Pogacar, Roglic, Evenepoel e Vingegaard hanno dominato l'inizio della stagione 2023. Un drastico cambio di paradigma rispetto agli ultimi decenni
C’era una volta un Cannibale di nome Eddy Merckx. Oggi ce ne sono (almeno) quattro. In questo primo scorcio di 2023, il mondo del ciclismo sembra aver compiuto un balzo a ritroso nel tempo di almeno cinquant’anni, quando i campioni veri si contavano sulle dita di una mano e una stagione durava da febbraio a ottobre, dal Laigueglia al Lombardia. Gli anni in cui provare l’accoppiata tra due grandi giri era la regola (riuscirci rimaneva comunque l’eccezione), dopo aver corso, per vincerli, i primi quattro Monumenti: la Sanremo, le classiche fiamminghe e quelle delle Ardenne. Una bulimia di corse, in un calendario comunque assai più ristretto rispetto a quello del giorno d’oggi, che con il passare è andata scemando, fino a raggiungere l’estremo opposto a partire dagli anni Novanta e, soprattutto, nei primi anni Duemila.
Chi puntava a un grande giro, diventava selettivo all’inverosimile nella scelta delle corse alle quali presentarsi, come succedeva a Lance Armstrong, invisibile fino a giugno (tutt’al più una Liegi tanto per non perdere l’abitudine a stare in gruppo), poi il Delfinato (raramente il Tour de Suisse), indi nuovo stacco fino al Tour de France, al termine del quale la stagione finiva prematuramente in archivio. La Grande Boucle andava preparata nei minimi dettagli e non ci si poteva permettere di scialacquare energie a destra e a manca. Una filosofia che, di punto in bianco, sembra essere stata superata dagli eventi. Una tendenza già riscontrata nelle ultime stagioni, con corridori sempre più propensi a mostrarsi anche al di fuori del loro obiettivo principale, ma deflagrata in questi primi mesi del 2023, grazie ai quattro cannibali più due. Tadej Pogacar, Remco Evenepoel, Jonas Vingegaard e Primoz Roglic sono stati sin qui protagonisti di una vera razzia, spalleggiati da Wout van Aert e Mathieu van der Poel. Nelle corse a tappe, i primi quattro hanno lasciato al resto del plotone soltanto le briciole, mentre in quelle di un giorno gli altri due hanno fatto il bello e il cattivo tempo, tant’è che alla Gand-Wevelgem di domenica, Van Aert si è permesso il lusso di concedere la vittoria al compagno di squadra e di fuga Christophe Laporte, mentre alla Sanremo Van der Poel ha messo in riga tutti i velocisti.
Pogacar, Evenepoel, Vingegaard e Roglic stanno rivoluzionando il concetto di preparazione degli ultimi decenni. Non centellinano le loro partenze e, quando si presentano al via, lo fanno per vincere, non per “fare la gamba”. Da gennaio a oggi sono andate in scena cinque corse a tappe valide per il World Tour e loro ne hanno vinte quattro, lasciando ad altri soltanto il Tour Down Under. E per un buon motivo: nessuno di loro quattro era al via in Australia della prima prova stagionale. Per il resto, alla concorrenza non hanno lasciato che le briciole. Qualche numero? Pogacar ha vinto tre tappe alla Parigi-Nizza più la classifica generale, mentre Vingegaard ha chiuso al terzo posto. Alla Tirreno-Adriatico Roglic si è imposto tre volte e ha vestito l’ultima maglia azzurra; al Catalogna Roglic ha vinto due volte (più tre secondi posti e la classifica finale), Evenepoel due volte (più tre secondi posti, compreso quello della generale), mentre all’Uae Tour il successo è andato a Evenepoel. Aggiungiamoci il primo posto di Vingegaard nella Gran Camiño (generale più tre tappe), quelli di Pogacar nella Clasica Jaen Paraiso e nella Vuelta a Andalucia (generale più tre tappe) e si disegnano i contorni di un dominio assoluto.
E tutti loro hanno dettato legge sin dal primo giorno di corsa, cosa assolutamente impensabile soltanto qualche anno fa, quando la preparazione invernale serviva per “fare il fondo”, ma la brillantezza andava trovata cammin facendo con il trascorrere delle competizioni. La misura del dominio espresso dai quattro cannibali l’ha data con molta franchezza il francese Romain Bardet al termine della Parigi-Nizza: «Spero mi rimangano margini di miglioramento, in caso contrario non continuerò a gareggiare ancora per molto».
E se dovessimo stilare una classifica interna ai “Fab Four” delle corse a tappe, il primo posto spetterebbe a un Pogacar assolutamente assatanato. Oltre alle vittorie già citate, ha chiuso al quarto posto della Sanremo e al terzo dell’E3 Classic, passando senza particolari problemi dalla montagna alla pianura, dal clima accattivante della Spagna al freddo e alle pietre delle Fiandre. «Le corse di preparazione non esistono più, occorre essere al 100% dal primo all’ultimo giorno», constata Rudy Mollard, 33enne della Groupama. Gli fa eco Benoît Consnefroy dell’Ag2r: «Ai tempi era necessario arrivare belli magri a inizio marzo per la Parigi-Nizza e qualche corridore si presentava ancora con qualche chilo di troppo. Oggi siamo messi sotto pressione per essere in forma già a partire dallo stage di dicembre. Con questi ritmi, non è difficile sfiorare il “burn out”». Per chi si affaccia al ciclismo professionistico, è arduo pensare a una carriera come quelle di Alejandro Valverde o Andrei Tchmil, il primo professionista dal 2002 fino all’età di 42 anni, il secondo ritiratosi proprio nel 2002 quando di primavere ne aveva 39. Roglic (33 anni) nel mondo del ciclismo è arrivato tardi, dopo le esperienze nel salto con gli sci, ma Evenepoel (23) è professionista da quando ne aveva 19 (ha saltato di netto la categoria U23) e come lui Pogacar (24) e Vingegaard (26) sono esplosi in età precoce. Mantenere a lungo questi ritmi e, soprattutto, la pressione alla quale sono sottoposti non è per nulla evidente, a maggior ragione in una disciplina sportiva che stressa il fisico come poche altre.
Nelle prossime settimane le corse a tappe lasceranno spazio alle classiche del Nord e permetteranno ai quattro cannibali di tirare un po’ il fiato almeno fino alle Ardenne (Vingegaard dovrebbe comunque essere al via del Giro dei Paesi Baschi). A partire dal Tour de Romandie l’avvicinamento a Giro d’Italia (Evenepoel e Roglic) e Tour de France (Pogacar e Vingegaard) avverrà a tappe forzate.