La prima sfida della storia tra le due nazionali ha regalato una serata di festa tra due popoli uniti dal destino
Svizzera-Kosovo ha disegnato un arcobaleno. Un arcobaleno speciale, formato da colori che il destino ha attinto dalla tavolozza della Storia e unito attraverso un processo che ha trasformato, per quanto possibile, la sofferenza in accoglienza, l’esclusione in condivisione, la rassegnazione in speranza, unendo persone, famiglie, storie e culture. Elementi che si sono ritrovati martedì sera a Zurigo nella prima storica sfida tra le due nazionali, decisamente più di una partita di calcio.
Sì, Svizzera-Kosovo si è giocata, ma in primis è stata vissuta. Con emozione, trasporto, orgoglio, sensazioni percepite ben prima del fischio iniziale. Pochi passi nelle strade che portano al vecchio "Letzi" sono infatti bastati per scorgere l’inizio dell’arcobaleno. Dapprima una spruzzata di blu "macchiato" di giallo e ornato da sei stelle bianche, ovvero i colori del Kosovo portati con fierezza sulle spalle da un gruppetto di persone che si esprimevano in un misto di schwyzerdütsch e albanese. Avvicinandosi allo stadio, il rosso ha iniziato a farla da padrone, inevitabilmente visto che è presente tanto nella bandiera albanese quanto in quella rossocrociata. A distinguerle, l’aquila nera (già, la famosa aquila bicipite) da una parte e la croce bianca dall’altra, con la prima nettamente più presente fuori e dentro dal Letzigrund, dove dei 20’800 spettatori presenti la maggioranza era kosovara e albanese (in Svizzera ne vivono circa 250’000, la maggior parte proprio a Zurigo). Non in contrapposizione però, se non per due sparuti gruppetti di tifosi più assidui formatisi nelle due curve dell’impianto zurighese e che per tutto il match si sono sfidati tra "hopp Schwiiz" e "hajde Kosovo" (in fondo, c’era anche una partita).
Per il resto, i colori della speciale serata zurighese si sono mescolati con rispetto, senza sovrapporsi, anzi abbracciandosi tanto a livello visivo quanto sonoro. Molte le persone con addosso l’ormai immancabile sciarpa divisa a metà tra colori e simboli delle sue squadre, o chi di sciarpe ne aveva direttamente due, a rappresentare un cuore diviso ma allo stesso tempo unito. Un po’ come le tante coppie mano nella mano e solo all’apparenza separate dai colori differenti delle magliette indossate, rossocrociata l’una, gialloblù l’altra. Per non parlare di chi ha pensato bene di unire direttamente le sue due anime in un’unica maglia, metà svizzera, metà kosovara.
Anche gli applausi, le urla di incitamento, i cori si sono mischiati nel catino ai bordi della Limmat. Rivolti quasi indistintamente tanto ai giocatori di casa quanto a quelli "ospiti". Va bene, questi ultimi forse ne avrebbero probabilmente ricevuto qualcuno di più, se non fosse stato per la presenza tra le fila elvetiche di due veri e propri idoli del popolo kosovaro, Xherdan Shaqiri e Granit Xhaka. Niente a che vedere con i fischi di disapprovazione ricevuti dai due (e da Valon Behrami) nel 2014 a Lucerna quando di fronte alla Svizzera nelle qualificazioni mondiali c’era l’Albania. No, stavolta per il numero 23 e il numero 10 (quest’ultimo tra l’altro festeggiato anche per le 100 presenze raggiunte con la maglia della Svizzera) sono arrivati solo applausi e ovazioni, prima, durante e dopo il match. Un po’ diverso il discorso per il giovane Andi Zeqiri, il terzo elemento di origine kosovara a disposizione di Murat Yakin, fischiato sia all’annuncio del proprio nome sia al momento di entrare in campo a match in corso. Un trattamento dovuto probabilmente al piuttosto clamoroso dietrofront di cui l’attaccante 22enne si è reso protagonista nel settembre 2020, quando aveva annunciato (tramite il padre) l’intenzione di vestire la maglia kosovara, salvo cambiare idea all’ultimo e votarsi alla causa rossocrociata.
Un po’ peccato certo, ma qualche fischio non ha comunque rovinato la serata di festa del Letzi, dove ha brillato l’arcobaleno che unisce due (e più) mondi.
Quanto alla partita, beh la sua relativa importanza a livello di risultato è apparsa chiara (se mai vi fossero dubbi) con le scelte di Murat Yakin, che rispetto alla sfida persa 2-1 sabato a Wembley con l’Inghilterra ha operato ben nove modifiche al suo undici titolare, confermando i soli Shaqiri e Xhaka. È tornato per contro dal primo minuto uno degli eroi delle trionfali qualificazioni ai prossimi Mondiali, Okafor, che con il numero 23 e Zuber hanno supportato l’unica punta Gavranovic. Sow ha invece affiancato il capitano a metà campo, mentre la linea difensiva completamente rinnovata ha visto Mbabu, Elvedi, Cömert e Lotomba davanti al portiere Kobel.
L’entusiasmo sugli spalti (in particolare dei sostenitori ospiti, presenti in larga maggioranza) non si è purtroppo tramutato in un primo tempo altrettanto spumeggiante in campo, con la Svizzera che ha gestito il gioco ma in maniera troppo approssimativa al momento di puntare l’area avversaria. Dell’attesissimo Shaqiri le due occasioni migliori rossocrociate, con una punizione dai 25 metri finita alta e soprattutto un sinistro smanacciato in angolo da Ujkani poco prima della pausa. È invece di testa che la selezione del tecnico Giresse ha minacciato in un paio di occasioni la porta di Kobel, bravo in particolare a deviare fuori dallo specchio la capocciata di Berisha al 32’.
Ad accendere la partita (e "gasare" ulteriormente il pubblico ospite) ci ha pensato a inizio ripresa Rashica, il quale favorito da un grossolano errore a metà campo di Zuber si è incuneato nell’area elvetica e dopo aver vinto un paio di rimpalli ha depositato in rete l’1-0. Un gol che ha perlomeno avuto il merito di costringere la Svizzera a cercare una reazione, concretizzatasi una decina di minuti più tardi nel pareggio trovato da Lotomba, che di testa ha depositato nella porta abbandonata dal portiere avversario (uscito male) il bel centro di un Mbabu ben imbeccato da Shaqiri. I rossocrociati hanno sfruttato lo slancio e i diversi cambi (tra cui quello tra Freuler e uno Xhaka decisamente contrariato per la sostituzione) per continuare a mettere pressione sulla difesa avversaria, senza tuttavia più riuscire a rendersi davvero pericolosi. Anzi, al 73’ è stato Kobel che ha dovuto sfoderare uno dei suoi miglior voli per tirare fuori dal sette il bel destro di Dresevic. In definitiva, per una serata di festa, il pareggio è stato forse il risultato più giusto, ma per le prossime sfide di Nations League (in giugno contro Repubblica Ceca, Spagna e due volte Portogallo) servirà decisamente un’altra Svizzera.