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Un finale di stagione a ritmo di ‘Born to Run’

Il direttore generale del Sion, Marco Degennaro, spiega il cambio di società dichiarando comunque sempre amore eterno alla causa granata

(Keystone)
17 maggio 2024
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Non c’è due senza tre, recita la massima: chiusa la parentesi Yverdon, da inizio aprile Marco Degennaro è tornato a sposare la causa Sion. Il suo ruolo, direttore generale. Un amore sbocciato nell’ormai lontano 2011, e mai veramente finito. Dopo nove (intervallati) anni di fedeltà, tre stagioni or sono il torinese d’origine aveva scelto d’intraprendere una nuova sfida professionale nel Canton Vaud centrando addirittura la promozione nel massimo campionato rossocrociato. E, dunque, il mancato rinnovo del contratto ha lasciato «un pizzico di amaro in bocca. Nel momento in cui è arrivata la nuova proprietà, appena saliti dunque in Super League, la situazione è cambiata velocemente. D’altronde il calcio è fatto in questo modo e bisogna adeguarsi… Il lato positivo è che ora sono tornato a casa, in un ambiente che ho imparato a conoscere in modo più che approfondito».

Il club biancorosso ha superato un periodo complicato e, ora, spera di risalire la china grazie a un progetto a lungo termine. «Sì, effettivamente, c’è l’idea di costruire un nuovo stadio in Vallese. Un cantone molto legato al mondo del pallone. I tifosi sono partecipi e, quindi, questo territorio merita un impianto di nuova generazione». Una ricostruzione che già in questa stagione punta alla promozione, «una parola che ancora fatico a pronunciare. Sono alquanto scaramantico – ride –. Non è mai facile condurre il campionato dall’inizio alla fine, le insidie sono parecchie: in questo caso una lotta a due, che perdurerà sino all’ultima giornata». Il Thun, distante solo tre lunghezze dalla capolista, si è infatti confermato una squadra ben strutturata. «I punti fra noi e loro sono davvero pochi. Già l’anno scorso era stata un osso duro, ma due outsider (una proprio l’Yverdon e l’altra lo Stade Losanna, appena retrocesso, ndr) non avevano permesso alla compagine di Lustrinelli di centrare il salto di categoria. Questo è comunque il secondo anno che si ripropone nei piani alti della classifica. Un motivo c’è, soprattutto pensando a un campionato difficile come la Challenge League». Le gerarchie dovrebbero essere rispettate, ma «ogni turno ha regalato sorprese. Ogni squadra può scompaginare i piani delle pretendenti alla promozione; mancano ancora due partite, e per questo resto molto cauto».

I romandi capeggiano sia la classifica della miglior fase realizzativa che quella della miglior difesa. Un successo da ricondurre in primis alla passione di Christian Constantin, personaggio carismatico e sanguigno. È dunque verosimile pensare al calcio in Vallese senza la sua figura? «Non credo a questi livelli: il ‘pres’ è appassionato, legato al territorio, ama il Sion quasi come fosse il suo quarto figlio. Lo fa con un approccio differente rispetto a quello che potrebbe essere, ad esempio, un fondo d’investimento esterno». Il magnate ha sempre fatto affidamento su Degennaro, tant’è che è rimasto suo consulente in ambito commerciale, sportivo e immobiliare. «Ho sempre avuto un rapporto diretto, di grande rispetto. Mi permetto di affermare di grande complicità, motivo per cui mi ha fatto piacere ritornare. Chiaramente lui è il mio presidente, ma, se ho un problema, anche non legato all’ambito lavorativo, la prima persona con cui mi viene in mente di confrontarmi è proprio lui». Dalle acquisizioni di Mario Balotelli e Fabio Grosso sino all’agguato in casa di Andrea Bocelli – munito di fornello e forma di formaggio per cucinare la raclette – onde convincere il tenore a presenziare all’annuale raccolta fondi della società. Queste sono ‘solo’ alcune delle richieste sfrenate di Constantin soddisfatte dal 53enne. Il rammarico più grande della sua carriera è «senza dubbio il fatto di non essere riuscito a mettere sotto contratto Alessandro Del Piero. Da simpatizzante della Juventus, ma a prescindere dalla fede calcistica, ha lasciato un segno indelebile; in quel momento avevamo già Rino Gattuso in squadra, sarebbe quindi stata un’operazione fantastica».

‘La piazza merita una canzone rock’

La musica che libera, che ha la forza di cambiarti e d’indurti a credere di più nelle tue capacità. Da seguace di Bruce Springsteen, una cinquantina i concerti a cui ha presenziato, Degennaro sceglie la potenza comunicativa di ‘Born to Run’ quale colonna sonora del Sion. «Una piazza che merita una canzone rock, movimentata. E che risulterà sicuramente utile in occasione delle ultime partite di campionato, in cui bisognerà correre. Quello che si è fatto sinora è qualcosa d’incredibile: i punti conquistati sono parecchi, ma non bisogna fermarsi adesso perché mancano ancora pochi (importantissimi) metri». Una stagione altisonante macchiata forse dalla semifinale di Coppa Svizzera, competizione sempre cara alla compagine romanda. «Il Lugano è comunque una squadra che propone un bellissimo calcio. Quel rigore concesso... Nessuno può affermare che saremmo riusciti a pareggiare il confronto senza la sua assegnazione. La mancata organizzazione dell’Asf è invece un altro discorso».

Un tuffo nel passato

Degennaro è una persona cordiale, elegante, professionale, che ormai da anni bazzica il mondo del pallone. Ha un passato importante nella capitale, a Bellinzona, dove ha conquistato la promozione nel massimo campionato rossocrociato e una finale di Coppa Svizzera. Acb, che i romandi affronteranno questa sera, «finalmente capace di stabilizzarsi nel calcio professionistico, in un campionato di Challenge League che per il momento è il minimo che compete a una città che trasuda calcio. Una piazza competente e appassionata». Forse è mancata un po’ di tranquillità a livello societario, «anche se in termini di allenatori qui a Sion non possiamo dare tanti consigli (ben 34 in dieci anni, costellati anche da alcuni ritorni come quello di Tramezzani, ndr). Ognuno ha le sue problematiche, che sia il patentino o il cambio di allenatore». Il ticinese d’adozione è stato il fautore dell’ultimo grande Bellinzona, di cui rimane ferreo tifoso. «Non sono mai andato via, abito sempre in quel di Arbedo. Il legame con la città è forte, inevitabile. Ho avuto la fortuna di vivere un momento calcisticamente perfetto con la promozione e qualche esperienza in Europa. Mi fa piacere quando il Bellinzona vince. Quando posso vado allo stadio e tutte le domeniche cerco di assistere alle partite di mio figlio», che gioca proprio all’ombra dei Castelli.

Il cuore dei tifosi è rimasto legato a quell’epoca. Un’epoca «non così distante. Il ricordo è ancora fresco nella memoria, bisogna però capire che si è attraversato un momento assai complicato e tutto quello che hanno fatto i dirigenti (attuali e passati) per riportare la squadra a questi livelli è incredibile. Non è affatto facile ricostruire, anzi, credo quindi sia necessario avere un po’ di pazienza». E, nonostante le mille turbolenze, l’Acb quest’anno «si è salvato agevolmente e ha ottenuto subito la licenza. Tutti passaggi importanti, che segnano la stagione di una società. Il lavoro fatto sinora dev’essere apprezzato». Il 53enne non ha inoltre mancato di elogiare la rosa dei sopracenerini e, in primis, i giovani quali Sauter, Samba e Neelakandan. Dai fallimenti di Lugano, Bellinzona, Locarno e Chiasso ora il calcio ticinese sembra in ripresa. «I bianconeri stanno facendo benissimo, proponendo come detto in precedenza un calcio gradevole. Una bella pubblicità per il Ticino anche fuori dai confini nazionali. Quando sono arrivato, c’erano quattro squadre nella lega cadetta. Era un territorio diviso, pieno di stracantonali; vedere risalire Chiasso e Locarno fa assolutamente piacere. Non bisogna inoltre dimenticare le realtà di Paradiso, appena qualificatosi per la Coppa Svizzera, e Mendrisio».

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