I meriti vanno a Martin Blaser e alla nuova dirigenza, ma l’architrave della squadra rimane quella costruita negli anni da Angelo Renzetti
C’è chi finisce bene e chi altrettanto bene inizia. La qualificazione del Lugano per la finale di Coppa Svizzera, in programma il 15 maggio al Wankdorf di Berna, premia sia l’ex presidente Angelo Renzetti, sia la nuova dirigenza impersonificata dal Ceo Martin Blaser. Il primo ha plasmato negli anni un gruppo tutt’ora alla base dei successi bianconeri; il secondo ha saputo riconoscere i meriti del predecessore di Philippe Regazzoni e ha evitato di entrare a piedi pari in una struttura che negli anni aveva dimostrato di essere solida e competitiva, preferendo mantenere un profilo piuttosto basso, con inserimenti mirati. Dall’anno prossimo, le cose cambieranno, diversi veterani partiranno, di conseguenza, altrettanti nuovi arrivi andranno a completare la rosa, ma per il momento questo Lugano rimane fortemente ancorato a quella che è stata la gestione Renzetti.
A livello di emozioni, però, la sfida di giovedì sera non ha parenti prossimi. Sei anni fa, alla Swissporarena, la finale era stata ottenuta al termine di una partita sì combattuta (a maggior ragione dopo l’errore dal dischetto di Sabbatini), ma che non aveva nemmeno avvicinato i vertici pathos raggiunti giovedì con la doppia rimonta lucernese e con l’appendice dei rigori. Per trovare qualcosa di simile bisogna forse risalire al 19 maggio 1992, quando il Lugano di Karl Engel aveva espugnato ai supplementari (4-2) le Charmilles di Ginevra, dopo essere rimasto in 10 dal 105’ per l’infortunio a Philipp Walker (sostituzioni già esaurite), rimpiazzato tra i pali dal fratello Marco. L’exploit in semifinale era servito a poco, perché nell’atto conclusivo i bianconeri erano stati battuti 3-1 dal Lucerna, anche in quel caso dopo 120’. Questa volta, però, i lucernesi non ci saranno e non ci saranno nemmeno Sion, Basilea (entrambe con 13 titoli) e Young Boys, dominatore degli ultimi anni del calcio svizzero, ma estromesso già agli ottavi proprio dal Lugano. Insomma, l’occasione non potrebbe essere più ghiotta.
Giovedì sera, il Lugano ha mostrato quel carattere che negli ultimi anni è stato alla base dei successi raggiunti (due partecipazioni all’Europa League e una finale di Coppa nel 2016). Da due mesi in Città pulsava la voglia di tornare in finale e la squadra ne ha risentito dal profilo mentale, concedendosi qualche pausa di troppo in campionato. Al momento giusto, però, si è ritrovata e ha sfoderato una prestazione destinata a essere raccontata con il classico "io c’ero". E anche chi a fine anno lascerà il club (Lavanchy, Custodio, Lovric…) ha dimostrato una professionalità e un’abnegazione non scontate nel calcio moderno. La regia di Lovric in mezzo al campo, la capacità di Custodio di dare ordine alla squadra e di coprire un’ampia porzione verticale di campo (non a caso nel primo tempo è stato l’uomo più pericoloso) e le costanti percussioni di Lavanchy (determinante nell’azione del rigore del 2-1) non saranno caratteristiche facili da rimpiazzare. Ed è proprio lì che la nuova dirigenza dovrà cercare di incassare il primo assegno di credibilità. Nel frattempo, ha forse trovato con Zan Celar l’elemento giusto per risolvere il dilemma della prima punta, per troppi anni il vero tallone d’Achille del Lugano. Nelle ultime settimane lo sloveno ha trovato cinque reti (e aggiungiamoci pure il rigore decisivo) in sei partite, dimostrando di essere in palese crescita. Senza scordare quella che è stata una vera esplosione da parte di Mattia Bottani, autore sin qui di una stagione da incorniciare. Sotto la guida di Mattia Croci-Torti, il numero 10 ha raggiunto quella consapevolezza e quella costanza di rendimento che lo hanno reso imprescindibile nell’economia del gioco bianconero. Anche giovedì, per quanto in condizioni fisiche non perfette, la sua capacità di saltare l’uomo e creare superiorità numerica è stata alla base delle azioni più importanti.
Quella che poteva rivelarsi una primavera priva di stimoli, con una salvezza praticamente già vidimata a Natale, si è trasformata in un finale esaltante, con un trofeo da conquistare e un terzo posto in Super League ancora in bilico. Comunque vada, si preannuncia una stagione al di sopra delle aspettative. Ma prima di pensare al 15 maggio, occorre rifocalizzarsi sul campionato che, guarda caso, domenica propone un San Gallo - Lugano antipasto della finale del Wankdorf. Facile immaginare che, al di là delle logiche tossine rimaste nelle gambe di qualche elemento dopo la maratona di giovedì, Mattia Croci-Torti e Peter Zeidler giocheranno di pretattica…
Alla partita di giovedì non poteva mancare Angelo Renzetti, per tanti anni l’architetto di questo Lugano ancora oggi sorretto dalle fondamenta scavate dall’ex presidente… «Lungi da me l’idea di mettermi alla guida del carro dei vincitori, ma sono ovviamente molto contento, perché è vero che lo zoccolo duro di questa squadra rimane quello che avevamo messo assieme io e i miei collaboratori. La ciliegina sulla torta – ed è fondamentale riconoscerlo – l’ha piazzata la nuova dirigenza, con una sola mossa: la decisione di affidare l’incarico di coach a Mattia Croci-Torti, il quale in questi mesi si è dimostrato perfettamente all’altezza del compito affidatogli».
Conoscendo la passione con la quale vive le partite del Lugano, per Renzetti quella di giovedì deve essere stata piuttosto dura da reggere… «Supponevo che sarebbe stata una partita da vincere con il carattere, non con il bel gioco o con alchimie particolari. Quando sul foglio partita ho visto i nomi di Maric e Bottani ho capito che lo zoccolo duro era al completo, con i vari Ziegler, Daprelà, Custodio, Lavanchy, tutta gente di grande carattere, da anni abituata a giocare assieme e unita nel tentativo di raggiungere questo obiettivo. L’unico momento di vera apprensione è stato quando Maric ha colpito la traversa sul primo calcio di rigore. Lì ho pensato che la serata avrebbe potuto prendere una piega sbagliata, ma è stato molto bravo Saipi a rimettere in corsa la squadra con due determinanti parate consecutive, in particolare la seconda su Schürpf».
Nei lunghi anni di presidenza, Angelo Renzetti non ha mai nascosto il particolare attaccamento alla Coppa Svizzera… «Penso sia lo stesso per l’attuale dirigenza. La Coppa è una competizione particolare, a ogni vittoria vedi avvicinarsi il traguardo. E alla fine puoi ritrovarti ad alzare il trofeo dopo appena sei partite. Ogni anno c’è almeno una sorpresa – ad esempio l’Yverdon semifinalista –, ma noi ci siamo ampiamente meritati il diritto di prendere parte alla finale, perché non dimentichiamo che lungo il cammino abbiamo fatto fuori prima lo Young Boys e poi il Lucerna detentore del titolo. Il Lugano, d’altra parte, è una squadra tagliata su misura per una competizione come la Coppa Svizzera: sa difendere molto bene per poi sfruttare le ripartenze, caratteristiche ideali per questo tipo di sfide, nelle quali è importante soprattutto non incassare reti. Anche l’Yverdon, a ben guardare, nella classifica di Challenge League occupa la penultima posizione, ma con 39 reti incassate ha la terza miglior difesa, con un solo gol in più di Winterthur e Stade Losanna: segna poco, ma subisce pochissimo. E se sull’arco di una stagione l’anemia offensiva la paghi, in una partita secca è molto più importante essere ermetici a protezione del proprio portiere. Le squadre che possiedono queste caratteristiche sono leggermente avvantaggiate e il Lugano è una di quelle. Adesso rimane da giocare la partita più importante, ma sono molto fiducioso, anche perché il San Gallo, al di là del buon momento di forma, è una squadra che possiamo prendere l’infilata, a patto di difendere come sappiamo fare».