Calcio

Eden Hazard, Pallone d’oro degli scansafatiche

Il campione belga ritiratosi pochi giorni fa a 32 anni passerà alla storia – anche per colpa sua – come un talento sublime ma sfruttato malissimo

In sintesi:
  • Nemico di diete e allenamenti, Eden Hazard ha chiuso la carriera vincendo meno di quanto avrebbe potuto
  • Indicato come il possibile terzo incomodo fra Messi e Cristiano Ronaldo, al belga è sempre mancata – in pratica – la giusta carica agonistica
13 ottobre 2023
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L’aneddotica su Eden Hazard – che si è ritirato qualche giorno fa ad appena 32 anni, «devi saper ascoltare e dire fermati al momento giusto» è stato il suo epitaffio in vita – è di quelle affascinanti ed esplicative.

«Una volta stava giocando a Mario Kart negli spogliatoi quando mancavano 10 minuti all’inizio del riscaldamento», ha raccontato Filipe Luis, che con Hazard ha giocato al Chelsea, «noi eravamo tutti pronti e lui continuava a giocare.

Quando mancavano 5 minuti e lui stava ancora giocando, è arrivato l’allenatore e gli ha detto “Dai Eden, muoviti!”. Hazard si è girato e gli ha risposto solo “non ti preoccupare, fai in modo di farmi arrivare il pallone e non ci saranno problemi”».

Per molti dei suoi compagni e allenatori, Hazard era l’esempio di come non doveva allenarsi un professionista. Secondo Mourinho «in partita si vede il riflesso di una settimana di lavoro, quando gioca lui invece vedi solo il suo talento», mentre per Sarri «è un piacere da vedere in campo, ma a volte durante la settimana può essere un problema, perché ha molto talento e in allenamento si annoia».

A Mikel John Obi questa cosa faceva impazzire: «Era così bravo, che nessuno ha mai detto niente. Il sabato era il migliore in campo, ma il lunedì e il martedì era come se nemmeno ci fosse. Non è giusto che alcune persone abbiano così tanto talento». John Terry raccontava spesso di come Hazard si allenasse con gli scarpini slacciati, a indicare anche simbolicamente il suo disimpegno, «ma», aggiungeva sempre, «dagli il pallone e ti sentirai vivo, ti farà divertire».

Su questo tutti concordano: divertirsi e far divertire è stata la sua missione fin da piccolo, fin da quando giocava nel prato dietro casa con i genitori, entrambi ex calciatori, o con i fratelli, diventati calciatori anche loro. Cresciuto col mito di Zidane, con un campo da calcio «a non più di tre metri da casa», è sempre stato il più talentuoso, il più geniale. «Sapeva già tutto, non ho dovuto insegnargli nulla» ha raccontato il suo primo allenatore, «la prima volta che l’ho visto mi sono detto che lo Spirito Santo era disceso su questo ragazzo» ha confermato un altro.

A 16 anni debutta in prima squadra col Lilla – «il più grande talento che si sia mai formato qui» è stato il saluto che gli ha riservato il club francese –, nel 2009 vince il premio di miglior giovane della Ligue 1, si ripete nel 2010. Nel 2011 vince quello di miglior giocatore, poi di nuovo nel 2012, la stagione che lo consacra ad appena 21 anni: segna 22 gol e con il Lilla fa la doppietta campionato e Coppa di Francia che lo lancia verso il Chelsea, il club che ha appena vinto la Champions League.

In Premier League Hazard si prende il palcoscenico più grande. Sono gli anni in cui il campionato inglese sta provando a mangiarsi tutto il resto e lui diventa presto il talento più seducente. Magari non tutte le domeniche il più forte o il più decisivo, ma certo quello che tutti aspettavano di vedere. C’era qualcosa di magico nel suo calcio, una leggerezza contagiosa. Non volava sulle punte come gli atleti più veloci e non aveva la forza erculea dei più forti, ma in qualche modo diventava inafferrabile. Il suo segreto – raccontano i più informati – era il suo sedere. Hazard era un maestro nell’usarlo per eludere gli avversari, tenerli lontani dal pallone, irretirli nel suo gioco di tocchi e finte.

Nelle giornate migliori era capace di dominare un campo da calcio con altri 21 uomini più grossi di lui solo grazie alla propria tecnica, inventandosi, se necessario, un gol dal più assoluto nulla, come quello al Liverpool che sembra uscito da un sogno, o uno all’Arsenal da raccontare ai nipoti. Quando stava bene, e si vedeva quando stava bene, il suo era uno dei pochissimi nomi che sono riusciti ad avvicinarsi a quelli di Cristiano Ronaldo e Messi.

Eppure è proprio lì – in quella nostra voglia di far diventare un duo un trio – che abbiamo perso di vista che giocatore fosse. Hazard aveva la qualità ma non la quantità, il talento ma non la fame; non inseguiva i gol e i trofei come fossero pioggia nel deserto. «Spesso mi chiedo cosa posso fare per diventare come Messi e Ronaldo e segnare 50 o 60 gol in una stagione», ha detto una volta, «poi mi rendo conto che non sarò mai come loro. Non è in me. È una questione principalmente mentale».

Il suo calcio, e torniamo sempre lì, era puro divertimento, non ossessione. C’è stata una volta, però, in cui Hazard è stato il migliore di tutti. È successo nel 2018 in Russia, durante i Mondiali. Lui era un giocatore da grandi partite, quelle che non richiedono uno sforzo per essere motivati e, insomma, i Mondiali sono pur sempre i Mondiali.

Nei quarti di finale col Brasile gioca una partita for the ages, per i posteri. Non deve neanche segnare: Hazard paralizza i brasiliani coi suoi tocchi, con la sua sensibilità. Controlla il gioco per 90 minuti muovendosi per tutto il campo, in tutti i ruoli. Detta i ritmi, manipola lo spazio. Finisce la partita con nove dribbling riusciti su nove tentati e sette falli subiti, batte i brasiliani al loro gioco. In quel momento ci siamo illusi che quello potesse essere lo spartiacque, che il talento di Hazard stava trovando la sua strada definitiva per essere continuo e decisivo sempre e comunque.

È stato invece l’inizio della fine. Il Belgio è uscito in semifinale con la Francia e quella è rimasta l’ultima grande partita di una generazione che doveva conquistare tutto e non ha vinto niente. Lui ha brillato per un’altra stagione al Chelsea con Sarri, vincendo l’Europa League con due gol in finale (la seconda, che si aggiunge a due Premier League e a una FA Cup, tanto ma non tantissimo) prima di congedarsi e andare al Real Madrid.

Era una mossa che aveva senso per tutti. Hazard a 28 anni vedeva riconosciuto il suo valore, andando a giocare nel più grande club al mondo che lo stava pagando oltre 100 milioni di euro; il Real Madrid metteva le mani su un calciatore nato per essere un galactico, per viziare il palato fine dei tifosi della capitale spagnola. Non ha funzionato, anche se la sua bacheca è diventata molto più ricca. I motivi possono essere tanti, ma uno svetta sugli altri.

Hazard si è presentato in Spagna in sovrappeso – la sua passione per gli hamburger e il junk food non è certo segreta – e mentre cercava la forma migliore un infortunio apparentemente banale lo ha fatto piombare in una spirale di altri problemi più o meno grandi da cui non si è mai ripreso, non riuscendo a ritrovare l’Hazard ideale, se non in qualche rarissimo sprazzo.

Nelle quattro stagioni in Spagna – le quattro stagioni che dovevano definire la sua carriera – Hazard ha giocato appena 3’736 minuti. In totale fanno una quarantina di partite, spesso però entrando nel finale o giocando quelle meno importanti. Basti pensare che non ha giocato neanche un minuto nelle 12 volte in cui Barcellona e Real Madrid si sono affrontate mentre lui era in Spagna. O era infortunato o è rimasto in panchina. Sfortuna? Possibile, ma nel calcio anche la sfortuna ha un punto d’origine.

È innegabile che l’avversione per l’allenamento e la mancanza di motivazioni abbiano contribuito ad accorciare la carriera di Hazard, a fargli dire basta alle prime difficoltà, nel momento in cui molti campioni hanno trovato invece la loro dimensione. Ma ci sono anche altri aspetti: per via del suo gioco Hazard ha preso un sacco di calci.

È quasi controintuitivo il fatto che la ricerca del lato più ludico del gioco gli sia costata tanto. Mourinho – un allenatore di cui possiamo pensare quello che vogliamo, ma che ha sempre avuto un intuito più simile a quello di un oracolo – lo aveva predetto in tempi non sospetti, mentre Hazard surfava sopra gli avversari in Premier League: «Il modo in cui, partita dopo partita, viene picchiato dagli avversari e non è protetto dagli arbitri è il motivo per cui forse un giorno non avremo più Eden Hazard». Così è stato.

Fosse stato più meticoloso, forse, avrebbe imparato a proteggersi, evitare i calci. Si sarebbe anche allenato meglio, avrebbe fatto attenzione alla dieta. In cambio avremmo avuto più Hazard, cioè più anni buoni, ma difficilmente un Hazard migliore. Anzi, forse è vero il contrario. La gioiosa creatività del suo calcio, si può dire, ha avuto questo prezzo, una durata inferiore. Se è andato bene a lui, dovrebbe andar bene anche a noi: Hazard ci ha fatto divertire e si è divertito, e non c’è niente di meglio se parliamo di calcio.