Calcio

Da Barcellona a Bellinzona: ogni Rosas ha le sue appuntite spine

L'Acb ha chiuso l'era Sandro Chieffo (e Fernando Cocimano) affidando le redini della squadra a uno staff tecnico che parla assai spagnolo e catalano

(Ti-Press/Gianinazzi)
3 ottobre 2023
|

Un’armonica combinazione fra Michael Laudrup e Lionel Messi. O addirittura il nuovo Iniesta, capace di lì a poco di incantare il pubblico del Camp Nou. Le speranze di Xavi non hanno però rispecchiato la poco rosea carriera di Mario Rosas, ambidestro e caratterizzato da parecchia competitività. Una stella del calcio, affievolitasi sempre di più sino ad essere quasi uno sconosciuto. Il 43enne spera ora di rifarsi sulla panchina del Bellinzona, su cui siederà a partire da questa domenica, e sfruttare questa seconda opportunità. Le presunte inottemperanze di Sandro Chieffo hanno infatti presentato un conto salato: la società ha scelto di rivoluzionare tutto lo staff tecnico, chiudendo de facto anche l’era dei numerosi periodi di interinato di Fernando Cocimano (a cui è stato rescisso il contratto). Ad affiancare l’iberico saranno Xavi Andres Ibarra, Manel Benavente e il preparatore atletico Diego Megìas Navarro. L’unico che rimarrà al suo posto è Lorenzo Colombo, allenatore dei portieri. Uno sforzo non indifferente per la società della capitale.

Il natio di Malaga, secondo di tre fratelli - tutti fedelissimi tifosi del Real Madrid (da buon andalusi), si è ricavato il proprio spazio nella Masia del Barcellona a soli tredici anni grazie alla mediazione di Joan Vilà e di altri mentori che hanno creduto nelle sue potenzialità. Un calcio paradisiaco, capace di affascinare pure l’allora allenatore della prima squadra Louis van Gaal. Rosas inizia dunque a entrare in confidenza e affiancare una generazione d’oro composta ad esempio da Babangida, Puyol e lo stesso Xavi. Il primo allenamento sotto l’egida di Van Gaal è stato un trauma, ma l’umiltà mostrata da Figo, Luis Enrique e Guardiola ha permesso una transizione più naturale. Di lasciar fermentare il giovane. A soli diciassette anni calca (senza nome sulla maglia) per la prima volta il terreno del Camp Nou, uscendo sconfitto 4-1 dal Salamanca. L’andaluso si è tuttavia ben presto infortunato, smarrendo il cosiddetto momentum. La sua impazienza di spaccare il mondo ha indotto Rosas a lasciare i catalani e accasarsi all’Alaves. Il club era in procinto di coronare una splendida annata, mettendosi in bacheca la Coppa Uefa… in finale si è inchinato 5-4 ai supplementari alla corazzata del Liverpool. Il centrocampista non riesce ad adattarsi a questo sistema di gioco, cambiando nuovamente destinazione. “C’erano grandi speranze riposte nei miei confronti: ho sbagliato a non avere pazienza e lasciare il Barça”, ha dichiarato a Marca. Il modo di giocare dei baschi non si confaceva a Rosas, inebriato della filosofia catalana (incentrata sul possesso della palla). “La compagine azulgrana è chiusa in una sorta di bolla, in cui tutto calza a pennello. Per questo ho riscontrato difficoltà a familiarizzare al di fuori di questo ambiente, che richiede molto. Ho imparato con il tempo. Credo tuttavia di essere stato un buon giocatore, almeno in seconda divisione, ma il passo realizzato in quel momento della mia carriera non è stato forse proprio azzeccato".

Un percorso in antitesi a quello di Xavi

Lasciate alle spalle tutta una serie di prestiti e brevi esperienze in club quali il Salamanca, il Cadice, il Girona e il Murcia, ha messo radici a Castellón. Un periodo costellato da insuccessi. “Ho sperimentato il lato positivo del calcio quando ero al Barça, accecato dalle luci della ribalta. Dai numerosi titoli e dalle promozioni conquistate. E il lato negativo quando ero ad esempio privo di una squadra. Non mi pento delle scelte che ho preso: all’epoca ero giovane, forse a 28 anni qualcosa sarebbe cambiato”. Durante la sua carriera di calciatore, Rosas è stato tacciato di non essere professionale succube della predilezione a dedicarsi a festini e alcol. Non è un caso il soprannome Mario Four Roses (dal nome del whisky). Che siano verità o menzogne è difficile stabilirlo. “Spesso mi si rinfacciava una vita poco da sportivo, ma ai quei tempi era differente. Oggi un giocatore si allena dalla mattina alla sera. Tutto è curato nei minimi dettagli; bisogna avere un equilibrio massimo e io non avevo questo profilo”. Chiusa un’esperienza in Azerbaijan, l’andaluso è ritornato in patria riponendo nell’armadio le scarpette. Un percorso in antitesi con quello di Xavi, ma, forse non in panchina. Il 43enne in precedenza è stato il condottiero di Roda, Novelda e Castellón, alternando esperienze di gestione sportiva (Avilés ed Eldense). Il suo percorso è ancora nelle battute iniziali, eppure la filosofia catalana incentrata su un calcio fisico, spumeggiante e non focalizzato sulle individualità spicca già nei suoi modi di allenare. Un Dna impartito anche a una formazione poco competitiva come l’Al-Riffa, in Bahrain. L’ultima sua esperienza, prima di Bellinzona; una piazza intenzionata a risalire la china e lasciare i bassifondi della classifica.