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Haaland, Grealish, i ravioli e il prezzo iniquo del diesel

Diario della serata dell’altroieri al Wankdorf, dove di scena c’era il City di Guardiola detentore del trofeo più prestigioso

In sintesi:
  • Il Manchester City campione d’Europa ha incantato a Berna contro lo Young Boys in Champions League
  • Soprattutto ha impressionato l'organizzazione della squadra di Guardiola, perfettamente messa in campo
27 ottobre 2023
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Siccome mi tocca parcheggiare alla BernArena, quando mercoledì sera arrivo al Wankdorf sono piuttosto zuppo per via della pioggia, e così appena raggiunta la sala stampa mi faccio un paio di caffè bollenti. Data la serata di gala – lo Young Boys riceve infatti il Manchester City campione di ogni cosa – c’è un sacco di gente, e l’unica sedia libera è vicina a due colleghi inglesi, uno stipendiato dal Guardian e l’altro dal Telegraph. Mi chiedono da dove io venga, e quando rispondo ‘da una parte italofona della Svizzera’, uno dei due dice ‘Oh, sure, you’re talking about Altoadìge, aren’t you?’. ‘Kind of,’ abbozzo per non deluderlo. ‘Adoro le meravigliose diversità del tuo Paese’, insiste lui, e io annuisco senza commentare.

Riceviamo il foglio con le formazioni e vedo che Guardiola – rispetto all’ultimo match – ha cambiato ben sette titolari e ha lasciato fuori grossi nomi come Stones, Bernardo Silva e il campione del mondo Julian Alvarez. Ma ovviamente, trattandosi del City, non è che al loro posto in campo ci saranno dei brocchi. ‘Che mi dite di Matheus Nunes’, domando confessando di non averlo mai visto all’opera, nemmeno in tv. ‘Pretty good’, fanno in coro. Abbastanza buono, insomma, che è la maniera inglese per dire che uno è fortissimo. E infatti il portoghese mostrerà ottime cose. Ad ogni modo, per me, l’importante è che ci sia Jack Grealish, che è fra i miei preferiti.

Quello del Guardian si alza, dice che va a prendere qualcosa da mangiare e mi chiede se voglio della pasta. Come se avessi accettato, lo ringrazio. Si mette in coda con fotografi e cameramen. Torna con due vaschette di ravioli al ragù al tungsteno che, solo a guardarli, provocano ulcere fulminanti. Fanno sanguinare naso e occhi, ma i colleghi li definiscono delicious. Ho deciso di perdonarli soltanto perché in seguito, nel brevissimo tragitto fra il media center e la tribuna stampa, mi offrono una birra. La postazione con appiccicato il cartellino recante i loro nomi è due file più in basso della mia, ci separiamo augurandoci reciprocamente buona partita.

L’atmosfera è quella delle grandi occasioni, in tutto lo stadio non c’è un cadreghino vacante, come succede nei teatri di provincia quando per una sera viene a recitare una rinomata star del palcoscenico. L’unica differenza è che qui, trattandosi di football, quando i più blasonati avversari entrano in scena per il riscaldamento vengono sommersi di fischi. Nessuno, però, rinuncia a sfoderare il telefono per scattare una foto ai campioni d’Europa in carica e plurivincitori del campionato inglese.

Fatta la scelta fra palla e campo, vedo che purtroppo Grealish giostrerà sull’out opposto: mi consolo pensando che nella ripresa l’avrò sotto di me, a una decina di metri, proprio davanti a Guardiola che – ancora non lo so – resterà per quasi due ore in piedi sotto la pioggia incessante senza nemmeno una cuffia a proteggere il suo geniale crapone pelato.

Una specie d’epifania

Quando si comincia a giocare, ciò che subito impressiona è la disposizione della squadra inglese, corta e larghissima, consegna che gli sky blues riusciranno a rispettare dall’inizio alla fine. La prima occasione, però, è per i padroni di casa, che con Ugrinic scoccano il primo tiro della serata. Da lì in poi, ad ogni modo, sarà un sublime e impressionante monologo inglese, interrotto soltanto da sporadiche battute giallonere.

Il City mostra una rocciosa solidarietà fra i reparti come fra i singoli, di egoismo non c’è traccia alcuna. Le fasce sono sfruttate appieno, la velocità nel chiudere, nel recuperare il pallone e nel ricominciare ad imbastire trame davvero lascia di stucco. Il movimento degli uomini del Pep è incessante, ognuno vuole – e riceve – la palla, e tutti sono perfettamente in grado di impostare e lanciare lungo, quasi come se l’intera squadra fosse composta da registi. La palla più invitante a Haaland, non a caso, la serve il nazionale elvetico Manuel Akanji, che di mestiere fa il difensore. Il solo problemino riscontrato nei primi minuti è a livello di controllo di palla, per via del campo sintetico – superficie sconosciuta nell’intera Inghilterra – che induce presto gli attori a effettuare appoggi un po’ più corti del solito. Alla pioggia, invece, i mancuniani sono avvezzi, e dunque la qualità del loro gioco non ne risente troppo.

È la prima volta che vedo dal vivo la squadra oggi dominatrice del calcio mondiale, ed è semplicemente una specie di epifania. Fra i pochissimi errori dell’intero primo tempo c’è una palla persa a metà campo che consente a Lauper di involarsi verso la porta di Ederson, ma Aké recupera come un centometrista e riesce a chiudere in angolo giusto una frazione di secondo prima che il buon Sandro, bernese purosangue, spari a botta sicura.

Sull’altro fronte, invece, Racioppi deve fare gli straordinari per mantenere inviolata la propria porta, che viene minacciata di continuo. Doku sulla destra e Grealish sulla sinistra spingono da far paura, scendono lungo tutto l’out e pennellano cross a ripetizione dentro l’area. Oppure, giunti a tre quarti di campo, convergono creando gioco per vie centrali o vanno personalmente alla conclusione col piede opposto. In mezzo, in attesa dei loro assist, c’è ovviamente Haaland, il miglior bomber del panorama planetario odierno, il quale però per l’intero primo atto – francobollato da Camara – trova soltanto conclusioni sporche e inefficaci.

E poi, verso il 40’, accade qualcosa che non mi piace: il Pep ordina a Grealish e Doku di scambiarsi le fasce. Al momento, ovviamente, la scelta pare a mio favore, visto che potrò vedere i magnifici dribbling di Grealish da vicino. Ma poi penso che il privilegio durerà soltanto pochi minuti, dato che dopo la pausa, a campi invertiti, il vecchio Jack tornerà a sgambettare sulla banda più lontana. La mossa, ad ogni modo, non sortisce l’effetto auspicato dal tecnico catalano, e così il baluardo bernese rimane inespugnato: si va al riposo sullo 0-0 malgrado l’eloquentissimo dato sul possesso di palla, che vede i Citizens in vantaggio col 74% a fronte del misero 26% fatto segnare dai campioni svizzeri.

I due colleghi inglesi risalgono la gradinata e mi fanno segno di seguirli: temo vogliano farsi un’altra birretta e non vorrei offenderli declinando la gentilezza – devo guidare, sapete com’è – così prendo il natel, fingo di chiamare e ruoto l’indice della mano libera come per dire ‘vi raggiungo dopo’. In realtà mantengo le terga ben incollate alla sedia per tutto l’intervallo, finché, mentre sto guardando sul pc i gol segnati sugli altri campi, sento una mano sulla spalla: è il tizio del Guardian che mi allunga un caffè e se ne torna in postazione senza quasi nemmeno lasciarmi il tempo di ringraziare.

Nella ripresa, per mia grande gioia, Guardiola torna ad assegnare a Doku e Grealish le rispettive fasce originali, e così infine mi godo da una posizione davvero privilegiata le evoluzioni dell’ex Villa, irlandese che veste la maglia della Nazionale inglese e che gioca – come molti fuoriclasse del passato – coi calzettoni abbassati, almeno quanto concesso dalle regole del calcio moderno.

Finalmente i gol

Col passare dei minuti, com’è naturale, quelli del City riescono finalmente a concretizzare tutto il lavoro svolto, e così arrivano anche i gol a suffragare una supremazia assoluta ma fin lì sterile. Il primo lo sigla lo zurighese Akanji sfruttando una respinta maldestra di Racioppi, mentre il secondo e il terzo portano la firma del vichingo Haaland, che proprio al Wankdorf dunque decide di sbloccarsi: nelle prime due gare di Champions di quest’anno, infatti, non aveva ancora segnato.

La prima rete la mette a referto su rigore, e va a celebrarla lì vicino, sotto lo spicchio di spalti riservati ai tifosi inglesi, che finalmente si fanno sentire: per i miei gusti, fin lì erano stati troppo compassati. La seconda – davvero bella – la dipinge invece con un destro preciso dopo aver controllato molto bene il pallone sui sedici metri. Non va comunque dimenticato che, prima della doppietta del norvegese, c’è stato il momentaneo pareggio realizzato dal congolese Elia, che perfettamente lanciato da Niasse ha superato Ederson con un pallonetto davvero superlativo.

Vedo i due colleghi inglesi per l’ultima volta in sala stampa: siedono vicino a me, e insieme aspettiamo che arrivi Guardiola a dire due parole. Se ne vanno appena Pep si congeda, senza nemmeno aspettare che al microfono ci vada Wicky, l’allenatore dello Young Boys. Allora ci vediamo a Manchester fra due settimane per la partita di ritorno, mi dicono per accomiatarsi. Dubito, mi scuso, e loro paiono sinceramente dispiaciuti.

Venti minuti più tardi lascio anch’io lo stadio, e siccome il tunnel del Gottardo è chiuso, per tornare in Ticino mi tocca fare il giro della Svizzera, durante il quale scopro che nei Cantoni Primitivi il diesel costa la bellezza di 23 centesimi meno che nel Mendrisiotto. Cos’è che dicevano i due giornalisti inglesi sulle magnifiche differenze della Svizzera?