o il fango che rende saponette le pietre di strade a schiena d’asino. Nel ciclismo moderno, non c’è corsa al mondo che a giusta ragione si possa fregiare dell’epiteto “inferno” più della Roubaix. “I corridori passano, la corsa resta”, ama affermare Thierry Gouvenou, direttore di una gara che più di ogni altra sa trasformare in un eroe anche un carneade passato attraverso le mille “sliding doors” di un raid imprevedibile e ritrovatosi davanti a tutti nel velodromo di Roubaix. È la Roubaix che crea i campioni, non il contrario.
Il Monumento più vecchio per numero di edizioni (120), non per età anagrafica, quest’anno verrà disputato il giorno di Pasqua, esattamente come capitò il 18 aprile 1896, in occasione della prima edizione. Tra l’altro, la corsa tornerà finalmente nella sua collocazione storica, dopo l’annullamento del 2020, lo spostamento a ottobre del 2021 (esigenze dovute alla lotta contro la pandemia) e l’arrocco con l’Amstel Gold Race del 2022 (per evitare la sovrapposizione con le presidenziali francesi). Ciò significa che la Roubaix torna a seguire di soli sette giorni il Giro delle Fiandre, con minor tempo a disposizione per il recupero di coloro i quali sognano di rifarsi sulle pietre dalle delusioni dei muri. Quest’anno nessuno potrà ambire a una doppietta centrata nella storia soltanto da dieci atleti: il primo fu Heiri Suter nel 1923, l’ultimo Fabian Cancellara nel 2013 (Spartacus ci era riuscito pure nel 2010). Tadej Pogacar, trionfatore settimana scorsa nella Ronde, considera infatti di non essere ancora pronto («Mi manca qualche chilo e più forza nelle mani») per affrontare le pietre dell’Inferno.
Pietre che quest’anno saranno disseminate lungo 29 settori, quelli decisivi dei 256,6 km complessivi. Quasi 55 km lungo i quali di norma si vince (Carrefour-de-l’Arbre) o si perde (Foresta dell’Arenberg) la corsa. Molto dipenderà, ovviamente, dalla meteo, perché sole o pioggia rendono molto diversa l’interpretazione dei passaggi più insidiosi, in particolare l’Arenberg e il suo avvicinamento, quando ogni singolo componente del plotone sgomita e si assume rischi tremendi pur di essere tra i primi a entrare nella Foresta. Con il pavé occorre un feeling particolare che non tutti possiedono.
Gli inevitabili favoriti non possono essere che Mathieu van der Poel e Wout van Aert, l’olandese terzo due anni fa, il belga secondo nell’ultima edizione, tra l’altro disputata subito dopo essere uscito dal Covid e nella quale si sarebbe dovuto limitare a spalleggiare la squadra. I due arrivano però all’appuntamento in condizioni psicologiche (e pure fisiche) assai diverse. Van der Poel ha già vinto la Milano-Sanremo e si è inchinato soltanto a Pogacar sette giorni fa sul traguardo del Fiandre a Oudenaarde; per contro, il belga, caduto sulle strade della Ronde con conseguenti dolori al ginocchio e alle costole, sembra non riuscire a trovare il feeling giusto con i Monumenti, tant’è che in carriera ne ha vinto soltanto uno (Sanremo 2020) a fronte dei tre ottenuti dal rivale. Se si considerano anche i cinque titoli mondiali contro tre conquistati da VDP nel ciclocross (in quattro occasioni proprio davanti a Van Aert), è legittimo supporre che il belga inizi a patire una certa sudditanza psicologica nei confronti dell’avversario. I due, domenica si daranno battaglia a viso aperto, ben sapendo che sul terreno della Roubaix più che su altri, il ruolo giocato dalla buona sorte è spesso determinante. Una scivolata, una foratura, o anche soltanto un piede messo a terra nel momento sbagliato può fare la differenza tra la vittoria e la sconfitta. Ragion per cui il campo dei papabili deve essere allargato ad altri nomi. Forse non a quello del campione in carica, Dylan van Baarle, caduto all’E3 Classic e non in perfette condizioni fisiche, ma certamente a quelli di Christophe Laporte (vincitore della Gand-Wevelgem per gentile concessione proprio di Van Aert) e di Nathan van Hooydonck, già in luce al Fiandre quando aveva cercato di riportare Van Aert sui fuggitivi Pogacar e Van der Poel. Tutti e tre, però, dovranno dapprima mettersi al servizio del capitano belga, a dimostrazione di quanto potente sia la Jumbo-Visma, senza dubbio la squadra da battere. Altri nomi? Ad esempio quelli di Mads Pedersen (terzo al Fiandre), di Filippo Ganna, il cui fisico possente dovrebbe permettergli di ammortizzare meglio il pavé, di Yves Lampaert, di Kasper Asgreen, o ancora di Matej Mohoric (quinto un anno fa), rimasto però vittima della maxi caduta del Fiandre e in condizioni da verificare.
Sul fronte rossocrociato, appurata l’assenza dell’infortunato Stefan Bissegger, le speranze poggiano tutte sulle spalle di Stefan Küng, sesto al Fiandre, ma soprattutto, sul gradino più basso del podio nell’ultima Roubaix. L’elvetico è in forma e quella delle pietre è una classifica tagliata su misura per le sue qualità fisiche. Nel finale potrebbe approfittare del marcamento stretto tra i due grandi favoriti, soprattutto se la corsa si fosse già incaricata di scremare il gruppo e isolare Van Aert dalla sua potentissima squadra. Al via per la prima volta nell’Inferno del Nord anche Filippo Colombo, reduce da un Fiandre pedalato per molti chilometri agli avamposti della corsa. Per il biker ticinese, un’altra impagabile esperienza.
«È molto, molto peggio di quanto appaia alla televisione». Le prime parole dell’esponente della Q36.5 la dicono lunga sull’impressione destata dal percorso della 120ª Parigi-Roubaix durante la ricognizione effettuata venerdì... «È davvero super sconnesso, le pietre sembrano messe un po’ dove capita – afferma Filippo Colombo –. Gli impatti sono davvero enormi e ciò metterà a dura prova il materiale. È un pavé che non ha nulla da spartire con quello del Fiandre. Non ci sono grandi salite, ma i settori lastricati ti arrivano sotto le ruote uno dopo l’altro, senza darti la possibilità di prendere fiato, ciò che renderà la corsa tremendamente faticosa. Abbiamo percorso 90 km, dall’inizio del primo tratto di pavé, fino a quello successivo all’Arenberg. La Foresta è davvero incredibile, sconnessa in maniera indicibile. È un lungo budello, ma ci si arriva in leggera discesa, a velocità altissima e quando entri praticamente ti blocchi, talmente forti sono i contraccolpi che ricevi attraverso il mezzo meccanico da un pavé assolutamente non omogeneo. Siamo rimasti tutti abbastanza scioccati, la Roubaix ha davvero poco da spartire con una corsa su strada. Cadute e forature sono all’ordine del giorno, per cui bisognerà trovare il giusto compromesso tra il feeling sulle pietre e la pressione dei copertoni: ognuno cerca di scendere il più possibile, ma così facendo si espone a un maggior rischio di ritrovarsi con la ruota a terra, su strade che non consentono all’ammiraglia di intervenire in tempi brevi. Sarà una battaglia per la sopravvivenza, lo so benissimo».
In una corsa come questa, oltretutto affrontata per la prima volta, è difficile parlare di obiettivi personali. Meglio concentrarci su quelli di squadra... «Al nostro interno non abbiamo un vero leader, per cui saremo orientati a una fuga a lunga gittata che in passato ha proiettato più di un superstite agli avamposti anche nei chilometri finali (era successo nel 2018 a Silvan Dillier, secondo alle spalle di Sagan, ndr). Dovremo azzeccare la fuga giusta e poi sperare di passare indenni i tratti determinanti del percorso».
Questa Roubaix arriva a soli sette giorni dalla Ronde van Vlaanderen. Come ne sei uscito? «Devastato, ho impiegato quattro giorni per riprendermi. Negli ultimi 20-30 km ho raschiato il fondo del barile. Soltanto oggi (venerdì, ndr) ho ricominciato a sentirmi bene in bicicletta. Sono però riuscito a mettere in mostra la maglia e in squadra sono contenti del lavoro svolto.».
Dopo la Roubaix si torna alla mountain bike? «Mercoledì disputerò ancora la Freccia del Brabante che sarà l’ultima prova su strada di questa primavera».