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È tornato Walter Mazzarri, e non si tratta di una gif

Il tecnico toscano, da qualche anno lontano dai grandi palcoscenici, è stato richiamato dal Napoli campione d’Italia per sostituire l’esonerato Garcia

In sintesi:
  • Walter Mazzarri, lontano dal calco che conta da ormai un decennio, è stato chiamato fra la sorpresa generale a guidare una delle squadre più importanti fra quelle italiane
  • Tecnico privo di un pedigree d'alto livello, è diventato famoso – più che per i successi – per alcune sue dichiarazioni bizzarre e per le scuse spesso accampate per giustificare le sconfitte
16 novembre 2023
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Bentornato Walter! A renderlo ufficiale con un telegrafico tweet è Aurelio De Laurentiis, padre e padrone della Società Sportiva Calcio Napoli. Un’ipotesi che lunedì sembrava solo una suggestione da fantacalcio e che invece col passare delle ore è diventata sempre più concreta, fino a farsi reale martedì pomeriggio.

Decisiva la disponibilità di Walter Mazzarri, al contrario di Igor Tudor, che era sembrato il candidato più credibile a sostituire l’esonerato Rudi Garcia sulla panchina del Napoli e ad accettare un contratto breve da appena sette mesi. Mazzarri, di fatto, diventa l’allenatore ad interim del Napoli o, come si dice con un termine più dantesco che calcistico, il traghettatore. L’obiettivo è centrare uno dei primi quattro posti al termine della stagione; poi, si vedrà.

Il primo capitolo

Il 25 novembre, alla ripresa della Serie A dopo la pausa per le Nazionali, Mazzarri tornerà quindi a sedersi sulla panchina del Napoli. Dall’ultima volta saranno passati 3’842 giorni. Il tempo corre molto velocemente nel calcio e dieci anni possono essere considerati praticamente un’era geologica.

Anche per questo il suo ritorno ha fatto storcere la bocca a più di un tifoso: Mazzarri è ancora abbastanza preparato per gestire una squadra dal talento raffinato e dalle grandi ambizioni come il Napoli di oggi? Difficile dirlo ora, certo si può capire la diffidenza che lo circonda, ma anche perché il presidente lo abbia richiamato in un momento tanto delicato, trattandolo come una coperta di Linus della panchina.

Il primo Napoli di Mazzarri, tra il 2009 e il 2013, è stato il primo Napoli vincente dell’era De Laurentiis. In quattro stagioni è stato capace di alzare una Coppa Italia, battendo in finale la cannibale Juventus di Conte, e arrivare secondo in campionato davanti a rivali ben più accreditate. È lui ad aver riportato il Napoli in Champions League, dove mancava dai tempi di Maradona, quando si chiamava ancora Coppa dei Campioni.

In Europa poi ha vissuto notti magiche, come nel doppio confronto storico col Chelsea (poi campione d’Europa) perso solo ai supplementari per un soffio allo Stamford Bridge. La vittoria per 3-1 dell’andata al San Paolo fu il picco estetico ed emotivo di quel Napoli, una squadra che nelle giornate migliori era capace di giocare a calcio a un ritmo infernale.

Il suo Napoli era intenso e verticale, organizzato con una difesa a tre granitica, due esterni a tutta fascia instancabili e soprattutto uno dei migliori terzetti offensivi della storia recente del calcio italiano. Alle dipendenze di Mazzarri, Hamsik, Lavezzi e Cavani sono diventati tre campioni, un’unica entità a tre teste capace di fare magie. Si può dire che siano stati loro a riaccendere l’amore tra i tifosi e la squadra dopo tanti anni difficili. È stato infatti il Napoli di Mazzarri a iniziare quel percorso poi maturato con la gestione di Sarri e infine consacrato dallo Scudetto di Spalletti, che è diventato il regalo più prezioso della squadra alla sua città. E questo, forse, De Laurentiis non se l’è mai scordato.

Poi è divenuto un ‘meme’

Come detto, però, stiamo parlando di una squadra di dieci anni fa. Dopo Napoli per Mazzarri il calcio è diventato più difficile. All’Inter, dove è arrivato appena lasciata la panchina azzurra, le soddisfazioni sono state poche e anzi possiamo considerarlo l’inizio del suo declino. Una prima stagione anonima con una squadra piuttosto mediocre, poi l’esonero arrivato prima della pausa per le Nazionali di novembre della seconda, capro espiatorio del nuovo corso interista guidato da Erik Thohir.

Il nuovo presidente si è liberato di Mazzarri perché poco amato dai tifosi. La sua idea era quella di dare un’aria ben più internazionale al suo progetto, richiamando in panchina il più elegante e vendibile Roberto Mancini (che poi avrebbe fatto anche peggio).

La mancanza di un profilo “alto”, da allenatore non solo capace sul campo ma anche con la comunicazione, è stato forse il più grande limite di Mazzarri in quegli anni, ciò che ha contribuito ad affossarne rapidamente la carriera. Se è stato capace di grandi imprese con squadre più proletarie – una storica salvezza partendo da -11 con la Reggina, un sesto posto con la Sampdoria, la rinascita del Napoli –, le difficoltà incontrate in una piazza nobile come l’Inter hanno mostrato tutti i suoi limiti caratteriali e tattici.

Sono gli anni in cui ogni cosa inizia a venire scrutinata dai social network e Mazzarri diventa suo malgrado un meme. Prima piano, e poi sempre più velocemente, iniziano a girare i video delle scuse usate ai microfoni dopo le sconfitte e le gif dei suoi comportamenti bizzarri in panchina.

C’è quella volta in cui chiede di «cambiare un po’ le regole, ogni tot angoli battuti, ogni tot pali, assegnare un gol», o quando il problema è che «giovedì faceva freddo, qui invece c’è un clima estivo», detto dopo una brutta partita a Palermo arrivata a seguito di una trasferta in Ucraina. Un’altra volta è colpa dell’infortunio dell’arbitro. Dopo il pareggio per 2 a 2 col Verona, che gli costerà il posto, Mazzarri diede la colpa della rimonta subita all’arrivo della pioggia.

Escono fuori anche vecchie interviste: quella volta che usò i problemi intestinali di un suo calciatore come scusa, o quando si lamentò del compleanno di Cavani che a suo dire aveva reso soporifero il San Paolo.

Ancora peggio forse sono le gif: brevi video da mandare in loop agli amici in chat o con cui commentare l’ultimo post. La più usata: Mazzarri che picchietta sull’orologio in panchina come a far notare a tutti il tempo che passa. È un gesto che l’allenatore fa spessissimo e che ha giustificato come una richiesta di «tutela del tempo».

La più divertente: Mazzarri e il suo vice alle spalle che si muovono tarantolati all’unisono. Ma anche Mazzarri disperato che si mangia le mani, che mangia una bottiglietta di plastica, che parla da solo, che si stropiccia la faccia. Tutti atteggiamenti anche normali in panchina, dove spesso gli allenatori si trasformano, ma che internet non ha mai perdonato a Mazzarri.

Dopo l’Inter, nel 2016 Mazzarri emigra in Premier League. Anche qui potevamo considerare la sua scelta come quella di un precursore, invece della sua esperienza al Watford, nonostante una salvezza non proprio banale, ci rimangono solo le sue difficoltà con l’inglese, le conferenze stampa in cui privato della sua lingua madre non sembra neanche lui.

«Action speak louder than words» dice nel primo video da allenatore, una frase scandita con difficoltà in un inglese stentato, con lo sguardo rivolto a un foglio alle spalle della telecamera su cui leggere la pronuncia delle parole. Quello che doveva essere un manifesto programmatico diventa invece l’ennesimo meme che lo accompagnerà per sempre.

Dopo la parentesi inglese, Mazzarri torna in Italia per allenare il Torino, subentrando al posto dell’esonerato Mihajlovic. La seconda stagione riesce a conquistare i preliminari di Europa League con un gioco fatto da marcature a uomo e grande aggressività nel pressing, senza mai rinunciare alla difesa a tre. È un grande traguardo, ma poi il suo Torino si sgonfia, perde lo smalto e due sconfitte consecutive, 7-0 con l’Atalanta e 4-0 contro il Lecce, gli costano il posto.

Mazzarri rimane un anno e mezzo fermo, poi viene chiamato a stagione appena iniziata dal Cagliari. Sarà un disastro, tanto che viene licenziato “per giusta causa” a poche giornate dal termine, con la squadra pericolosamente vicina alla retrocessione. Mazzarri avrebbe insultato i giocatori e il presidente.

Cosa aspettarsi da questo ritorno

È questo il curriculum che Mazzarri si porta al Napoli nel 2023. In un decennio, per poco meno di quattro anni è stato fermo, per tre volte è stato esonerato. Quasi sempre le sue squadre hanno avuto gli stessi pregi e soprattutto gli stessi difetti: la difesa a tre come credo e un calcio mai raffinato e poco moderno. Lo stesso Mazzarri è sembrato non evolversi, sempre preda del suo carattere duro e poco adatto ai microfoni. Non il massimo, per una squadra che gioca con lo Scudetto sul petto e che la scorsa stagione ha toccato picchi di bellezza ed efficacia che a Napoli non si erano mai visti.

Cosa possiamo aspettarci allora da questo ritorno di Mazzarri? Poche settimane fa in un’intervista al Corriere dello Sport, come se sapesse, aveva detto di aver studiato a memoria il Napoli di Spalletti: «Conosco tutti i movimenti che facevano, questo fa parte di me». Ha anche detto che gli piacerebbe proporre un calcio simile, ma che in carriera, a suo dire, non ha mai avuto i mezzi per farlo: «Io il 4-3-3 non ho mai potuto farlo perché non avevo i giocatori adatti».

Forse non del tutto casualmente, tra le rassicurazioni che Mazzarri ha fatto a De Laurentiis, sembra ci sia proprio quella che continuerà nel solco di questo modulo, che a Napoli è un mantra. Eppure, come si dice, chi nasce tondo può morire quadrato? È lecito avere dei dubbi su quanto Mazzarri possa essere adatto per questo Napoli. Gli allenatori, anche i migliori, hanno spesso una durabilità limitata, prima di venire sorpassati dall’evoluzione del gioco o logorati da un mestiere oltre lo stressante.

Appena arrivato in città, Mazzarri ha detto di essere stanco, che non dorme da due giorni. Ovviamente è anche per l’eccitazione, ma non si può non vedere un piccolo grido d’aiuto. Nelle prossime settimane il Napoli dovrà affrontare Atalanta, Real Madrid, poi Inter e Juventus. Quattro partite durissime in cui a Mazzarri verrà richiesto di fare delle forti scelte tattiche e di uomini. Lui dice di sentirsi pronto come la prima volta, i tifosi del Napoli non possono far altro che aspettare e sperare.