Scatta questa sera la nuova stagione della Coppa continentale più importante, con un nuovo format e un'abbuffata di partite a libera scelta
Dimenticate tutto quello che sapete sulla Champions League. Per la 70ª edizione, infatti, la Coppa dalle grandi orecchie si rifà il look, a vent’anni dall’ultima volta. Cosa cambia? Quasi tutto, almeno nel formato (rimane il principio per cui, alla fine, l’obiettivo è vincere l’ultima partita o almeno provare a divertirsi e divertire strada facendo). Da 32 squadre si passa a 36; il sistema degli otto gironi della prima fase viene sostituito da un unico girone gigante; le partite passano da almeno 6 ad almeno 8 per ogni squadra. Cambiano anche i giorni in cui si gioca, gli incroci tra le squadre, il modo in cui si passa alla fase successiva, la fase successiva. Cambia anche, seppure quasi impercettibilmente, l’inno.
È un sistema complicato a prima vista, a cui bisognerà abituarsi. Nel dettaglio: ogni squadra non sfiderà più due volte tre avversari, con il classico sistema “casa e trasferta” dei gironi all’italiana, per giocarsi uno dei primi due posti che garantiva il passaggio agli ottavi, ma otto squadre diverse, quattro in casa e quattro in trasferta. I risultati delle partite di questa prima fase – che comincerà questa sera – concorreranno a comporre una classifica unica delle 36 squadre in gara, sulla base dei punti che faranno nelle 8 partite giocate. Al termine di questa prima fase, le prime otto in classifica si qualificano direttamente agli ottavi di finale, mentre le squadre dalla 9ª alla 24ª posizione si sfideranno in un turno di spareggi andata e ritorno, una specie di sedicesimi di finale, per completare il tabellone.
Facciamo un esempio, che magari diventa più chiaro. Lo Young Boys, l’unica squadra svizzera presente quest’anno in Champions League, affronterà Inter, Atalanta, Stella Rossa Belgrado e Aston Villa al Wankdorf, mentre sarà ospite di Barcellona, Shakhtar Donetsk, Celtic Glasgow e Stoccarda. Come detto, però, non farà classifica solo con loro, ma anche con le restanti 27 squadre che non incontra. Per arrivare tra le prime 8, secondo alcuni calcoli algoritmici, dovrebbe fare almeno 15 punti, meglio 16. Quindi vincere 5 partite, pareggiarne 1 e perderne 2 (o fare 4 vittorie e 4 pareggi): molto difficile. Più facile pensare di avvicinare, o magari superare, i 10 punti che, sempre per i calcoli di cui sopra, dovrebbero garantire un posto tra le prime 24, e quindi almeno gli spareggi. Chi arriva dopo è eliminato: niente più ripescaggio in Europa League.
Come potete immaginare questo formato non aiuta le previsioni. Ognuna delle 36 squadre se la vede contro tutti e nessuno, e il coefficiente degli avversari che incontra farà la differenza: basta una vittoria che diventa un pareggio all’ultimo secondo o una serata storta per cambiare di molto il proprio destino. Sicuramente gli spareggi sono un appiglio per le grandi squadre che inizieranno balbettando: basterà arrivare tra le prime 24 per essere ancora in corsa, per poi cercare di far valere la propria superiorità nello scontro diretto e accedere agli ottavi dove, più o meno, la competizione tornerà a essere simile a quella che conosciamo (anche se con un tabellone già scritto).
Ma chi gioca per vincere? Inevitabilmente, bisogna partire dal Real Madrid. La squadra campione in carica, quella da battere in ogni caso, quella che ha un rapporto speciale con questa coppa (15 vittorie, 6 negli ultimi 10 anni), quella che, a una rosa già abbastanza formidabile, ha aggiunto Kylian Mbappé. Per la legge dei grandi numeri non può vincere sempre, e il calcio non è una collezione di figurine, ma siete pronti a scommettere contro? L’inizio non è stato eccezionale, ma Ancelotti è mefistofelico nella sua capacità di trovare soluzioni in corsa, per avere tutti i migliori in campo quando conta, e tutti che remano dalla stessa parte (la famosa mistica del Real in Champions).
Alle sue spalle c’è un plotone agguerrito: il Manchester City che, si dice, è al tramonto dell’era Guardiola (il contratto dell’allenatore spagnolo scade nel 2025) e che proverà a chiudere col botto. È anche l’anno della reunion degli Oasis, e quale momento migliore allora per un po’ di Champagne Supernova? C’è poi il Bayern Monaco, che in estate ha speso molto sul mercato, ma che si trova con un allenatore esordiente a questi livelli, Vincent Kompany, e dovrà un po’ capire che squadra vuole essere. Il talento per arrivare in fondo però c’è: Musiala, Kane, Olise, Kimmich, Coman, Sané e così via. Può essere invece l’anno del Barcellona? Il club spagnolo è ancora intrappolato nelle sabbie mobili delle sue difficoltà finanziarie, ma con Flick in panchina è tornato l’entusiasmo. E poi possono schierare il giovane, ma giovane per davvero, più atteso del torneo, quel Lamine Yamal che all’Europeo è sembrato pronto a prendersi tutto.
Ma le pretendenti sono tante e non può essere altrimenti per una coppa così ambita: l’Inter di Simone Inzaghi (e Sommer), che magari non avrà la rosa più forte, ma continua a mostrare una solidità rara e una capacità di giocare un calcio corale ed efficace da grandissima squadra; l’Arsenal di Arteta, che però prima forse deve provare a vincere la Premier League; il Liverpool nel primo anno dopo Klopp, con un Salah tirato a lucido; o il Psg, magari motivato dall’aver perso a zero Mbappé, proprio per la sua incapacità di vincere la Champions League.
La vincitrice, ragionevolmente, dovrebbe uscire da questa serie di nomi, ma non si guarda la Champions League solo per vedere chi vince. Tante squadre arrivano all’impegno europeo più ambito con la voglia di stupire. Una su tutte: il Bayer Leverkusen di Xabi Alonso. L’allenatore spagnolo è rimasto in Germania proprio per prendere le misure con la Champions League e il suo Bayer già l’anno scorso hanno fatto vedere di poter essere un cliente impossibile per tutti (citofonare Bayern Monaco). Oltretutto gioca un bel calcio, con Granit Xhaka in cabina di regia. Subito dopo possiamo pensare all’Atalanta, l’unica squadra in grado di battere i tedeschi la scorsa stagione. Il calcio della banda di Gasperini sembra fatto per divertire l’Europa, ma la Dea esce dal mercato indebolita. Per rimanere all’Italia, c’è attesa per la rivoluzione di Thiago Motta con la Juventus: è cambiato tanto dentro e fuori dal campo, ma come sarà l’impatto contro le migliori squadre d’Europa?
Chi manca? Il Milan, che con questa coppa ha la sua storia e che spera di avere una scossa da Fonseca in panchina (non è partito bene), il Borussia Dortmund di Gregor Kobel che l’ultima volta è arrivato in finale, l’Atlético Madrid di Simeone che in estate si è portato a casa Julian Alvarez, le squadre Red Bull, quelle portoghesi, e così via. Sarà anche la Champions degli esordi o quasi, merito dell’allargamento a 36 squadre: per il Brest sarà una prima volta assoluta, così come per il Girona. Per il Bologna è un ritorno dopo 60 anni, quando ancora si chiamava Coppa dei Campioni ed era tutta in bianco e nero.
E poi i calciatori, quelli che lo spettacolo lo fanno. Ho citato i più attesi, ma occhio a Viktor Gyökeres dello Sporting Clube, il nuovo centravanti sulla bocca di tutti; o a Xavi Simons, ex stellina dei social, oggi stella del Rb Lipsia; Benjamin Šeško, il più credibile tra i nuovi Haaland, poi Wirtz, Barcola, Joao Neves, Yildiz e chissà chi altro spunterà fuori nelle prossime settimane. Insomma, mettetevi comodi e scegliete cosa e come volete guardare, perché l’offerta è ampia più che mai e ce n’è per tutti i gusti.
Ed è proprio questo il motivo per cui l’Uefa ha voluto cambiare: dare sempre di più al pubblico, un’abbuffata di partite, calciatori, squadre, storie. Il claim è chiaro, seppur scritto come se fosse un comunicato di un nuovo gusto di una bevanda gassata: “Un torneo più vario, più imprevedibile, con partite più significative e con più top match”. Basta un dato per farsi un’idea: in questa edizione le partite saranno in totale il 47% in più rispetto alle precedenti. Praticamente la Champions League raddoppia.
E raddoppiare le partite vuol dire raddoppiare la felicità di quasi tutti i soggetti coinvolti: si rallegrano le televisioni perché più partite vuol dire più spettatori, e più spettatori vuol dire più soldi per loro. Si rallegrano i grandi club, quelli che – magari ve lo ricordate – volevano la Superlega: con questo formato, infatti, ci sono più scontri tra big fin dall’inizio, le partite che più riempiono le loro casse. Ma si rallegrano anche i club di fascia medio-piccola, perché con una partita in più in casa vuol dire più soldi al botteghino, e la possibilità magari di accedere agli spareggi e avere addirittura un’altra partita in casa, magari contro un grande club.
In teoria dovremmo essere contenti anche noi spettatori passivi. Con questo formato possiamo scegliere tra partite di tutti i tipi: quelle della nostra squadra del cuore, oppure i big match se ci piace l’atmosfera delle grandi notti di calcio, ma anche le sfide più particolari, quelle tra tradizionali rivali, mentalità tattiche diverse, improbabili incroci geografici. Tutto fino ad arrivare ai fuochi d’artificio dell’ultima giornata – il 29 gennaio 2025 – in cui saranno impegnate tutte le squadre. Diciotto partite in contemporanea con tutto o quasi tutto ancora in ballo: magari è un mal di testa assicurato, certamente però sarà un’altalena di emozioni e ribaltamenti a cui la Champions non è abituata.
Tutti contenti quindi? Certo non i calciatori: per loro questo nuovo formato vuol dire ancora più partite, in un calendario che già era pieno e che dal 2025 prevede anche un nuovo Mondiale per Club altrettanto gonfio di partite. E più partite vuol dire più infortuni, più viaggi, meno riposo, prestazioni più scadenti, altro tempo lontani dalle famiglie. In tanti si sono lamentati, ultimo Bernardo Silva, che si è scagliato contro il calendario: «È completamente folle, avremo solo un giorno libero prima della partita di Coppa di Lega e probabilmente giocheremo ogni tre giorni per mesi, questo è assurdo. La quantità di partite da giocare è davvero spropositata».
Ma è questa la scelta che hanno preso le istituzioni calcistiche per riuscire a tenere in piedi un sistema sempre più pesante e difficile da gestire (di cui, va ricordato, i calciatori guadagnano una buona fetta). Più partite, per fare più soldi, per coprire spese sempre maggiori. Da una parte per noi spettatori potrà essere anche più divertente, ma fino a dove si potrà arrivare? Prima di scoprirlo, godiamoci questa nuova Champions League.