Il fantasista si dice pronto a sostenere, una volta di più, un ruolo da protagonista. Ma l'incognita è legata a una condizione fisica precaria
La fronte perennemente corrucciata, solcata da quel canyon di rughe che lo caratterizza dagli inizi della carriera, l’aria tra lo stralunato e l’indifferente, ma sempre con quel sorriso e quella risata contagiosa di chi sembra non prendersi mai troppo sul serio. Addosso, la nuova tuta della Nazionale, di un colore inusuale che fa tanto Toro o Vinotinto venezuelano. Per Xherdan Shaqiri, quella alle porte sarà la settima fase finale di un grande torneo, da Sudafrica 2010 a Germania 2024. Forse l’ultima, ma non è detto. Di certo, diversa dalle altre, perlomeno nelle considerazioni della vigilia. Perché se la Nazionale rossocrociata da sempre ha fatto affidamento sull’estro e sulla classe del basilese, questa volta un posto da titolare Shaqiri se lo dovrà conquistare a suon di prestazioni. Reduce da tre stagioni negli Stati Uniti, la sua condizione fisica è ritenuta precaria anche da Murat Yakin, soprattutto per reggere tre partite in otto giorni. La sua importanza nell’economia del gioco rossocrociato è però innegabile. Eccezion fatta per l’esordio in Sudafrica, ha timbrato il cartellino con una regolarità impressionante: tre gol in Brasile nel 2014 (tutti contro l’Honduras), uno (splendido) a Francia 2014 contro la Polonia, uno (altrettanto ricordato per le manine troppo svolazzanti) a Russia 2018 contro la Serbia, due contro la Turchia e uno contro la Spagna a Euro 2020 e uno in Qatar, ancora contro la Serbia. In totale nove reti, mai nessuno come lui. Nell’ultima amichevole, quella di sabato a San Gallo contro l’Austria, Murat Yakin gli aveva preferito Steven Zuber, il cui infortunio al polpaccio potrebbe però riportare in primo piano la carta del 32enne basilese. Lui si dice pronto, ma lo sarà davvero dopo essersi assuefatto al ritmo blando della Major League Soccer? «È un tema del quale si è discusso a lungo. Se un giocatore viene in Nazionale lo fa per giocare dall’inizio alla fine. Se ritiene di non esserne in grado, può rimanere a casa. Con Murat non si è discusso di un ruolo predefinito. Parliamo spesso e in modo trasparente, ma alla fine a decidere è l’allenatore, anche in considerazione degli aspetti tattici di una partita. Siamo qui in 26 e tutti vorrebbero entrare nell’undici titolare, tuttavia non sono decisioni di nostra competenza, noi dobbiamo soltanto accettarle. Se dovessi entrare dalla panchina, farei come sempre del mio meglio per aiutare la squadra. Certo, in allenamento cerco di fare del mio meglio, di rendere difficile la scelta del selezionatore e strappare un posto da titolare. Non vengo in Nazionale per fare vacanza, bensì per raggiungere un risultato importante in un torneo importante. Poi, come detto, le decisioni spettano a Yakin e noi tutti, me compreso, le dobbiamo accettare».
Quella che inizierà sabato pomeriggio a Colonia contro l'Ungheria, per Shaqiri sarà la settima fase finale. Come detto, potrebbe trattarsi dell’ultima chance di scrivere la storia della Nazionale svizzera, tra due anni nel Mondiale nordamericano la sua presenza è tutt’altro che certa… «Fintanto che il corpo mi sorreggerà, desidero continuare a giocare a calcio. Almeno fino al giorno in cui mi alzerò al mattino e capirò che la voglia mi è passata. Ma per il momento siamo ancora lontani da tutto ciò, la mia motivazione è intatta. È la mia settima fase finale, ognuna delle quali ha avuto la sua storia, tuttavia essere qui con questi giovani ad assaporare quella speciale tensione che precede un grande appuntamento, continua a divertirmi».
Il primo ostacolo da superare sarà l’Ungheria. Che non è più la squadra fenomenale degli anni Cinquanta, ma che non è nemmeno quella sciamannata capace tra il 1976 e il 2012 di prendere parte soltanto al Mondiale del 1986. Nelle ultime due edizioni degli Europei ha centrato la qualificazione e nel 2016 era arrivata agli ottavi di finale… «Nutro molto rispetto per una compagine che in anni recenti ha raccolto risultati importanti ed è tornata ad affacciarsi sul palcoscenico continentale. Sarà una partita difficile, la squadra magiara possiede giocatori di valore e per noi sarà fondamentale non sottovalutarla. Loro arrivano all’appuntamento con le nostre stesse ambizioni. Siamo a un Europeo e non esiste mai una vera favorita, in 90’ tutto può succedere, dobbiamo farci trovare pronti con le nostre qualità, consci che una partita come questa la si può vincere, ma la si può anche perdere. Molti si aspettano che sia io a tenere in mano le sorti della Svizzera, ma è molto più importante avere successo come gruppo. L’ambiente in squadra è davvero ottimo (e la caccia al tesoro organizzata mercoledì sera dallo staff tecnico lo ha confermato, ndr) e speriamo di poterlo trasmettere anche sul campo. Il nostro, a differenza di quanti molti ritengono, non è affatto un gruppo agevole, dobbiamo farci trovare pronti al momento giusto, nel posto giusto».
Dei senatori della squadra, tuttavia, XS è quello che arriva all’appuntamento europeo con più punti interrogativi sulle spalle, reduce da un'esperienza a Chicago che lo stesso direttore sportivo dei Fire, Georg Heitz, settimana scorsa a Lugano aveva definito un’operazione di scarso successo… «Ero andato a Chicago con ambizioni ben diverse, volevo contribuire alla crescita del club verso i playoff, purtroppo non c’era il materiale adatto allo scopo e forse bisognerebbe anche chiedere a Heitz se negli ultimi anni ai Fire sono arrivati i giocatori giusti. Miami è un buon esempio di cosa quatto o cinque elementi di un certo spessore possano ottenere. Spero che in un futuro prossimo anche Chicago possa finalmente partecipare ai playoff che devono rappresentare il loro primo obiettivo, perché non si può arrivare da zero a cento con un passo soltanto, occorre costruire con pazienza. Dovranno però fare le scelte giuste, sempre determinanti nel calcio. Cosa che a livello sportivo negli ultimi anni non è stata fatta, per cui i risultati non sono arrivati e in quattro anni i playoff sono rimasti una chimera. In futuro la dirigenza sportiva dei Fire dovrà imparare dagli errori commessi per poter compiere un passo avanti».
Parole che suonano come un addio all’esperienza nella Windy City, a maggior ragione visto che il contratto con i Fire verrà a scadenza a fine anno… «Non so dove sarò tra due anni, è però chiaro che il mio contratto con Chicago scadrà in inverno e la tendenza è quella di una separazione e di un mio ritorno in Europa. Cosa succederà effettivamente lo vedremo nei prossimi mesi, ma la strada è tracciata. È troppo presto per avere un’idea di dove e come proseguirò la carriera, se in Svizzera o all’estero, per il momento devo rispettare il mio contratto a Chicago, poi si vedrà. Mi sento bene e vorrei ritrovare il ritmo del calcio europeo, il che sarebbe importante anche per il futuro in Nazionale e per un’eventuale Coppa del mondo 2026».
La sua condizione fisica sarà quel che sarà, ma i piedi rimangono delicati e la sua creatività continua (purtroppo) a essere unica nel panorama elvetico… «Il mio calcio ha costruito la sua creatività partendo dalla strada. E una squadra ha sempre bisogno di questo tipo di giocatori. È una caratteristica che non puoi imparare, non credo che la visione di gioco di Messi sia frutto di allenamento, ma gli è stata data da Madre natura. Si tratta di un talento che molti giocatori hanno e che ovviamente non dispensa dal quotidiano e regolare allenamento. Per quanto mi riguarda, non posso che essere felice del dono che mi è stato dato».